Durante la pandemia ne sono morti 359 in Italia. Cosa insegna la vicenda di Raffaele Sebastiani, morto di infarto nel sonno dopo un turno lunghissimo in ospedale Anche i dottori muoiono, come tutti. Mentre curavano i malati di Covid, ne sono morti, in Italia, 359. Eppure, ci sono storie come quella del dottor Raffaele Sebastiani, chirurgo, morto due notti fa a Bari, che ti si stampano nel cervello, almeno a me. Nelle fotografie, il dottor Sebastiani ha una bella faccia limpida, la barba lunga, gli occhiali, e un sorriso appena accennato. Potrebbe fare il portantino, l’infermiere, non c’è arroganza, non c’è prosopopea, sul suo viso. Eppure era famoso, era stimato. Lavorava al Policlinico. La mattina era stato in sala operatoria, fino alle due. Poi era tornato a casa. Ma era “reperibile”, come si dice nel gergo degli ospedali. Vuol dire che, se c’è una emergenza, chiamano te. Mercoledì sera, è squillato il telefono. Non so, me lo immagino con la moglie, con le sue due figlie, mentre magari studia, in salotto e ogni tanto guarda le ragazze che fanno l’albero, e pensa… quanto sono fortunato. Poi il telefono suona, risponde, schizza dalla sedia, corre all’ospedale. In sala operatoria, ci resta 12 ore. Dodici ore. Opera malati di Covid. Gli tocca tenere addosso la tuta di contenimento, la doppia mascherina, la visiera, i doppi guanti. Gli tocca salvare le persone con addosso il peso di una tuta da palombaro. Dodici ore in piedi. Dodici ore con tra le mani la vita di un altro. Dodici ore in cui devi fare continuamente scelte e sai che uno sbaglio, anche minimo, non puoi permettertelo. Ecco, l’intervento, l’ultimo, è finito. Va nella stanza di preparazione, si sfila la tuta, si lava le mani. Mi domando come faccia a reggere, ma è un chirurgo, è la sua vita. “Sono stanco”, dice agli infermieri. ha 61 anni, questo dottore. Non è vecchio ma non è neanche giovane. È un dottore.
Torna a casa, si mette a letto. Immagino la moglie le figlie che si muovono piano, in giro per l’appartamento, Papà dorme… E non si sveglia. Non si sveglia il dottor Sebastiani. Muore d’infarto nel sonno. Lo so, questa non è una Storia da Natale. Ma se lo fosse? Perché, vedete, io penso che questo dottore che muore come non si ammazzano neanche i cavalli, come diceva un vecchio bellissimo film, ci dice parecchie cose. Alcune da spavento, perché le condizioni di lavoro negli ospedali sono queste. Ma altre di splendore. Il dottor Raffaele Sebastiani è medico nel senso del suo giuramento. Prima viene il paziente, e dopo lui. Il dottor Sebastiani conosce il suo dovere e lo rispetta. Non è un eroe. È un dottore. Uno che non va in televisione, non si fa fotografare come una star, non passa al trucco prima di entrare in studio a parlare di scienza. Uno che non si tinge di biondo, per migliorarsi l’immagine, non assume un agente, per rispondere alle richieste di ospitate. Sta in reparto. Sta in sala operatoria. Ci sta 12 ore di fila, con la tuta di contenimento. Ci sta finché il suo turno non è finito. Ciascuno di noi, a pensarci, ha un dovere da rispettare. E spesso, quel dovere è fatica, a quel dovere vorremmo sfuggire. Ora però conosciamo la storia del dottor Sebastiani, e magari fare il nostro dovere, ora, ci sembra l’unica cosa che conta. O no?
Blog Antonella Boralevi
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Le tute da indossare nei reparti di terapia intensiva sono due e i guanti sono tre paia : il tempo per vestirsi è in media 20 min , quindi se un paziente va in crisi – non si può quindi farlo attendere – è necessario essere così vestiti durante tutto il turno.