Secondo Eurostat, nel 2080 la popolazione europea dei 28 stati membri sarà composta quasi al 30% da persone di età superiore ai 65 anni (circa 10 punti percentuali in più della situazione attuale); l’Italia è forse il Paese più vecchio dell’Unione Europea (Spagna e Francia sono lì a un passo), con un tasso percentuale di over 65 che supera il 22% rispetto alla popolazione complessiva, dove gli ultraottantenni sono quasi 7 su 100, conseguenza del fatto che l’aspettativa di vita media per il nostro Paese raggiunge quasi l’83%.
Ne consegue che gli anziani d’Italia sono stati, e lo sono tuttora, tra i più colpiti d’Europa dal Covid, un dato suffragato dall’elevato numero di ricoveri e decessi registrato dalle quattro ondate del virus.
Sugli anziani, e sul loro benessere emotivo compromesso dagli effetti psicologici causati dalla pandemia, sono stati fatti parecchi studi, in Italia ma anche all’estero; un articolo di qualche mese fa, pubblicato sul The New York Times, dal titolo “Why older people managed to stay happier through the pandemic” – “ Perchè le persone anziane sono riuscite a rimanere più felici durante la pandemia” – raccoglie alcuni studi, condotti nei primi mesi di pandemia del 2020, secondo i quali gli anziani avrebbero affrontato la prima fase di isolamento con uno spirito di maggior fiducia rispetto a quello delle giovani generazioni: i vantaggi dell’età, nonostante la percezione dell’emergenza in corso, hanno garantito loro un maggior equilibrio emotivo rispetto ai giovani.
Allo stesso risultato sono arrivate le nostre Università italiane, che hanno portato avanti ricerche in campo emotivo, psicologico e cognitivo/comportamentale, intervistando campioni di giovani e anziani, provenienti da diverse regioni del nostro Paese; i giovani hanno accusato i cambiamenti più importanti nella loro routine di vita: si sono sentiti soli, hanno avuto problemi di qualità del sonno, hanno notato cambiamenti a livello del proprio funzionamento mentale e cognitivo.
Al contrario, la persona anziana ha mostrato di essere più resiliente ed emotivamente stabile anche nelle situazioni più stressanti, come questa emergenza sanitaria, privilegiando le emozioni più positive, quelle in grado di farla sentire meglio, e soprattutto più serena.
Numeri, percentuali valide per statistiche e grafici, ricerche in vari settori come quello della psicologia, ma il mondo dell’anziano merita senz’altro un’analisi più “emozionale”; gli anziani hanno interiorizzato i propri affetti: spesso hanno rinunciato a chiedere presenza, imparando a stare nelle relazioni in modo diverso, anche utilizzando quelle modalità di comunicazione, come le videochiamate, che prima rappresentavano una barriera tra loro e i millenians. Mi riferisco ovviamente alle persone autonome, che non necessitano di assistenza continua in casa, o in strutture adeguate.
Per una forma di riguardo noi li chiamiamo “anziani”, ma loro spesso ci rispondono che sono semplicemente “vecchi”, e te lo dicono con quello sguardo un po’ perso nel vuoto, e anche un po’ malinconico, che non può che suscitare grande tenerezza; e mentre cerchi di indovinare a cosa stiano pensando, arrivi quasi sempre alla conclusione che sono loro i più resilienti: nella consapevolezza di una prospettiva di vita che non è più illimitata, vivono in un futuro che in fondo è già presente, e lo accettano. E quindi non puoi che ammirarli, uomini e donne che hanno vissuto, e superato, periodi anche peggiori di questo, resistendo a guerre, povertà e mancanza di cibo, quel cibo razionato da quella tessera che, negli anni 40, dava diritto ai loro genitori di ricevere generi alimentari differenziati a seconda dell’età.
Alle privazioni sono già abituati, sarà forse anche per questo che, persino durante il primo lockdown, a mio padre non è mai interessato riempirsi il carrello della spesa per avere molte scorte: mentre lui acquistava soltanto un po’ di più del solito, io mi comportavo esattamente all’opposto: non ho mai comprato così tante provviste alimentari come in quel periodo, pensando “non si sa mai!”.
Giovani e anziani, due modi differenti di vivere la pandemia; sarebbe interessante riuscire a promuovere degli incontri, per ora virtuali, per permettere alle diverse generazioni di confrontarsi anche su questi argomenti: uno scambio che potrebbe rivelarsi molto utile anche dopo la pandemia, favorendo una cultura pro-aging, e non anti-aging, dove si metta in evidenza che l’anziano può essere una risorsa importante per la società.
Tutte le politiche sociali dovrebbero cercare di andare verso questa direzione, diffondendo una visione diversa da quella attuale, che è invece sempre più orientata verso criteri mirati alla sola produttività, e che attualmente considera gli anziani non funzionali al proprio sistema in quanto non produttivi, e di conseguenza li emargina.
La società dovrebbe rendersi conto che il soggetto anziano è un patrimonio vivente di esperienze, di saggezza trasmissibile e di valori, e quindi dovrebbe aiutarlo a comprendere meglio il presente, e ad integrarsi con l’ambiente che lo circonda; questo favorirebbe un buon invecchiamento, anche perché i giovani d’oggi saranno gli anziani del futuro.
“Un giovane cammina più veloce dell’anziano, ma è l’anziano che conosce la strada” (proverbio africano).
Loredana Felici
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845
Un articolo che analizza la problematica giovane anziano alla luce degli ultimi avvenimenti pandemici. Si pone l’accento sull’importanza della’anziano, che già anticamente era considerato “la saggezza” er l’esperienza di vita che il giovane non ha. Purtroppo oggi l’anziano, e di questo non si parla nell’articolo, è spesso confinato, se non rinchiuso in case anziani, una volta chiamate “ospizio” e qui spesso non fanno altro che aspettare la morte. Quale prospettiva si prepara oggi per gli anziani di domani? Che ruolo si riserva loro nella società?
Problemi aperti, a cui bisognerà, prima o poi, dare una risposta.
Buonasera Pietro, (quasi buonanotte ormai). Hai ragione, non ho parlato delle problematiche dell’anziano che vive nelle case di riposo, ma l’ho anche specificato in una parte dell’articolo; mi sono quindi riferita agli anziani autosufficienti, anche perché l’articolo era già piuttosto lungo.
Quella che ti sollevi è una questione molto spinosa, che è percepita, e vissuta, in modo diverso a seconda del Paese dove si vive. In Ticino, ad esempio, come anche in altre nazioni, è diverso che in Italia…e anche in Italia l’approccio non è lo stesso tra nord e sud.
Potrebbe essere un argomento interessante per un altro post; in linea di massima, io penso che – a meno che sia strettamente necessario per problemi medici – l’anziano ci guadagni di più in salute a stare a casa sua, ed essere curato da una badante, piuttosto che andare in una RSA. Ma questo soltanto se non ci sono problemi insuperabili…
Ciao Loredana, grazie per l’analisi fatta. Ciò che hai detto dovrebbe far riflettere tutti. La ns società dovrebbe basarsi sul connubio di giovani ed anziani, insieme abbiamo la possibilità di far cambiare le cose e farle meglio. Il proverbio Un giovane cammina più veloce dell’anziano, ma è l’anziano che conosce la strada” è un bellissimo sunto. Un grazie ancora e attendo il prossimo articolo. Un abbraccio
Ciao Simona, grazie a te per aver letto pazientemente un articolo che nella mia testa avrebbe voluto essere più corto…ma poi nel mio cuore ha preso un’altra piega.
Sono fermamente convinta che gli anziani e i giovani insieme starebbero benissimo a livello psicologico. Come ottenere tutto questo? Non è facile, io non ho certamente la bacchetta magica, ma mi piacerebbe che fosse così!
Ciao, e grazie per il tuo commento, alla prossima 🙂
Un tema interessante
Grazie Federico!
bella tematica e articolo scritto molto bene!
Grazie mille Alex, gentilissimo!
Il tuo articolo tocca temi di mio interesse che spesso ricorrono nei post del mio blog. Se hai letto qualcosa, ma nn credo, potresti averlo notato. Calo demografico, immigrazione, sostituzione etnica, conflitto generazionale, problemi di comunicazione ma nn solo tra giovani e anziani, aspettativa di vita prolungata che ben venga, ma che oggettivamente ha causato qualche problemino al nostro sistema pensionistico. In quanto allo spirito con cui l anziano ha affrontato e superato la pandemia, direi che è normale, le vicissitudini della vita ne hanno temprato/fortificato lo spirito. Io personalmente mi preoccupavo più delle conseguenze sui miei cari che di me stessa. Io ho vissuto abbastanza, loro no! Avrei da obiettare sul lascito del loro patrimonio culturale, del divario specie nel campo tecnologico, mentre le esperienze del vissuto sono un patrimonio irrinunciabile e spesso nn facile da condividere per una serie di ragioni tra cui la difficoltà di comunicazione. Si parla per esperienza che eviterebbero delusioni ai giovani, ma nn si viene ascoltato. I mezzi di comunicazione nn ci mancano,anzi, ma come facilitarla tra generazioni è un arte nn per tutti facile.
Spesso mia figlia vuole chiedermi qualcosa, ma poi rinuncia dicendo: guardò su Google che faccio prima!
Ciao Edy,
Grazie per il tuo commento, a cui ho risposto direttamente sul mio profilo di fb.
Saluti.
Loredana,
esistono interessanti esperienze di convivenza tra giovani ed anziani (create da ambiti pubblici) che permettono sia uno scambio esperienziale che di saperi e conoscenza tra le generazioni.
Credi sia un buon modo di rispondere alle esigenze sia economiche che di socialità di entrambi i lati.
Buon lavoro!
Emanuele, credo che sotto questo aspetto ci sia purtroppo ancora tantissimo da fare!
Grazie per il tuo commento.