Il Male assoluto tra de Sade e Dante per PPP (2a parte)

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900 vs 120

PPP era molto innervosito per le contestuali riprese, a pochi km dal set di Salò, di Bertolucci che girava Novecento. Grimaldi era il produttore di entrambi i film ma aveva investito molto di più per il film dell’autore di Ultimo tango a Parigi ’72. Il budget stratosferico permise a Bertolucci di avere una propria ferrovia mentre Salò era pauperistico e senza grandi sfarzi, girato in una villa che cadeva a pezzi. L’ex allievo di Pasolini l’aveva sopravanzato e PPP sputava astio su Ultimo tango e diceva platealmente che il suo Salò sarebbe passato alla storia, mentre Novecento sarebbe stato dimenticato come tanti kolossal hollywoodiani. Oggi possiamo dire che aveva ragione; ma a lungo l’imbarazzante Novecento fu una bandiera della sinistra italiana. Ci furono anche due sfide calcistiche tra i due set, 900 contro 120, vinte nettamente dagli uomini di Bertolucci, malgrado che giocasse lo stesso PPP. Con una certa slealtà Bertolucci chiamò a giocare anche due calciatori della primavera del Parma (allora 2° in serie C) che fecero sfracelli; uno era un certo Ancelotti, oggi allenatore del Real.

sala

Arrivò nelle sale italiane il 10 gennaio del ‘76, dopo l’anteprima parigina del novembre ’75, quasi contemporanea all’omicidio di Pasolini ad Ostia. Le modalità dell’eccidio brutale e l’esaltazione del contesto sordido di prostituzione omosessuale, dove sembrava maturato l’atto, erano sottolineate da voci di ogni tipo. Si credette che il ragazzo di vita, additato come imputato, Pelosi, facesse parte del cast del film, o ne fosse stato escluso dopo i provini. A tale scopo i magistrati visionarono il backstage senza trovare nulla. Il film, tra il ’77 ed il ’79, passò di assemblea in assemblea, nei licei, nelle università, nei cineforum e nei luoghi dell’aggregazione giovanile del Movimento studentesco e della sinistra extraparlamentare. Atteso e inteso come film di denuncia e di protesta, divenne il vessillo di una certezza tante volte immaginata, enunciata e urlata, della presenza, hic et nunc, minacciosa del fascismo e della sua essenza criminale, sadica e mostruosa. Gli spettatori uscivano anzitempo, stando male, convinti di vomitare fascismo; altri prendevano alla lettera le sevizie come atti quotidiani dei nemici politici; proprio come nell’antichità si era creduto che ebrei e cristiani sacrificassero neonati alla divinità. Opera e spettatori erano completamente sulla stessa frequenza d’onda, abituati ad un pensiero schematico e didascalico che sostituiva storia e cronaca con la costruzione immaginata. Pasolini, le cui riprese erano iconiche come tableau vivant, per una sua scarsa attitudine ai movimenti di macchina, lasciava al suo pubblico, quadri di orrore autoritario che restavano nella mente. come foto dei cadaveri viventi di Auschwitz. PPP, ragazzo anno ’50, non era però completamente in linea con il suo pubblico; odiava la psichedelia nella musica e cinema, le culture alternative degli stupefacenti e l’idea di travestire Stalin da figlio dei fiori. Preferiva il sano comunismo, soluzione a tutti i mali, al consumismo alternativo, anche equo e sostenibile.

porcile

D’altronde il regista aveva già anticipato le tematiche della cruda carnalità e sessualità inumana e orripilante in Porcile, opera del ’69 nel quale il primo episodio fa riferimento proprio agli ex nazisti. In una sontuosa, ordinata e geometrica villa (la veneziana Villa Pisani a Stra, Riviera del Brenta, sito dell’incontro nel ’34 tra Mussolini ed Hitler) della cittadina tedesca di Godesberg degli anni sessanta, i noti attori Lionello e Tognazzi, il regista Ferreri ed il protegé di Pasolini, Davoli sono contadini e ricchi industriali, fra cui un ex criminale nazista ed il padre preoccupato per l’apatia del figlio, che in realtà ha una passione fremente di zooerastia per i maiali allevati in una porcilaia oltre il giardino. Il ragazzo, né ubbidiente né disubbidiente, disinteressato ai discorsi lucidi e razionali dei grandi che mentre trattano di questioni commerciali, scherzano sugli inenarrabili orrori degli esperimenti medici dei campi di sterminio e trattano le proprie responsabilità con ironica, comica e mostruosa leggerezza, scatenato nell’eros sodomitico con i maiali, finisce vittima dei suini che lo divorano proprio mentre i contadini vengono a festeggiare in villa per il successo economico della famiglia. Il padre e gli altri borghesi mettono letteralmente una pietra sullo scandalo, anzi una lapide (inquadrata all’inizio del film), dalle parole raccapriccianti di rimprovero genitoriale, Interrogata ben bene la nostra coscienza, abbiamo stabilito di divorarti, a causa della tua disubbidienza. La maschera da maiale sulla testa del padre indica allegoricamente l’identità tra porci e borghesi, che era peraltro consueto slogan del tempo. Doppiamente porci in quanto nazisti, impenitenti, quindi recidivi. Il ragazzo finisce divorato e condannato dalla classe borghese industriale ed agricola legata agli orrori nazisti; e per converso, per la sua sessualità senza regole, che in Pasolini veicola ad un tempo la liberazione sessuale primigenia ed insieme l’incipiente consumismo del boom economico, i cui meccanismi vengono collegati direttamente all’orrore nazista. L’esempio e la descrizione delle immagini dell’eros e della tremenda morte del giovane zoofilo, di cui i maiali non lasciano neanche un bottone intatto, Pasolini l’aveva ricavato dal Psychopathia Sexualis, studio clinico del 1886 sulle patologie sessuali dello psichiatra tedesco Krafft Ebing primo a scrivere di inversione sessuale dell’omosessualità maschile, di sadismo e di masochismo, facendo rientrare in quest’ultimo il martirio e l’umiliazione religiosa della carne. A scanso di equivoci si ricorda che l’omosessualità è stata considerata nel ‘74 naturale dall’associazione degli psicologi USA; nel ’90 non più malattia mentale e nel ’93 definita scientificamente una variante naturale del comportamento umano; mentre è ancora considerata patologica la Dig, disforia di genere infantile, l’incapacità di interiorizzare in corpore et animo armoniosamente il proprio sesso.

porci

Qui i porci non sono colpevoli come in Orwell per essere boss autoritari; qui gli animali, anzi, sono vittime di harassment sessuale, assassini istintivi senza colpa. Il genitore stesso, in quanto porco, ha allegoricamente cannibalizzato il figlio che inseguiva la maialità del consumismo sessuale. Ed è porco anche il figlio, colpevole delle deviazioni sessuali, dove la zooerastia include l’aberrazione dell’attrazione anale omosessuale, e del mal di consumismo viziato da cui ogni male procede.  Per allegoria i borghesi sono porci in quanto tali ed altre sette volte per nazismo, capitalismo, voluttà di consumismo e di consumo sessuale, deviazionismo di confesso, procurato e subito cannibalismo. Poiché per l’autore, però, la sessualità arcaica istintiva animale primigenia è testimonianza di vita e di equilibrio spirituale tra uomo e natura, come ricorda l’altro episodio di Porcile, che la modernizzazione capitalistica strappa all’uomo, alienandolo, diventa difficile, per il caso del figlio fissare il confine definitivo tra la sua anima di vittima o anche di carnefice. L’ambiguità a Kezich, fa venire in mente Biografie di Kluge che tratteggia il nazista incaricato di raccogliere crani di commissari sovietici ebrei, insieme quasi cannibale e collezionista di cannibaliPasolini che aveva portato le Ceneri di Gramsci a Mosca, venne sorpreso dalle recensioni russe (esempio della nefandezza che può essere raggiunta da un regista occidentale) che definì orrende.  Moravia, recensendo il film, ci vide l’opinione definitiva di Pasolini sul nazismo che c’è stato perché si debbono salvare gli interessi. A costo di diventare cannibali. Messo così, il giudizio nichilista di condanna non era più sul nazismo ma globale su tutta l’organizzazione e lo sviluppo della società umana.

storicità

Il sadismo del film orecchiava l’idea comune della macchina concentrazionaria, ma chiaramente non trattava di nazismo, di antisemitismo, di Shoà; di fascismo, di Repubblica sociale, di guerra civile italiana, di Resistenza. Pasolini lo dice chiaramente È un film su l’anarchia del potere, perché il potere fa praticamente ciò che vuole e ciò che il potere vuole è completamente arbitrario; motivato nella sua ira io detesto soprattutto il potere di oggi che manipola i corpi in modo orribile, che non ha niente da invidiare alla manipolazione di Himmler o Hitler. Il protagonista di Salò è il sesso deviato che permette al potere di mostrare il suo vero volto. Quattro signori (Duca, Monsignore, Giudice e Banchiere) rapiscono e selezionano con l’assistenza di quattro maitresse Megere (tre narratrici e una pianista), un gruppo di giovani (divisi in vittime, soldati, collaborazionisti e servi), chiuso in una villa sotto sorveglianza che attraversa i gironi di sangue, di merda e di morte fino alla strage finale con una end folle. Gli abstract cercano di sottolineare il contesto storico repubblichino, postulando che i signori siano gerarchi fascisti; le guardie, SS e repubblichini; le vittime, membri di famiglie antifasciste. Eppure, i titoli hanno il sapore delle signorie cinquecentesche oppure dei notabili dannunziani, e non appartengono ad alcun regime storicizzabile né fascista, né nazista. Le location non sono caserme, carceri, tantomeno campi di transito, di concentramento e di sterminio; ma ville storiche cinquecentesche e napoleoniche della bella Italia ed il clima dissoluto e delle torture ricorda di più la corte del Valentino, alias Cesare Borgia che la modernità. Le uniformi non appartengono a polizia ed esercito individuabili; solo i baschi richiamano i berretti della X mas di Borghese. Si è a Salò, perché ad inizio film appare l’insegna del Comune bresciano, collocata però su un punto sbagliato del Lungolago Zanardelli, dal quale è visibile la prospettiva di via Rimembranza a Gargnano, e di Villa Feltrinelli, dove i quattro aguzzini pianificano le regole delle giornate. Pochi i flash precisi, come gli elmetti tedeschi SS nel rastrellamento e cattura di un giovane, all’aia della Corte Grande di via Cesare Battisti 8 a Roncoferraro; la voce di Hitler ed i versi del 99° Canto del fascista Pound (scritto però nel ‘57)alla radio; il canto dopo la prima cena, comune ed intimo di carnefici e vittime, della canzone alpina Sul Ponte di Perati bandiera nera la meglio gioventu’ va sotto tera e la bandiera rossa, presente in uno dei finali alternativi, allegoria dell’assente antifascismo delle famiglie dei sequestrati. Lo stesso PPP dà poco rilievo alla collocazione geostorica, alludendo ai quattro stendardi sufficienti per evocare il nazifascismo; in un’intervista a francesi, Pasolini posiziona il film addirittura nella Vichy di Petain. La repressione nel film si fonda su un rapporto carcerario estremo; mai di sfruttamento sociale. Cavani e Brass avevano posto le proprie opere, con riferimenti geotemporali e politici precisi, in Germania ed in Austria, in un albergo ed in un bordello. Pasolini, senza dare rilievo alla storicità, colloca la sua in un metatempo acronico, il cui riferimento nazifascista, è solo concettuale in fondo una concessione ad un pubblico politicizzato che così lo può meglio comprendere e seguire. Era molto più preciso il riferimento storico di Porcile.

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