L’Afghanistan dei talebani, 100 giorni dopo: madri che cedono i figli per fame.

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Le storie di Bibi e Fatima affidate a Save The Children. Il direttore umanitario Onu: “Collasso esponenziale dell’economia”

A cento giorni dal ritiro delle forze occidentali dall’Afghanistan, malgrado tutti gli appelli e le promesse di non abbandonare il popolo afghano, milioni di famiglie lottano ogni giorno per soddisfare il più basilare dei bisogni: nutrirsi. Il Paese sta affrontando la peggiore crisi alimentare mai registrata e sempre più famiglie sono costrette a gesti estremi pur di sopravvivere. Gesti estremi come quello di Bibi, una madre costretta a cedere uno dei suoi gemelli a un’altra famiglia in cambio di soldi. O come quello di Fatima, che ha ricevuto pressioni dalla famiglia per abbandonare uno dei suoi figli gravemente malnutrito pur di salvare l’altro. Entrambe hanno raccontato la loro storia a Save The Children, che da tempo, insieme ad altre ong, denuncia la strage di innocenti che si sta compiendo mentre l’Occidente sembra aver voltato gli occhi dall’altra parte.

Una donna tiene in braccio il suo bambino mentre riceve cure per la malnutrizione presso un centro nutrizionale di Medici Senza Frontiere (MSF) a Herat.

Bibi, 40 anni, e suo marito Mohammad, 45, non hanno avuto nessuna alternativa se non affidare uno dei loro gemelli nati pochi mesi fa a un’altra famiglia senza bambini perché non hanno abbastanza soldi per sfamare i loro otto figli. “Non abbiamo niente, come potrei prendermi cura di loro? È stato terribile dividerli, è stata una decisione molto difficile, più di quanto possiate immaginare”, ha raccontato agli operatori della ong, spiegando di aver accettato, con il cuore in pezzi, una piccola somma in cambio del bambino. “Non potevo permettermi latte, cibo o medicine. Con quei soldi posso comprare cibo per sei mesi”. La famiglia è stata costretta ad abbandonare la propria fattoria circa sette mesi fa a causa della siccità prolungata che ha devastato i raccolti e spinto milioni di persone sull’orlo della carestia.

L’economia afghana, fortemente dipendente dagli aiuti internazionali, è piombata in un baratro in seguito all’acquisizione del potere da parte dei talebani. Le riserve di 9 miliardi di dollari della banca centrale afgana, la maggior parte delle quali detenute negli Stati Uniti, sono state congelate e il Fondo monetario internazionale ha bloccato circa 450 milioni di dollari a causa della “mancanza di chiarezza” sul nuovo governo. Le Nazioni Unite stanno cercando di raccogliere 4,5 miliardi di dollari per evitare il peggio, ma con gli aiuti esteri bloccati e il sistema bancario vicino al collasso, l’economia è strangolata dalla mancanza di liquidità.

Martin Griffiths, sottosegretario generale per gli Affari Umanitari e coordinatore dei Soccorsi di emergenza delle Nazioni Unite, ha avvertito in un’intervista ad Associated Press che il collasso economico dell’Afghanistan “sta accadendo sotto i nostri occhi” e ha esortato la comunità internazionale ad agire per fermare “la caduta libera” prima che porti a ulteriori morti. “Stiamo vedendo che il crollo economico è esponenziale. Sta diventando sempre più terribile di settimana in settimana”, ha dichiarato, esortando i Paesi donatori a riconoscere che gli aiuti umanitari d’emergenza non bastano ed è necessario sostenere i servizi di base per il popolo afghano. Si tratta di elettricità, ospedali, istruzione – settori vitali che rischiano la paralisi, con dipendenti che non vengono pagati da mesi e stanno scivolando a loro volta sotto la soglia di povertà.

La questione della liquidità – ha invocato il responsabile Onu – deve essere risolta entro la fine dell’anno. Per fare un esempio, 4 milioni di bambini non vanno a scuola e altri 9 milioni smetteranno presto di andarci per un motivo molto semplice: il 70% degli insegnanti non viene pagato da agosto. “Se non facciamo qualcosa, tutta la discussione sul diritto delle donne e delle ragazze allo studio diventerà puramente accademica”, ha detto. “Il mio messaggio di oggi è un campanello d’allarme sulle conseguenze umanitarie del collasso economico e sulla necessità di intraprendere un’azione urgente”.

La leadership dei talebani ha vietato tutte le transazioni in valuta estera e ha esortato gli Stati Uniti ad allentare le sanzioni e a scongelare i beni afghani all’estero affinché il governo possa pagare insegnanti, medici e altri dipendenti del settore pubblico. Le Nazioni Unite – ha spiegato Griffiths – stanno chiedendo denaro agli Stati Uniti e ad altri donatori, assicurando che i soldi non andranno ai talebani ma arriveranno, tramite i canali Onu, direttamente alle persone che ne hanno bisogno: insegnanti, medici, fornitori di elettricità e altri dipendenti pubblici.

Le conseguenze del collasso dell’economia afgana – ha avvertito – stanno diventando ogni giorno più evidenti: segnalazioni di ospedali senza elettricità; aumento dei casi di malnutrizione grave, con tre o quattro bambini costretti a dividere un letto d’ospedale; decine di migliaia di medici, insegnanti e dipendenti pubblici non pagati che lottano per sopravvivere. L′80% delle fonti di elettricità è “sull’orlo dell’interruzione – ha dichiarato – e senza elettricità si hanno automaticamente conseguenze pesanti”.

Il rappresentante Onu si recherà a Washington il 21 dicembre per incontrare il Segretario di Stato americano Antony Blinken per “discutere del collasso dell’economia afgana”. Ma ogni giorno che passa rende sempre più difficile, per la stragrande maggioranza della popolazione, affrontare l’inverno. “La crisi economica sta mettendo fuori portata il cibo essenziale, provocando un grave aumento della malnutrizione acuta tra i bambini”, afferma il World Food Programme, impegnato sul campo in operazioni salvavita.

Si prevede che in Afghanistan oltre il 97% della popolazione scenderà al di sotto della soglia di povertà entro la metà del prossimo anno. Le più penalizzate sono donne come Fatima, madre sola di due gemelli di 18 mesi, che ha subito pressioni dalla famiglia per abbandonare Ara, la più debilitata da una grave malnutrizione. “I bambini hanno pianto tutta la notte perché avevano fame. Non abbiamo niente in casa, non abbiamo cibo, né farina, niente”, ha raccontato Fatima a Save the Children. “Mio marito non ci manda soldi, mi dice ‘lasciala morire’. Altri invece si sono offerti di ‘comprarla’, ma io non sono riuscita a lasciarla”.

Il collasso dell’economia ha distrutto quella che un tempo era la classe media del Paese. Emblematica è la storia di Hadia Ahmadi, un’insegnante di 43 anni che ha perso il lavoro dopo che i talebani hanno preso la capitale afghana ad agosto. Oggi siede sul ciglio di una strada, a Kabul, cercando di guadagnare l’equivalente di qualche centesimo lucidando scarpe. “Ho cominciato a farlo quando ho visto che i miei figli avevano fame”, ha raccontato a Reuters. La sua famiglia ha rappresentato i progressi compiuti da una parte della società durante i 20 anni di governo appoggiato dall’Occidente. Dopo un decennio di insegnamento, con un marito impiegato come cuoco in un’azienda privata e una figlia con un lavoro come impiegata in un’agenzia governativa, hanno goduto di una modesta prosperità che è stata spazzata via nel giro di poche settimane.

Con le scuole femminili chiuse a tempo indeterminato, il suo lavoro è stato il primo a scomparire, ma presto anche il marito e la figlia hanno perso tutto. Un figlio che studiava informatica è stato costretto a rinunciare al corso quando la famiglia non poteva più permettersi le tasse universitarie. Tutta Kabul è tappezzata di cartelli di case in vendita, mentre le famiglie cercano di raccogliere fondi per mangiare.

Se si va avanti di questo, “la fame e la malnutrizione causeranno più vittime delle bombe e dei proiettili dell’ultimo ventennio”, è l’allarme lanciato dal centro studi International Crisis Group (ICG), che chiede alla comunità internazionale di intervenire per evitare una tragedia ancora peggiore. ICG accusa la comunità internazionale di aver creato dal 2001 “un Paese completamente dipendente da aiuti e fondi provenienti dall’estero”, salvo poi tagliare il sostegno dopo il ritorno al potere dei talebani. Il rapporto non risparmia critiche all’Emirato talebano, definito “assolutamente responsabile per la situazione”, “incapace di gestire il Paese e creare un governo inclusivo”, “irrispettoso dei diritti umani”. Secondo il network di analisti, dietro il taglio dei fondi vi sarebbe una precisa volontà di alcuni Paesi occidentali di punire i talebani, decretandone il fallimento. Peccato che a pagare il prezzo più alto siano, ancora una volta, civili innocenti.

Giulia Belardelli Giornalista, HuffPost

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