Il disimpegno in Afghanistan delle grandi potenze codarde

Esteri

«Hanno preso mio figlio l’hanno sgozzato e il suo cadavere buttato in strada per darlo da mangiare ai cani».

Era un vecchio senza lacrime e impassibile quello che qualche sera fa ha fatto capolino in un breve servizio del Tg2 delle 20.30 – ricordate la notizia? – allorché irrompeva improvvisamente l’Afghanistan. Ricordate? La notizia sembrava sgusciata fuori dal nulla, come una stella cadente osservata dal bagnasciuga di queste notti di oneste ferie e felicità tra una parentesi di Covid e l’altra.

Improvvisamente «il Dipartimento di Stato americano informa che Kabul potrebbe cadere tra tre mesi».

Kabul, la nuova Saigon

Tre mesi? Quarantotto ore dopo, Ferragosto, è chiaro che Kabul sarà la nuova Saigon. Tutto va in quella direzione: città e province cadono come birilli, le vie di fuga tagliate, la corsa disperata dei profughi verso la capitale, il “si salvi chi può” di quella parte di popolazione che ha vissuto fianco a fianco degli occidentali, le ambasciate – a cominciare da quella americana – che chiudono in fretta e furia lasciando roghi di documenti dietro di sé.

Insomma, siamo nella direzione del pieno disimpegno delle grandi potenze. Codarde? Chissà che cosa ci stanno raccontando di vero. La verità è che un tracollo così repentino non si spiega altrimenti se non con retroscena di accordi che probabilmente conosceremo in un prossimo futuro o forse non conosceremo mai.

Le frontiere col Pakistan

Il Pakistan è membro del Commonwealth britannico, ha la bomba atomica, permette che le minoranze come i cristiani siano umiliate fino alla morte e sta facendo di nuovo la partita in Afghanistan: apre le frontiere affinché i terroristi vadano a ingrossare le file dei talebani e chiude le frontiere alle centinaia di migliaia di profughi.

E, d’altra parte, fa così l’Europa, atroce paradosso dei paradossi, che continua a proteggere le Ong che nel Mediterraneo coprono i trafficanti di esseri umani che sbarcano a Lampedusa dalle coste maghrebine portando in Europa spacciatori di droga mescolati a migranti economici dal Bangladesh (verificare la composizione etnica dei 34 mila clandestini degli ultimi mesi sul sito del ministero degli Esteri).

L’Europa, davanti alla tragedia di Kabul, a parte qualche eccezione, non ferma i rimpatri forzosi di afghani scappati in Occidente.

Campo libero alla Cina

Tutto ciò non è pazzesco, è la vera natura del progressismo occidentale: un grande teatro sui diritti in difesa della dignità delle persone (#metoo, arcobaleno, antiputin, Zaki eccetera), ma quando le persone sono minacciate sul serio e massacrate a migliaia, centinaia di migliaia, milioni, come dall’Africa all’Afghanistan, dai Boko Haram nigeriani ai talebani e tagliagole pakistani, ecco la codardia prendere la forma di raffinate analisi, sentite condoglianze, lacrime di coccodrillo… E a cuccia.

Per poi a scappare con la coda tra le gambe e lasciare che siano la Cina e il Pakistan a fare gli accordi con i talebani.

Un grande amico di Tempi

E l’Italia? L’Italia sono 10 anni che non ha governi e che è fuori da ogni peso politico sullo scacchiere internazionale. Certo, era difficile immaginare che saremmo arrivati ad avere un ministro, espressione della maggiore forza politica in Parlamento, che per quanto ne sappiamo è stato bravo solo a fare spot pro Pechino, voltare la faccia alla fine della democrazia ad Hong Kong e adesso aspettare che qualcuno gli faccia sapere che a Kabul succedono cose.

Noi abbiamo avuto un grande amico afghano qui a Tempi. Ha scritto un libro che ha raccontato tutto quello che fu e che di nuovo sarà con il regime talebano. Certo, con la differenza che prima – con George W. Bush – non potevi accordarti con la Cina e il Pakistan per spartirti le miniere di litio in cambio della protezione di un regime che probabilmente non sarà spietato come quando negli anni Novanta si divertiva a bombardare le sculture di tradizioni religiose millenarie scolpite sulle montagne e a sparare in testa alle donne messe in fila in un campo di calcio.

Uccidere chi è già morto

Probabilmente se i talebani hanno trattato con Pechino, Islamabad e gli Stati Uniti, può anche succedere che Kabul non cada in un lago di sangue e che ci evitino – almeno davanti alle telecamere – le scene di bambini decapitati e di ragazze trucidate per il solo “peccato” di essere andate a scuola.

Ma che tragedia il mondo libero (o meglio, che si crede libero!). Vent’anni di morti al fronte, libertà assaporata da donne e bambini, scuole, università, tante amicizie nate tra afghani e genti di paesi che una volta furono cristiani. Adesso mandateci gli influencer, il ddl Zan e l’emergenza Covid per non parlare altro che di Covid e mandateci i miliardi di assistenzialismo europeo per un popolo di navigator e redditi di cittadinanza.

I cani avranno di che mangiare in Afghanistan. E noi? Noi ci accontenteremo di venerare le spoglie di un medico pacifista e senza frontiere? Possiamo noi con certezza resistere alla constatazione che «non ci uccideranno più di quanto non siamo già morti»?

Luigi Amicone (Tempi)

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