Ci sono alcuni vizi e alcune derive che accompagnano e caratterizzano la politica italiana da sempre. Ma ce n’è uno che persiste da decenni e che stenta a scomparire. Anzi, è più presente che mai e continua a essere uno degli elementi più insopportabili e nocivi nella concreta dialettica politica italiana.
È quella che va sotto il nome di moralismo e che, tradotto nell’atteggiamento politico quotidiano, si trasforma nella cosiddetta “superiorità morale” di una parte politica sull’altra. Al riguardo, ci sono quintali di pubblicazioni, di atteggiamenti concreti, di dichiarazioni e di comportamenti tangibili e verificabili che comprovano quella deriva e quel malcostume. È una deriva che alligna storicamente a sinistra, prevalentemente nella sinistra aristocratica, intellettuale, alto borghese e salottiera. Ma che poi, progressivamente, si è estesa a quasi tutto il campo della sinistra. Salvo di quella sinistra popolare e autenticamente rappresentativa di interessi sociali e popolari che, al contrario, punta solo e sempre a privilegiare la dimensione, appunto, popolare, sociale e autenticamente democratica nella fisiologica competizione politica. Ma questa esisteva quando i partiti erano ancora strumenti democratici, popolari, collegiali e che sfornavano politica e cultura politica e non grigi cartelli elettorali che si riconoscono nel “capo”.
Ma, per fermarsi all’oggi, è indubbio che il tarlo del moralismo e della cosiddetta “superiorità morale” continua a scorrere come un fiume carsico nella concreta dialettica politica – a livello locale come a livello nazionale – e periodicamente riemerge in tutta la sua virulenza. Soprattutto con l’avvicinarsi delle competizioni elettorali.
Una deriva e un malcostume che non hanno mai avuto cittadinanza, per esempio, nella storia e nella tradizione del cattolicesimo politico italiano nelle sue varie e multiformi espressioni. E questo perché le radici del moralismo e della superiorità morale sono insite e strettamente intrecciate con la storia e la tradizione della sinistra italiana. Per molteplici e variegate motivazioni. Una ragione su tutte, però, si può ricordare ad alta voce. Ed è quella che risiede nella tentazione egemonica che ha sempre caratterizzato il pensiero e la prassi di quest’area politica e culturale nelle sue plurali declinazioni. Dal rapporto con gli altri partiti al giudizio concreto sulle persone, dalla convinzione di possedere una sorta di “verità” politica alla delegittimazione moralistica degli avversari.
È appena sufficiente scorrere le valutazioni fornite su singoli esponenti politici del passato o del presente e, soprattutto, sulle scelte politiche concrete che vengono compiute dagli avversari/nemici per rendersene conto. Certo, il moralismo, la violenza verbale, il giustizialismo manettaro e la secca e perentoria delegittimazione moralistica degli avversari appartengono di diritto alla cultura grillina per come si è concretamente manifestata in questi ultimi lustri nel dibattito politico italiano. E cioè, una estremizzazione e una deriva massimalistica di ciò che storicamente ha rappresentato la sinistra italiana.
Ed è anche coerente, nonché giustificato, che su questo versante ci sia una sostanziale convergenza di sensibilità culturale, e quindi di scelte politiche, tra questi due mondi che si sono contrapposti per qualche tempo ma che poi hanno ritrovato le ragioni di una unità politica, culturale e programmatica. Come hanno confermato in questi ultimi tempi e a più riprese i rispettivi gruppi dirigenti a livello nazionale.
Comunque sia, credo che esista un preciso dovere, politico e culturale, di reagire e di contrastare questa deriva moralistica e oligarchica che resta all’origine di un indebolimento della stessa qualità della nostra democrazia. Una reazione che non dev’essere, però, speculare a un malcostume che ha caratterizzato, e che caratterizza tutt’ora, il naturale e quotidiano confronto politico nel nostro Paese.
Perché il confronto tra persone, tra partiti e tra rappresentanze sociali ha un vero senso democratico e liberale solo se tutti riconoscono una vera parità di partenza. Senza nessun privilegio, corsie preferenziali e senza nessuna presunta o maldestra superiorità culturale o, peggio ancora, morale da rivendicare nei confronti di chicchessia. Un tema, questo, che forse merita una specifica attenzione politica e culturale e che non può essere affrontata, e possibilmente risolta, con una semplice alzata di spalle. Perché è in gioco, appunto, la qualità della nostra democrazia, la trasparenza del confronto politico e la credibilità delle stesse istituzioni democratiche.
Blog Giorgio Merlo
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