L’avevano dato per morto, ma era vivo e vegeto. Per una serie di qui pro quo, il giornalista Badaloni, ex governatore del Lazio, sconfitto poi da Storace, era stato confuso nella commemorazione per l’omonimo cugino morto, ricordato dalla nipote Roberta, anch’ella, giornalista, e Rai e Tg1. Un vaudeville di giornalisti politici Rai con parenti, degno di Feydeau, fortunatamente finito bene. Assunto alla celebrità piacionesca del piccolo schermo di Stato, Badaloni, dopo i fasti delle cronache del terremoto irpino, dell’attentato a Papa Wojtila e delle 18 ore di diretta da Vermicino che inaugurarono la tv del dolore spettacolo, passò alla politica, senza idea di cosa farne, come tanti altri suoi colleghi, da Dietlinde Lilli a Santoro e Marrazzo.
Per tenersi sempre sul vaudeville, nella corsa alla Pisana Badaloni, classe ’46, aveva come rivale un altro mezzo busto, Rai e Tg1, collega anche nelle interviste al Papa, tanto più Opus Dei, forse più elegante, più suadente nella voce all’Iglesias, ugualmente elegante, parimenti distinto professionista, come si suole dire in questi casi. Il contendente Michelini, classe ’41, con gran imbarazzo per democristiani educati, quasi precipitò in rissa per presunti brogli su centinaia di migliaia di schede annullate. Capita la solfa, Michelini nel 2006 da destra passò a sostenere con una sua lista il modello Roma dei debiti del Veltroni sindaco. La commedia finiva nei sorrisi generali, stile zio guru di destra, nipote segretario de sinistra.
Più trucemente finì di colpo la commedia Marrazzo, classe ’58, altro Piero, altro ex governatore laziale, stavolta mandato da Rai3. Il rientro come Badaloni lo consumò in sedi estere prima del confino alle trasmissioni notturne. I ritorni all’informazione dalla politica non sono sempre atterraggi tranquilli; si fa stucchevole il sapore della notizia obiettiva affidata all’ex nemico politico (comunque male minore rispetto alle porte scorrevoli dei magistrati politici remagistrati); talvolta si fa ancora più velenosa sulla bocca del ritornato deluso dell’incapacità politica, ingigantita dalle potenzialità dei milioni di preferenze ottenuti grazie alla popolarità da piccolo schermo.
Altro Rai Tg1, appena più anziano ma giunto allo scranno più alto, quello di presidente dell’europarlamento, sulla scia del predecessore Tajani, Sassoli ha ora improvvisamente fatto calare un luttuoso sipario per la sorprendente scomparsa. Nei ricordi del collega Siniscalchi, quand’era nei quotidiani, era timido, impacciato, generoso, dalla battuta pronta; sembrava sapere quel che voleva; un piacere uscire con lui la sera; il sorriso contagioso lo faceva piacere a quasi tutti, non parliamo poi delle ragazze. L’epoca non sembrava confargli del tutto; garbato e riluttante, il figlio dell’amico di La Pira si dovette adattare alle cupe e tempestose Telekabul di Curzi e Santoro; ma sempre con educazione l’ex capo scout di Cura di Vetralla aveva già renzianamente doppiato un altro figlio degli amici paterni, il più accreditato giovane Pistelli. Sornione, era poi passato ai contenitori Rai2 e Rai1, che più somigliavano alla Tv statale dei suoi predecessori, mezzi busti moschettieri piacioni.
Fino all’ambient naturale, se non governista, di sistema, terra di mezzo, del Tg1, dove lo coltivarono Riotta e Veltroni, sempre alla ricerca di talenti. Il campo si stava infittendo di sguaiatezza social, di donnine e donnone, di futuristica lempickana memoria e di particolari imprenditorialità rapaci versate all’interno dello strano mercato captive della Tv pubblica. Ai mezzibusti ormai toccavano le sorti dei Pionati. Il Nostro nel 2009 aveva già spiccato il volo con ben 412.500 preferenze per Strasburgo, dove non era il solo ad avere difficoltà con l’inglese. Venuta meno la possibilità di candidarsi a sindaco di Roma, già capogruppo Pd europarlamentare i suoi 170mila voti nel 2014, l’anno del 40% del conterraneo Renzi, gli diedero la vicepresidenza progressista di Bruxelles. Le elezioni europee del 2019, pur nella débâcle del partito, con 128.533 preferenze lo videro con pazienza, alla seconda votazione con 345 voti su 667, coronare il sogno dell’europresidenza parlamentare, giglio in corolla di 14 vicepresidenti, di cui nessuno dei sovranisti che pure avevano vinto le elezioni. Dopo un decennio, l’Europa scopriva la via italiana dell’insignificanza del voto.
La cabina può contare poco ma l’umore dell’opinione pubblica non si discute, né si dissolve. Così la presidenza Sassoli è rimasta amareggiata dal trionfo crescente di Frontex e dallo spettacolo delle intemperanze croate, polacche e bielorusse poco solidali con gli immigrati. A tre giorni dall’ultimo ricovero si rammaricava Abbiamo visto nuovi muri e i nostri confini in alcuni casi sono diventati i confini tra morale e immorale, tra umanità e disumanità. Muri eretti contro persone che chiedono riparo dal freddo, dalla fame, dalla guerra, dalla povertà.
Già in precedenza l’aveva imbarazzato il documento votato dall’europarlamento, Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa, di condanna parimerito per nazismo e comunismo. Frastornato, da un lato aveva detto, ricordiamoci che 40 anni fa, a Praga, che è casa nostra, arrivavano i carri armati. Ci sono stati nella storia del Novecento dei fenomeni che non hanno consentito a tante persone di godere delle libertà. Ecco il riferimento alla risoluzione; per poi rimediare, …quattro risoluzioni molto diverse cercando una sintesi abbiano prodotto un testo che in alcuni passaggi avrebbe meritato ben altro approfondimento, affiancare nazismo e comunismo è una operazione intellettualmente confusa e politicamente scorretta, rischia di mettere sullo stesso piano vittime e carnefici. In Italia il Pci è stato protagonista della Resistenza, della rinascita democratica del nostro Paese e del consolidamento delle istituzioni repubblicane.
Da cronista Siniscalchi lo ricorda scrupoloso, essenziale, completo ma non eccelso; Sassoli, malgrado il languido occhio azzurro e la mascella volitiva da fascinoso riluttante, si autodefiniva, non un divo. Sono molto noioso. Già si rammaricava che l’europresidenza fosse finita, tagliata da Macron, in favore della maltese, conservatrice ed antiabortista, Metsola, nell’ambito della giostra del ricambio delle cariche europee. Alla Rai già preparavano il riposizionamento mentre Franceschini aveva nominato la moglie (compagna di liceo) nuovo direttore della Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali. Nelle incertezze e paure democratiche del momento, c’era chi lo ventilava per il Colle. Tutte voci e rimuginamenti poi volati via di fronte all’infausta notizia della scomparsa dell’ex scout. Tutti si sono ritrovati ad accorgersi che, se non c’era molto di eclatante da ricordare, nemmeno c’era tanto danno. E fra i potenti, per i potenti ed i comuni, non è poi così poco.
Chissà se mai qualchedun Tg1, di nuovo, ne replicherà il record.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.