Ci sono generazioni chiamate a sostenere prove particolarmente impegnative che segnano la coscienza collettiva e pesano sulla percezione della propria responsabilità verso se stessi e gli altri. I nostri nonni furono chiamati a sostenere la più terribile delle esperienze, quella della guerra. L’Italia ha tratto da quella generazione una delle migliori classi dirigenti della storia unitaria, donne e uomini che hanno atteso alla ricostruzione materiale e morale del Paese.
La nostra è una generazione che ha avuto la fortuna di crescere in un’epoca di pace, tolleranza e integrazione. L’Italia è parte integrante di un’area, quella europea, tra le più stabili e sicure del globo. Tuttavia, costituirebbe un grave errore di valutazione pensare che, visto l’impegnativo termine di paragone, la nostra generazione abbia davanti a sé una strada tutta in discesa e alle sue spalle un trascorso bene o male sereno.
A differenza di quella dei nostri padri, la nostra è una generazione vittima della precarietà endemica del nostro tempo. È una condizione che dura ormai dallo scoppio della crisi del 2008, che ha sfibrato i legami sociali, impoverito le nostre comunità, frustrato ambizioni e scoraggiato progetti di vita. Le classi dirigenti hanno iniziato solo di recente a prendere coscienza dell’ampiezza del fenomeno, e le politiche pubbliche sono ancora ben lontane dal farsene pienamente e adeguatamente carico. Fino a pochi anni fa, ci veniva spiegato che le difficoltà dei giovani italiani erano dovute alla loro pigrizia, alla loro scarsa flessibilità, alla loro poca voglia di mettersi in gioco. Oggi, almeno in parte, ci viene risparmiata questa retorica, ma si è ancora lontani dall’affrontare la questione generazionale in Italia con la cura e la dedizione che richiederebbe.
A questo si è aggiunta la prova della pandemia e dell’isolamento. Tengo molto a sottolineare questo aspetto: se non si valuta l’impatto dell’esperienza vissuta da quando il Covid-19 si è diffuso nel contesto appena ricordato, si rischiano analisi parziali e viziate.
La pandemia non è stata portatrice di malessere e disorientamento. Ne è stata un’amplificatrice. Non ha agito su un contesto sano, ma ha affondato i suoi colpi in ferite già aperte. I suoi effetti non si esauriranno con la fine della campagna di vaccinazione, a cui tutti dobbiamo dedicare il massimo sforzo. Ci saranno strascichi di lungo periodo sul piano sociale e occupazionale, così come su quello relazionale ed esistenziale. Se non ci si pone, qui e ora, il tema di come risollevare la generazione che avrà, presto o tardi, il compito di guidare il Paese, ci si assume una responsabilità grave con forti ricadute sul futuro della nostra comunità.
I danni incalcolabili che la pandemia ha apportato alla nostra generazione obbligano a un bilancio approfondito del modo in cui l’Italia si rapporta al proprio futuro, e sulle sue gravi mancanze registratesi a cavallo dell’ultimo decennio.
Davvero pensiamo sia sostenibile trattare il tema delle prospettive dei giovani italiani come questione accessoria, secondaria? O che il sistema previdenziale e di welfare che ancora sostiene il Paese possa reggere sul lungo periodo con tassi di disoccupazione dei futuri contribuenti che si attestano stabilmente sulla doppia cifra? Davvero il Paese può permettersi di rinunciare alla ricchezza potenziale e non creata a causa dell’inattività a cui centinaia di migliaia di nostri coetanei sono condannati?
Il Consiglio Nazionale dei Giovani è da tempo in prima linea per sensibilizzare l’opinione pubblica e gli attori politico-istituzionali circa la necessità di un cambio di passo nell’approccio alla questione generazionale. Occorre un cambio di mentalità che promuova quanto di buono e utile i giovani italiani producono, chiedendo a gran voce che gli sforzi compiuti vengano riconosciuti e valorizzati dal nostro Paese.
Un primo importante segnale nella direzione da noi auspicata è offerto dal PNRR che, nella versione finale inviata alle Istituzioni europee, ha previsto importanti misure di sostegno alle giovani generazioni quali, tra le altre, la clausola dedicata all’occupazione giovanile, la creazione di una piattaforma che favorisca l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, nonché la promozione di network tra sistemi educativi, aziende, università e centri di ricerca.
Ma il pur fondamentale impegno in campo economico non basta. La rappresentanza politica dei giovani nei processi decisionali risulta ugualmente importante. Se vogliamo che i giovani siano protagonisti nella trasformazione del Paese che un domani saranno chiamati a governare, occorre dar loro gli strumenti per incidere realmente, e da subito, sulle scelte pubbliche. Da questo punto di vista, l’estensione del voto per il Senato ai diciottenni è un primo importante passo, a cui tanti altri dovranno seguire. Alle prossime elezioni quattro milioni di giovani in più potranno esprimere la loro opinione politica, condizionando l’agenda del dibattito pubblico.
In definitiva, va affermata la necessità di coinvolgere la nostra generazione nelle sfide capitali per le prospettive attuali e future dell’Italia. Ricostruire lo Stato, rinsaldare il comune senso di appartenenza alla comunità nazionale, partecipare all’opera di rigenerazione della vita politica, economica e sociale del Paese. La nostra generazione c’è.
- Blog Maria Cristina PisaniPresidente del Consiglio Nazionale dei Giovani e portavoce del Partito Socialista Italiano
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