La Polonia racconta, praticamente in diretta, gli eventi sul suo confine sud-orientale e la Bielorussia nel distretto di Hajnówka, tramite Twitter ed altri social. 15 mila soldati armati, muti con i duemila emigranti ed i media, pubblicano on line le scene dei campi di fortuna dei clandestini, i loro movimenti, spostamenti e tentati passaggi dentro il territorio polacco, scannerizzati con termocamere; poi mostrano anche i loro schieramenti presso la recinzione che urlano agli stranieri, non è chiaro in quale lingua, Andate in Bielorussia, questo posto è pieno. La Bbc riporta di almeno 7 morti attaccati al filo spinato tra la foresta di Białowieża ed il villaggio polacco di Grodzsik; il giornale polacco Oko di un 14enne curdo congelato al valico di Kuznica e prelevato dai servizi bielorussi; altri di corpi a faccia in giù nelle paludi e di facce tagliate dal filo spinato durante il superamento del confine sotto le spinte delle guardie bielorusse. La Tv di Minsk mostra emigranti disperati che si picchiano per un tozzo di pane, quella polacca interviste a svenevoli emigranti che dichiarano di voler andare in Germania per usufruire dei sussidi.
Le fonti, valide anche per le diverse tragiche morti denunciate dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati e dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, sono i telefonini e le power bank di ricarica, fin tanto che funzionino, dei medesimi emigranti (iracheni, somali, curdi, afghani). Sono questi che tengono allertati i media e gli operatori umanitari, tenuti lontani dai soldati polacchi. Testi, audio e video che testimoniano dell’assenza di acqua, cibo e cure nella nuova noman land serrata tra i fucili bielorussi e polacchi. I giornalisti presenti all’ospedale Mantiuk di Hajnówka testimoniano di corse di ambulanze da e verso il confine; ma anche in ospedale si muore di ipotermia e attacchi epilettici infantili dovuti alle temperature notturne sottozero. Secondo una pratica ben sperimentata, spuntano microfoni sotto la bocca della partoriente abbandonata con aborto. Sui fronti contrapposti, manifestanti destri che l’11 novembre avevano marciato nel giorno dell’indipendenza, malgrado le proibizioni, invitano i militari a sparare agli invasori; quelli sinistri raccolgono viveri dai contadini polacchi per poi farli pervenire in qualche modo agli emigranti. I paesani della polacca Krynki, voivodato di Podlaskie, lasciano fiaccole e luci accese fuori dalle finestre per segnalare la disponibilità di zuppa calda.
Nel gelo sempre più intenso, si fanno calde le parallele intensificazioni degli affollati schieramenti militari. I soldati polacchi fortificano i confini, al pari dei colleghi lituani dopo che i relativi parlamentari hanno votato per il finanziamento di nuovi muri. Con raro senso dell’opportunità, sono arrivati ad aiutarli contingenti Uk. Invece i bielorussi aiutano gli emigranti a costruire cittadelle al di là del filo spinato fornendo loro anche gli strumenti, come le tronchesi, per tagliarlo. Dall’altra parte della barricata, si svolge, pianificata da tempo, l’esercitazione militare bielo-russa nella vicinissima città di Grodno. Improvvisi i sorvoli di aerei da guerra russi nel cielo bielorusso e le esercitazioni dei parà di Mosca a pochi km dal confine. Segnalato dagli Usa e dalla Francia un sospetto assembramento di truppe russe sulla frontiera ucraina, Kiev ha inviato soldati a nord, mentre sembrano concluse da poco, le esercitazioni aereonavali Nato non pianificate nel Mar Nero. Assembramento di un centinaio di migliaia di militari, armati delle ultime tecnologie, sotto una decina di bandiere nazionali e non.
Entrata nella Nato nel 1999, con conferma referendaria del 2003, la Polonia se ne sente sempre più avamposto di trincea, man mano che i rapporti tra Russia e Nato, alla loro acme nel 2002 a Pratica di mare, si sono raffreddati fino a morire nella recentissima chiusura definitiva tra sanzioni ed espulsioni di spie. Varsavia che alla sua ricostituzione del ’18 si percepiva come punta della freccia antisovietica occidentale e che poi avrebbe dato il nome al blocco militare comunista antioccidentale nella guerra fredda, è di nuovo in prima linea, come il più allarmato e bellicista membro europeo della Nato, fin dal quel 2010 della caduta tragica sulla russa Smolensk dell’aereo del premier Kaczynski e della crema conservatrice polacca che simbolicamente andava a raccogliere le colpe moscovite per la decapitazione stalinista della Polonia a Katyn del ’40, per la quale chiesero scusa i russi Gorbachev, Eltsin ma non Putin. Da allora la religione di Smolensk, rilevata da Limes, coltiva tra i polacchi la teoria del complotto per una nuova spartizione del paese ordita dalla Russia ma anche dai suoi nemici. Mentre a Mosca l’accusa politica più colloquiale è ebreo, a Varsavia resta amico della Russia, insulto rivolto nel tempo anche al presidente Walesa.
Ad ogni passo russo, se gli Usa si preoccupano, la Polonia ha una crisi di nervi, finendo per aggravare i rapporti, sia propri che euroccidentali, con il Cremlino. Di primo acchito, Varsavia vorrebbe spavaldamente farsi valere romanticamente se non avesse di fronte un evidente disparità di forze. La tentazione si fa grande, però, con un avversario, il regime di Lukascenko, che è invece del tutto alla sua portata.
C’è l’idea antica che la Polonia non abbia alleati se non costretti al suo fianco per fatto compiuto, come ai tempi del polacco lituano Sobiecki III, vincitore della battaglia di Vienna sui turchi. Intanto media e politica polacchi ritraggono la massa al confine di esercito bielorusso e profughi asiatici come un unico blocco di invasori, pronti ad utilizzare capziosamente forza e furbizia. Tutte cose che l’Europa, storicamente non capisce, tranne il fido Uk, sempre presente sul campo e nello storico condiviso odio antirusso.
Proprio il 9 e 10 novembre di 83 anni fa il governo polacco di Składkowski si trovò davanti ad una analoga invasione al confine occidentale a Zbaszyn, di 17mila ebrei polacchi espulsi sans papier dalla Germania nazista. I polacchi non solo li ricacciarono ma espulsero anche dei tedeschi di Polonia. In reazione l’ebreo polacco Grynszpan sparò, uccidendolo, al diplomatico nazista vom Rath della sede di Parigi. La controreazione fu la strage antisemita della Notte dei Cristalli di Goebbels con i primi 30mila deportati nei lager. Quella Polonia, più oblunga e grande dell’attuale, era anche multietnica; non aveva subito i trasferimenti di massa staliniani di uomini e confini, che furono ad un tempo massivamente inumani e risolutivi di cancerosi conflitti. La detedeschizzazione postbellica della Pomerania di Stettino, di Słubice di fronte a Francoforte, di Neumark o Brandeburgo orientale, della bassa Slesia di Wroclaw Breslau e della Prussia orientale rese la Polonia etnicamente compatta rispetto al melting pot di popoli e religioni russo, ucraino e baltico. Fra tante tragedie, le spartizioni, le invasioni, le stragi, che fanno della Polonia una vittima storica, l’ultimo atto viene conservato come fatto positivo di rafforzamento della nazione. La comune indifferenza slava, se non ostilità, per i diritti umani, considerati pura fissazione con punte di stravaganza e di follia quando si tratta di gay e Lgbt, è così, ancora più forte a Varsavia che a Mosca e Kiev, mentre restano comuni le sensibilità emozionali per indipendenza, garanzia militare, difesa della terra e ingerenza altrui.
Ci sono tutti gli elementi per un quadro dagli esiti insperati. È un paradosso, ad esempio, che la Bielorussia sia divenuta paladina degli emigranti, sulla cui disperazione calca in tutta la propaganda e informazione mediale. D’altronde non si deve credere che il leader Lukasenko, presidente dal ’94, sia un completo burattino di Mosca. La Piccola Russia si sente economicamente strangolata dalle 5 ondate di sanzioni europee, in corso da tre lustri, che fanno sentire il paese, tra i più poveri d’Europa, discriminato e vicino all’ex terzo mondo. Era gran esportatore di orfani ed ora soffre la concorrenza degli uteri in affitto ucraini; non può contare sul vigoroso contrabbando che attraversa Moldova e lo stato fantasma della Transnistria, assunta alla cronaca per le imprese calcistiche dello Sheriff di Tiraspol, mentre decenni di aiuti alla Polonia hanno reso il paese confinante lontano anni luce e per di più rifornito, sotto lo sguardo imbelle e affamato dei bielorussi, dai gasdotti che portano il quinto del gas destinato all’Europa. I russi bianchi si sentono così incolpevoli vittime dei conflitti Nato Russia, più grandi di loro, mentre non capiscono tante contestazioni di Bruxelles dal 2006 su elezioni e regime interno. Le condanne intervenute dopo un sequestro aereo deciso per l’arresto di un dissidente hanno fatto venire in mente all’inerme Piccola Russia un modo per farsi sentire, cioè i voli commerciali.
All’inizio è bastato un piccolo battage su WhatsApp e Facebook, un passaparola sui voli della compagnia statale Belavia (due aerei al giorno tra Minsk, Dubai e Istanbul) cui si sono aggiunte la Turkish Airlines e la Iraqi Airways (voli da Bassora, Erbil e Sulaymaniyah a Minsk), sui visti semplificati, sui pacchetti tutto incluso delle agenzie terze di Baghdad e Damasco (rotta, hotel statale, pullman e taxi per il trasporto al confine con scorta della polizia). Da marzo i tentativi di ingresso in Polonia sono saliti a 30mila (ma spesso i respingimenti a famiglia sono una decina) e la cosiddetta rotta balcanica, tra Bosnia e Trieste, si è improvvisamente raddoppiata ma, senza il solito pietismo, rivolto ai clandestini abitualmente fermati in malo modo dai croati sotto il benigno sguardo ed i soldi di Frontex, l’euroagenzia per l’emigrazione. Il furbo arrivo aereo ha tolto commozione e epos al dramma dei pericolosi viaggi degli emigranti. Le denunce bielorusse per i pestaggi polacchi sugli emigranti, privati della possibilità di chiedere asilo, proprio come in Croazia, hanno preso tutti in contropiede, dall’Europa paladina dei diritti umani alla Polonia, che si era sempre rifiutata di accogliere emigranti dagli altri paesi, a Frontex, che ha sede a Varsavia, ma cui i polacchi non danno autorizzazione all’intervento in nome della non ingerenza. Si era peraltro all’acme dello scontro, e della multa da un milione di euro al giorno, tra polacchi e Bruxelles sulla preminenza del diritto europeo su quello nazionale, sull’indipendenza della magistratura e sulla richiesta di finanziamento del muro sul confine polacco.
Uno stato canaglia come la Piccola Russia si è permesso di dare lezioni di umanità ad Europa, Polonia e Frontex. Pure Put
in non ha perso l’occasione di fare un predicozzo sui diritti umani. La soluzione all’italiana, vale a dire, entrata libera per tutti (duemila entrate non sono molte in un grande paese esteuropeo) non è stata presa in considerazione. Il bambino morto sul filo spinato non è sembrato scenografico come quello sulla spiaggia. Si sono fatti invece i conti in tasca alla proletaria Russia Bianca che ufficialmente ha guadagnato 5mila euro per emigrante, quindi una decina di milioni e ufficiosamente una quarantina se si considerano i borseggiatori e la difesa da animali selvatici, fiumi e paludi. Sicuramente il paese si beccherà nuove sanzioni come trafficante di esseri umani. La grave crisi della Polexit, grazie ai piccoli russi, ha subito una grossa pausa; Bruxelles discute ora di nuovi finanziamenti per i muri ed il contrasto all’emigrazione mentre puntuali interventi politico commerciali, in barba alla libertà dei mercati e della concorrenza, hanno minacciatole compagnie aeree private mediorientali per interrompere lo strano traffico. Le minacce in extremis, isteriche, sullo stop ai gasdotti di Lukasenko, che per sua sfortuna, ricorda nel capello e nel baffo un mix di Stalin e Hitler, sono state subito escluse dal suo padrino Putin, protettore di Gazprom.
L’episodio finirà lì, nella dimenticanza della sorte degli emigranti, destinati a vivere in un campo bielorusso. Qualcuno di loro si inventerà, dopo la Tv del dolore ed i social, l’informazione in diretta della vittima. Di sanzione in sanzione, si avvicina l’annessione bielorussa da parte di Mosca che Lukasenko vorrebbe rimandare al suo post mortem e Putin al calendario di una prossima rielezione. Lo strappo e l’invasione militare, tanto desiderati da Varsavia e che sole potrebbero salvare l’integrità della Piccola Russia resterà un incompiuta polacca. Matura l’avvio di quel Vallo europeo che a partire dall’Esteuropeo, incluso il nostro Adriatico, e da Frontex sarà la risposta alle emigrazioni, occasione di rinsaldo dell’Unione. Sul terreno restano le debolezze davanti all’Est. Dove, tra un cipollotto ed un cetriolino, un pomodorino secco e bicchieri da 200 e 500 grammi, pelle lustra e occhi chiusi, si riderà sul come e chi, sull’idea di un cotanto scherzo, e sui tanti altri da giocare ai frivoli e vanagloriosi europei, soprattutto ora che non ci sono più gli inglesi. Qualcuno si spancerà I polacchi fremono…metti che attacchino la Piccola Russia.. e giù risate.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.