Nel 1495 Ludovico Sforza detto il Moro decise di destinare la chiesa del convento di Santa Maria delle Grazie a luogo di sepoltura della sua famiglia, così commissionò per i frati un affresco di m. 9,10 x 4,20 nel loro refettorio. Del lavoro, retribuito dal Moro, fu incaricato Leonardo da Vinci che accettò l’incarico con poco entusiasmo. Leonardo infatti detestava la tecnica ad affresco perché richiedeva una stesura veloce su intonaco umido. E lui era lentissimo a lavorare. Che fare per non rinunciare all’importante commissione lavorando alla sua maniera? Decise di sperimentare una tecnica tutta sua con base grassa direttamente su parete. In quanto al tema, potendolo scegliere, decise di rappresentare l’ultima cena di Gesù con i suoi apostoli o, più precisamente, il momento che seguì l’annuncio: “Uno di voi mi tradirà”. Leonardo, infatti, che amava stupire rappresentando i moti dell’anima, i gesti, le espressioni, sapeva che per ottenere un grande effetto, di quell’ultima cena doveva immortalare l’attimo immediatamente successivo l’annuncio. Ciò che doveva rappresentare erano animi sconvolti.
Iniziò così ad aggirarsi per le vie della città esaminando i passanti, scrutando chi si affacciava dagli usci delle case, chi s’intratteneva presso le osterie. Il risultato dei suoi studi fisiognomici fu che il lavoro del Cenacolo progrediva più lento del solito e il Moro sembrava rassegnarsi ai tempi di Leonardo. A non rassegnarsi erano i monaci, che non ne volevano sapere di abbandonare le comodità terrene per indirizzare la mente alle cose del cielo: si lamentavano di non poter consumare i pasti comodamente seduti nel refettorio.
Si può immaginare la sala ingombrata per anni dall’impalcatura, i colori e i pennelli per terra, l’odore di solventi nell’aria, le proteste dei monaci che rimbombavano tra le pareti. Nel vedere il loro refettorio trasformato in cantiere e Leonardo lavorare senza alcuna fretta, i frati si spazientirono. Del resto, cosa ne potevano sapere loro di prospettiva, profondità, gestualità? Forse avrebbero potuto comprendere meglio i moti del cuore, se ormai la Chiesa non si fosse allontanata dall’insegnamento di Cristo smettendo di preoccuparsi del cuore dei fedeli. E il Cristo, anziché insegnarlo per le vie, la Chiesa preferiva farlo dipingere nei refettori. Così, dopo aver protestato dinanzi al lavoro incompiuto di Leonardo, i monaci andavano a protestare anche dinanzi al loro priore, Vincenzo Bandello. Costui, abituato a dirigere i lavori dell’orto, iniziò a sollecitare Leonardo a darsi da fare con il pennello come faceva con i frati che dovevano menare la zappa. Il risultato fu di indispettire l’artista.
Giorgio Vasari scrive che dopo aver constatato che non ne cavava nulla, il priore se ne dolse col duca: fu un tradimento che Leonardo non gli perdonò. Quando fu chiamato dal Moro, Leonardo si giustificò tirando in ballo la complessità delle espressioni facciali e disse che però ormai gliene mancavano solo due, le più complicate: quella di Cristo, difficile da trovare tra gli umani, e quella del traditore Giuda, difficile persino da trovare all’inferno.
Leonardo era molto colpito dal racconto biblico di Giuda. Lui stesso aveva avuto a che fare con dei traditori. Per esempio quando fu denunciato per sodomia. Ora a tradirlo era il priore, che si rivolgeva al duca. Così Leonardo rispose “che alla fine non trovando meglio, non gli mancherebbe quella di quel priore, tanto importuno et indiscreto”. Giorgio Vasari scrive che il Moro, ormai rassegnato alla lentezza di Leonardo, non poté che riderne divertito. In quanto al priore tornò a occuparsi del suo orto e Leonardo dipinse il traditore di Cristo con la faccia del suo stesso traditore.
Mentre Leonardo lavorava al Cenacolo, Matteo Bandello di circa dodici anni, nipote del priore, nel 1497 bazzicava il convento. Dovette rimanere sorpreso nel notare che il traditore Giuda Iscariota assumeva via via la faccia di suo zio. Bandello, per nulla mosso dal desiderio di vendicare lo zio priore, non tramanda un’immagine di Leonardo svogliato; anzi, racconta che a volte lo vedeva giungere al mattino presto, salire sul grande ponteggio, iniziare a dipingere fino a sera tardi finché la luce lo permetteva senza appoggiare mai il pennello. Si dimenticava persino di mangiare o di bere. Poi magari passavano giorni senza che si facesse vedere, assorbito da chissà quale diabolico marchingegno. Altre volte invece vedeva Leonardo recarsi dinanzi al suo dipinto, contemplarlo per due o tre ore immobile, e poi andarsene senza fare nulla. Racconta che la cosa più curiosa era di vederlo arrivare in pieno giorno sotto un sole cocente, afferrare il pennello, dare una o due pennellate a uno dei visi degli apostoli, riporre il pennello e tornarsene da dove era venuto. Incredibile! Leonardo sembrava assalito da un’ispirazione incontenibile di dare una pennellata in un verso anziché nell’altro e non perdesse l’occasione per sfruttare quell’attimo d’illuminazione.
Leonardo, che cercava sempre di rappresentare con le espressioni i pensieri più nascosti, nel Cenacolo sviluppò al massimo la capacità di cogliere un preciso istante di pathos. Dipinse meravigliosamente i discepoli sconcertati dinanzi all’annuncio di Gesù.“Come?”“Chi?”“Quando?” si domandano i discepoli cercando conferma nei propri vicini di aver inteso correttamente quel che avevano inteso. Giuda, però, non aveva bisogno di conferme; sapeva di essere lui il colpevole. “Com’è possibile che sappia?” si domanda Giuda appoggiato con un gomito sul tavolo. Per l’agitazione ha riversato una saliera sul tavolo. Con la mano sinistra intanto prende un boccone che Gesù gli porge. Strano. Stranissimo. Leonardo raffigura Giuda mancino. Come lui. Entrambi utilizzano la mano del diavolo, com’era intesa a quel tempo la sinistra.
Nel Cristo non si nota nessuna agitazione; è statico, perfettamente figurato come una divinità. In contrapposizione, gli apostoli sono scossi dalle umane passioni. A differenza degli altri, però, l’agitazione di Giuda è interiore. Solo lui e Gesù sanno chi è il traditore. Giuda guarda Gesù; ma Gesù non guarda Giuda. Quest’ultimo, che non è isolato dagli altri, si isola mentalmente da loro. Anche Gesù è raccolto in se stesso, ma non si isola dagli altri. Sono gli altri ad allontanarsi da lui. Persino l’amato discepolo Giovanni. Il Vangelo che porta il suo nome al capitolo 13, versetto da 21 a 25, dice: “I discepoli si guardavano tra loro, incerti di chi parlasse. Uno dei discepoli, quello che Gesù prediligeva, se ne stava appoggiato al petto di Gesù, e Simon Pietro gli fece cenno e gli disse: ‘Di chi parla?’. Posato come era pertanto sul seno di Gesù, gli domandò: ‘Signore, chi è mai?’”(versione Ricciotti).
Nel dipinto di Leonardo però, anziché appoggiare la testa sul petto di Gesù, Giovanni si volta dall’altra parte e sembra provare disgusto per ciò che ha compreso. Undici degli apostoli ancora non sanno se, e come, consolare Gesù per un tradimento. La scena raffigura così bene l’agitazione che seguì quell’annuncio, che il Vasari scrisse: “Alle teste degli Apostoli diede tanta maestà e bellezza, che quella del Cristo lasciò imperfetta, non pensando poterle dare quella divinità celeste, che a l’imagine di Cristo si richiede”.
Il Cenacolo fu terminato nel 1498. Purtroppo, la tecnica utilizzata in quell’occasione, era congeniale al modo di lavorare di Leonardo, ma non lo era al trascorrere del tempo. La decisione di sperimentare una base grassa direttamente su parete, infatti, si rivelò un errore. Leonardo era un genio, ma non per questo era infallibile. Sperava che la nuova tecnica offrisse il dettaglio e la ricchezza di una pittura a olio ai secoli a venire, ma purtroppo il suo lavoro cominciò subito a sgretolarsi. Non era solo colpa di Leonardo, ma anche dell’umidità sotterranea che penetrava nelle pareti. Nel corso dei secoli sono state compiute varie opere di restauro.
Purtroppo, nel XVII secolo, si decise che era più importante non far giungere le pietanze fredde ai commensali, che ammirare il dipinto. Così si aprì una porta per collegare il refettorio alle cucine. E il Cristo fu privato dei piedi.
Michela Pugliese
Dal saggio “Leonardo da Vinci, l’uomo al di là del mito”
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