Un provvedimento che rischia di esacerbare le condizioni di scarsità che sono alla base dell’inflazione.
Il 2021 si è concluso con un infuocato dibattito sull’efficacia del controllo dei prezzi. In Italia, il Governo Draghi ha firmato un’intesa con le farmacie per vendere le mascherine Ffp2 (appena rese obbligatorie sui mezzi pubblici e in vari altri luoghi) a 75 centesimi. Sembra che il tetto non si applicherà ad altri canali di vendita, ma c’è il rischio che comunque finisca per esasperare una situazione di relativa scarsità, almeno nel breve termine. Del resto è successo esattamente lo stesso coi tamponi rapidi (il cui prezzo in farmacia è fissato a 15 euro) e, l’anno scorso, con le mascherine chirurgiche il cui prezzo era stato fissato in 50 centesimi da Arcuri-Conte rendendole introvabili proprio quando servivano di più. A livello internazionale, ha fatto discutere un tweet (poi cancellato) di Paul Krugman, il quale definiva “davvero stupida” l’idea di combattere l’inflazione mettendo un tetto ai prezzi. Il riferimento era a un intervento sul Guardian dell’economista Isabella Weber, la quale imputava l’incremento del livello dei prezzi agli extraprofitti delle imprese.
Questo dibattito ha sia una dimensione teorica (quella avviata da Weber e raccolta da molti altri), sia una empirica (le concrete decisioni dei governi). Si tratta di una deriva per molti versi preoccupante. Che di questi temi si discuta non solo in relazione alle scelte politiche di qualche paese bancarottiero, ma in merito a opzioni concrete di policy nei paesi più avanzati è un segno di quanto il dibattito pubblico in economia abbia subito un’involuzione. Bisogna allora tornare ai fondamentali. L’inflazione può avere molte cause, che nel momento attuale si sommano. L’incremento del livello dei prezzi risente di dieci anni di politiche monetarie non convenzionali, delle enormi manovre di stimolo post-Covid e (almeno per quanto riguarda l’energia) di uno squilibrio strutturale tra domanda e offerta. Nessuna di queste cause può essere rimossa semplicemente imponendo un prezzo massimo a specifici beni (o, come chiede Weber, facendo un ricorso diffuso a schemi analoghi). Nella migliore delle ipotesi, queste misure sono inutili; nella peggiore e più probabile, rischiano di esacerbare le condizioni di scarsità che sono alla base dell’inflazione, aggravando la penuria invece di renderla più tollerabile.
Mai come oggi, insomma, è necessario tenere vive, nel dibattito pubblico, delle voci che ricordino quali sono i principi fondamentali che governano il funzionamento dell’economia. Le tesi degli economisti sudamericani degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso hanno prodotto il fallimento di molti paesi di quell’area, una povertà diffusa e divaricazioni sociali insostenibili. L’Europa di oggi ha bisogno di tutto tranne che di ripetere quelle esperienze.
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