Berlusconi al Quirinale

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La presidenza di Mattarella si conclude il 3 febbraio 2022. Probabilmente le elezioni del prossimo Presidente cominceranno prima, un mese dopo la lettera del presidente della Camera ai grandi elettori. 945 parlamentari (630 deputati e 315 senatori) entreranno in conclave per l’ultima volta. La prossima saranno 400 deputati e 200 senatori. Della partita anche 58 delegati regionali (i governatori, il presidenti del consiglio regionale, i consiglieri delle opposizioni, tutti nomi da eleggere) e sei senatori a vita per un totale quindi di 1009 grandi elettori. I presidenti delle Camere per prassi (e non per obbligo) non votano, quindi si scende a 1007; il seggio uninominale Roma 1 della Camera, dopo le dimissioni di Gualtieri, sindaco di Roma, non è stato attribuito e si scende a millesei (millecinque se manca un senatore a vita).

A ranghi totali, nei primi tre scrutini a maggioranza di due terzi dei voti, servono almeno 674 voti; dal quarto scrutinio ne bastano 506, semplice maggioranza assoluta. Con qualche presenza in meno, 673 e 505. L’elezione del primo cittadino, capo delle forze armate e dei giudici, garante del diritto e rappresentante del Paese, è squisitamente politica, nelle mani dei partiti. I gruppi parlamentari originati dalle scissioni di quattro anni di legislatura, svincolati da ogni mandato e dalle fazioni da cui sono nati, consci della vicina morte sotto la non lontana mannaia del voto popolare, sono al top del loro sciame ronzante. I partiti, già sottomessi alla giustizia, all’opinione pubblica ed alle regole internazionali, stanno perdendo la loro ultima ridotta, le Camere, dovendo blandire le decisioni capricciose di gruppi, irresponsabili e svincolati da tutto. L’elezione politica per antonomasia non è più partitica.

Paura a sx

Gli ultimi presidenti (Scalfaro ‘92, Ciampi ‘99, Napolitano ‘06 e ‘13, Mattarella ‘15) sono stati tutti scelti nel campo del centrosinistra; due ex democristiani, un tecnico ed un ex comunista. La novità di queste elezioni è che questa volta il centrosinistra non ha i numeri per eleggersi un suo Capo dello Stato, come ammettono quelli del Pd che capiscono che Berlusconi è in campo e da non sottovalutare. A sinistra lo ripetono con ansia e terrore, come se un presidente di destra evocasse il ritorno del nazifascismo. Sono sceneggiate atte a incupire l’atmosfera generale come la litania dell’idea delle reazioni negative euroatlantiche alimentata strumentalmente. La reazione è però dovuta al cieco rifiuto dell’insediamento al Quirinale di un esponente di formazioni non presenti o ostili alla redazione della carta repubblicana. Calerebbe il sipario sulla sacralità della supremazia dei padri costituenti. Per il resto non c’è da attendersi miracoli; un Presidente di destra non cambierebbe il percorso del paese ingabbiato tra debito e trattati internazionali. Comunque, il centrosx ha paura; conta su 420 grandi elettori e sta sotto i 450 del centrodx. Ha visto già le prove di questa sconfitta in diversi scontri parlamentari che gli sono andati di traverso.

Grandi elettori 1005

(senza voto Roma 1, un a vita e presidenti Camera e Senato )

CSX   CDX  
Pd 132 Fratelli 58
Leu 18 Lega 197
Centro 6 FI 126
Autonomie 2 Coraggio 23
regionali 25 Cambiamo 8
A vita 5 Noi 5
Tot csx 188 regionali 33
M5s 232    
Tot csx e M5s 420 Tot cdx 450
       
Ex M5s 59 Iv 43
Alternativa 14 Azione Europa 5
Italexit 3 Maie Psi 9
Rizzo 1    
Potere popolo 1    
Tot ex 78 Tot Renzi 57
Gli schieramenti

I numeri a destra sono solidi solo come blocco del nord, dai 197 leghisti (133 deputati e 64 senatori, dopo che Minasi ha sostituito in extremis il deceduto Saviane) alle 127 schede azzurre (77 e 50). I Fratelli (37 deputati e 21 senatori) nicchiano sul voto a Berlusconi, preferendogli, contraddittoriamente, il premier Draghi; la schermaglia è utile, dopo il caso Rai ad esempio, per ottenere dagli alleati la considerazione che merita un partito, gonfiatosi, come unico partito di opposizione, al 20% alla pari con Pd e Lega che si sono persi per strada il 40% ed il 33% di un tempo. A parte questi 382 voti, dal misto arrivano i 36 delle formazioni veneziane e liguri, rinascimentali (23 deputati di Coraggio Italia, un deputato e 7 senatori di Cambiamo Idea e 5 deputati di Noi con l’Italia) e 33 delegati regionali. A sinistra le cose traballano di più, salde solo sui 132 elettori Pd (94 deputati e 38 senatori), sui 18 voti di Leu (12 e 6), un partito che letteralmente non esiste più, sui 25 delegati regionali ed almeno 5 senatori a vita (Napolitano, Monti, la Segre, la Cattaneo, Piano) se si recheranno a votare. Dal gruppo misto si aggiungono i 6 deputati del Centro di Tabacci, quelli delle Autonomie inclusi  Bressa e Casini, centrista per l’Europa, eletti nelle liste Pd. Qualche dubbio lo si può avere, in tutto o in parte, per i 9 di Maie Psi (7 e 2) e per i 5 radicali ed estroversi di Azione ed Europa (3 e 2) di Calenda e Bonino. Questi 14 voti, che i commentatori danno a sinistra, potrebbero aggregarsi ai 43 renziani (27 e 16), costituendo l’ago della bilancia. Infine, c’è l’incognita dell’alleato M5stelle, il colosso senza testa, di 233 membri (159 e 74), senza le ancore Casaleggio e Grillo che ha immolato la politica per il destino del figlio. Il M5s, incontrollato e incontrollabile, tra le sirene di Conte, Di Maio, Travaglio(che ha ottenuto la presidenza dell’Eni per una dei suoi giornalisti)e Di Battista che ha già un suo gruppo da14 grandi elettori (10 e 4) dovrebbe muoversi in sintonia con il Pd e influenzare la fluttuanza di una sessantina di senzapartito, ex colleghi, espulsi e fuoriusciti (dai 338 pentastellati eletti primigeni); sempre che non siano i cani sciolti a risultare più attrattivi. I pentastellati un tempo erano un blocco ferreo contrario a Berlusconi. Ora, incassato il sostegno di quasi tutti i partiti al reddito di cittadinanza, peraltro rifinanziato e garantito, l’obiettivo 5stelle è difendere la legislatura fino al marzo 2023, vuoi per i rischi di riduzione degli eletti e sicura non rielezione, vuoi per la ridotta della pensione parlamentare. Su di loro Renzi ha evocato lo squarcio del cielo delle sicure elezioni del 2022 all’indomani della designazione quirinalizia che in effetti sono nei piani dei partiti maggiori e dello stesso leader pentastellato Conte che vorrebbe riformare il gruppo parlamentare, anche se ridotto, a sua immagine. L’orda degli scranni impauriti, troppo toccati nel vivo dal loro leader, peraltro appannatissimo, potrebbe scatenare la rivolta, inducendoli a fare sponda con i difensori del queta legislatura non movere, i partiti più deboli, Fi e Iv. L’ipotesi del bis Mattarella sarebbe l’opzione migliore; per quanto sconfessata chiaramente, presenta tutt’oggi un accanimento terapeutico che sicuramente durerà fino all’ultimo.

Candidati

Nel 2015 volavano per il Quirinale, i nomi di Rodotà e della Gabanelli, teorici del diritto affilato e dell’inchiesta che dovevano dilaniare i colpevoli di politica, di burocrazia e del profitto. Ora tocca ai nomi della ministra Cartabia, la cui riforma della giustizia è stata la pietra d’inciampo del governo Conte, della Severino, della Bindi e dell’immancabile Bonino. Poi si passa ad altra crema, che a parte i 78enni Pera e Martino, è tutta di sinistra (il 66nneVeltroni, il 70nne Bersani, l’82nneProdi,l’83nne Amato) sui quali si fanno sentire i terremoti trascorsi. L’altra volta Berlusconi incomprensibilmente, si immolò per Amato, sul cui nome si era accordato con Renzi, allora segretario Pd e dopo la scelta di Mattarella passò all’opposizione. Ora il dottor sottile, odiato da tutti come ricorda Facci, è troppo vecchio; al contrario, il 63nne Franceschini ed il 52nne Orlando appaiono fin troppo giovani. Ci sarebbero outsider, come l’86nne Cassese, che si prefigurerebbe come un nuovo Presidente picconatore; già questo basta ad escluderne la figura. Particolarmente adatto, in caso di contrapposizione degli schieramenti risulterebbe Casini, il simbolo stesso del trasformismo e del passaggio sotto mille bandiere. La sua elezione riannoderebbe i fili di quella mancata del suo patron di un tempo, Forlani, la cui bavetta avrebbe vendetta.

Draghi

Sembrerebbe nel solco del non moveatur, la riproposizione del nome del premier Draghi, il salvifico, che da ignoto alla partitica italiana fino a nove mesi fa, ne è divenuto l’attore indispensabile a tutto (forse un giorno anche a commissario della Nazionale di calcio), tanto da far proporre una nuova figura, il Presidente premier incaricato, determinando con una semplice nomina l’importazione in Italia della riforma De Gaulle. Apparente stabilissima, l’elezione di Draghi comporta la fine del suo governo e della grosse koalition, lo stop alla gestione del piano europeo ed ai 50 miliardi previsti per quest’anno, l’esigenza di fare subito la legge elettorale coerente con la nuova composizione delle Camere e la rimessa degli affari correnti nelle mani del ministro più anziano, Brunetta. L’elefante nella cristalleria Draghi non è desiderato, ma senza grosse opposizioni, né da Pd, né dalla Lega mentre è sostenuto dai Fratelli che puntano a nuove elezioni (volute dal Pd ma non dalla Lega). Il premier, arrivato come deux ex machina europeo potrebbe essere imposto dagli equilibri continentali anche a Presidente, nel contesto dello svuotamento delle contrapposizioni e dell’agone democratico, che tanto scoraggia l’elettorato. In quel caso non ci sarebbe partita. I medesimi equilibri europei però potrebbero avere in serbo anche il commissario europeo Gentiloni nel solco della stabilità, dell’Europa e del sollievo del centrosx che confermerebbe il suo primato al Quirinale. Il 67enne conte ex premier, tanto lodato quanto cauto e mellifluo, però rientra nei giochi di prestigio di Renzi.

Renzi

Malgrado sia ora odiato a sinistra, il leader toscano è stato l’artefice, dentro e fuori il Pd, della sua fortuna. Infatti, ha rottamato nell’ordine la prima grosse koalition, dividendo la destra ai tempi di Alfano, l’ascesa della Lega di governo, gli stessi grillini condotti all’abbraccio mortale con il Pd ed il governo Conte caduto nella nuova grosse koalition; e lo ha fatto, dimostrando la stupidità dei democratici, che detestandolo l’hanno seguito a occhi chiusi. L’uomo della vittoria del 40% del Pd pur senza strategia nel lungo periodo ed un minimo seguito nel paese, ha affinato sempre più la tattica del miglior utile possibile momentaneo. Dopo Mattarella potrebbe imporre per la seconda volta l’inquilino del Quirinale, portando ai 450 voti del centrodestra, i suoi 57 assensi, tra Italia Viva e centro.  507 schede utili a vincere in quarto scrutinio, in uno schema di cartello finora testato con l’alleanza siciliana e prove parlamentari. Renzi potrebbe far vincere l’anziano 85nne in un risultato epocale, il cui esito, trionfo o tragedia, sarebbe comunque, un’ulteriore vittoria del toscano. Oppure potrebbe portare il nome di Gentiloni, di cui accuratamente non si parla più, liberando agli azzurri il prestigioso commissariato europeo. Tutte le intese italofrancesi del momento, dalla presenza economica transalpina, al gruppo europeo macroniano, dove militano Renzi e Calenda, all’oscuro trattato del Quirinale, potrebbero sostenere il conte. A Renzi c’è solo un’alternativa, la sessantina di cani sciolti ex5stelle, che non si vede chi potrebbe organizzare e su quale obiettivo.

Berlusconi

L’ipotesi di Berlusconi al Quirinale, per mesi sbeffeggiata e presa per barzelletta, prende così vigore. Nel passare dei mesi, i voti mancanti sono apparsi sempre meno, prima 50, poi solo 6. Contro il sogno di Tajani si sono sprecati e si sprecheranno alti lai contrari da tutti i lati con le più diverse argomentazioni, dalla divisività della candidatura allo stato di salute del Cavaliere, accomunato nelle sonnolenze a Biden. Ci sono da mettere nel conto piroette e fuochi d’artificio giudiziari, mediatici, scandalistici e moralistici; anche una rivolta del Csm. Potremmo rivedere, per un Berlusconi presidente, le scene subite dal presidente Leone, con tutto che Mattarella le ha ricordate e stigmatizzate. La macchina del fango è però oggi troppo inflazionata; abbandonato il bersaglio storico, si è concentrata prima su Salvini poi sulla Meloni; ed ora ha trovato sulla sua strada la fondazione di Renzi, con accuse contradditorie tra loro. Paradossalmente proprio il massacro giustizialista contro il leader toscano è il miglior alleato dell’intesa quirinalizia tra centrodx e Iv. Fratelli e leghisti capiscono che le ipotesi di Presidenza o Commissariato europeo per un esponente della coalizione assumono un grande rilievo nel futuro del centrodx di governo. Berlusconi si presenta, con un abbraccio da lotta grecoromana, tanto amiciziale quanto costrittivo, come il più solido garante del Draghi premier e della salvezza dei parlamentari grillini; garante anche della tenuta economica come esponente dell’ultimo grande gruppo economico nazionale, non sparito, non invaso, non fuggito.

Il Cavaliere ha riesumato da morte certa quello che era il centrosinistra, trasformandolo nel centro del centrodestra; pur senza realizzare l’annunciato programma liberale, ha trasformato del tutto l’antagonista politico di sinistra, scorticato di tutti i suoi caratteri originali; ha messo il suo nome sulla storia dei primi vent’anni della seconda repubblica, pur governandone nove, prima che arrivasse il decennio del nemico tecnocratico che ha imparato ad amare. Ha resistito a tonnellate di merda, rimestata anche a decenni di fatti incriminati e criticati ed ora insperatamente punta al colpo di coda del trionfo più grande. Sul quale altare sacrifica il suo partito tra abbandoni, trascurati, traditi e traditori nel crollo nervoso di una palude governista senza scopo e senza orizzonte. Forse gli azzurri finiranno con Renzi; ma d’altronde siamo all’ultimo giro.

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