È Brescia una delle province che sembrano maggiormente interessate alla transizione ecologica, digitale ed energetica verso cui sta andando il mondo produttivo, anche in virtù e per effetto delle politiche del Next Generation europeo, che sta iniziando a vedere l’attuazione anche nel nostro Paese con il PNRR. Non solo benefici però, perché le imprese saranno costrette a delicate trasformazioni in vari settori produttivi. Saremo quindi pronti per cogliere nel modo giusto questa interessante opportunità? La parola spetterà soprattutto alle istituzioni, che dovranno dimostrare la capacità di porre in essere adeguate politiche attive, ed incanalare pertanto le imprese in questo percorso di mutamento verso una direzione sempre più moderna. Non è un segreto che Brescia sia la prima provincia industriale d’Europa sia per valore aggiunto (oltre 10 miliardi di euro) sia per numero di occupati (oltre 160mila) – superando anche importanti distretti industriali della Germania – ed è chiaro che su questo fronte rappresenterà la bussola del processo di transizione.
Resta però emblematico un altro dato da non sottovalutare. Nel bresciano, secondo quanto rilevato da Cisl, il 14,1% dei cittadini in età lavorativa sarebbero Neet, 8mila persone cioè che non studiano e non lavorano. Un dato certamente preoccupante che va posto alla base di una serie di riflessioni, ma che comunque è nettamente al di sotto della media nazionale, pari al 29,8%. E lo stesso discorso vale per i tassi di disoccupazione, che mentre a livello nazionale sono pari al 9,2%, nel bresciano restano attorno al 4,5%, e il 53,6% di questi sono disoccupati di lunga data, e parrebbero rappresentare la cosiddetta disoccupazione fisiologica.
La transizione ecologica rappresenterà senz’altro un percorso virtuoso per tutti gli imprenditori che vi faranno fronte decidendo di attivarsi per un percorso di riqualificazione, ma che richiederà tempo e convergenza di interessi. Si tratta di politiche attive che faranno di certo bene al Paese e al mondo del lavoro: le dinamiche dei privati dovrebbe facilmente garantire nuovi posti di lavoro e livellare ancor di più la soglia di disoccupazione, molto più di quanto non possano fare i Centri per l’impiego, che anche recentemente hanno dimostrato tutti i loro limiti. Sono infatti solo il 5% i lavoratori che sono riusciti a trovare un’occupazione grazie al loro intervento, contro un 16% dell’apporto privato. Ed il punto è stato colto nel migliore dei modi anche da Tiziano Treu, già Ministro del Lavoro e oggi presidente del CNEL, sottolineando che “Il maggior successo del privato rispetto al pubblico è legato al maggior rapporto che il primo ha con le imprese rispetto al settore pubblico”. Lapalissiano, potremmo dire. Ed è proprio per questo che sarà determinante il coinvolgimento di aziende e rispettive associazioni di categoria nel processo, con la finalità di creare le giuste sinergie ed arrivare all’obiettivo. Per quanto riguarda ad esempio il settore siderurgico, uno dei più importanti quanto a presenza sul territorio bresciano, si è espresso il numero uno di Assofond Roberto Ariotti: “L’implementazione della ricerca necessaria alla decarbonizzazione costerà alle imprese 15 miliardi di euro in 10 anni, ma consentirà la creazione di 150.000 posti di lavoro qualificati” ha dichiarato, “Con Confindustria abbiamo proposto al Governo di costituire un fondo. Questo permetterebbe alle nostre aziende di avviare investimenti generatori di 10 miliardi di PIL fino al 2030”.
Un 2022 che segnerà pertanto il punto di partenza di un processo lungo e complesso, ma dal quale si potranno cogliere importanti frutti.
Andrea Valsecchi
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