Esattamente due anni fa, il 21 febbraio 2020 a Codogno, grazie all’intuizione di una dottoressa anestesista, veniva scoperto il “paziente 1”, il primo caso di malato di Covid in Italia. Il 38enne Mattia Maestri fu anche il primo paziente d’Europa. Fino a quel giorno, il Covid era stato riscontrato solo in Cina e in Iran. Due anni dopo, i numeri sono impietosi: 12.427.773 contagiati e 152.848 decessi. Solo in Italia. Una catastrofe che, a livello globale, ha registrato oltre 423 milioni di contagi e 5 milioni 844mila morti. InTerris chiede un sunto di questi due anni in trincea alla dottoressa Caterina Marabotto, pediatra presso il reparto di Pediatria Multispecialistica dell’OPBG di Palidoro sotto la direzione del dott. Campana.
L’intervista alla dottoressa Caterina Marabotto (OPBG)
In questi due anni di pandemia, quanti bambini avete avuto in cura per Covid?
“Ad oggi abbiamo ricoverato qui nella sede di Palidoro oltre 1100 tra bambini e ragazzi under 18. La maggio parte dei ricoverati sono stati ragazzi over 12 o bambini sotto i 5 anni”.
Come avete vissuto questi due anni?
“In prima linea come tutti i sanitari. Sono stati due anni molto impegnativi, anche dal punto di vista umano, anche se inizialmente sembrava che i bambini fossero meno soggetti a prendere il covid o ad avere forme impegnative. L’arrivo delle varianti ha purtroppo smentito questa prima ipotesi. La difficoltà iniziale fu anche di tipo logistico: curare i bambini ricoverati per covid e al contempo sia proteggere i sanitari al lavoro sia tutelare la salute dei bambini ricoverati per altre patologie, spesso gravi e dunque particolarmente fragili. Durante la prima ondata, inoltre, abbiamo ricoverato bambini senza nessun genitore che li accompagnasse perché positivi anche loro e ricoverati in altri ospedali. Insomma, momenti dove l’accompagnamento umano dei piccoli
Quali sono state le forme più comlesse e gravi che avete riscontrato?
“Le cure in terapia intensiva sono molto rare in età pediatrica, ma il Sars-Cov-2 può essere pericoloso anche per i più piccoli. In particolare, la più grave è la Sindrome Infiammatoria Multisistemica (o Mis-c), una risposta iper infiammatoria scatenata a seguito del contatto con un virus Sars-CoV-2 in soggetti predisposti geneticamente. In Italia, secondo il registro nazionale di casi Mis-c in età pediatrica, ci sono stati 239 casi. Poi ci sono le miocarditi che hanno conseguenze serie quando sono innescate dal virus. C’è inoltre il long Covid che colpisce il 5-7% di coloro che hanno contratto l’infezione e che a distanza di tempo presentano ancora dei sintomi tipici come l’astenia, la stanchezza cronica, disturbi gastro-intestinali. Nella stragrande maggioranza dei casi, fortunatamente, i bambini se la cavano con forme molto lievi, qualche linea di febbre o un raffreddore. Ma non è possibile purtroppo prevedere in origine l’esito finale della malattia”.
Le varianti hanno modificato il quadro per i bambini?
“Decisamente sì. Con la variante Omega, che è molto più infettiva anche in età pediatrica, c’è stato un balzo da gennaio scorso del numero di bambini contagiati nella fascia 0-5, quella dunque non ancora vaccinabile, con un conseguente aumento delle ospedalizzazioni. Abbiamo inoltre avuto, con questa variante, dei casi più gravi nella fascia neonatale. In definitiva la variante Omega ci ha visto molto più impegnati e ci sono stati molti più bambini ricoverati. Da noi, ad esempio, in questo momento ci sono circa 60 bambini ricoverati e 6 di loro sono in terapia intensiva. Per questo ricordo l’importanza della vaccinazione in età pediatrica: con la variante Omicron è stata sfatata l’idea che i bambini non si ammalassero di Covid o quantomeno non avessero reazioni gravi al virus. Invece con la malattia possono subentrare problemi respiratori o la Mis-C. I decessi sono rari, ma il vaccino serve ad evitarli”.
Quale è stato – nella sua esperienza – il momento più drammatico di questi due anni e quale il più bello?
“Il peggiore è stato tutte le volte che abbiamo dovuto accompagnare i bambini in rianimazione per la Mis-c. Momenti difficilissimi a livello emotivo sia per noi medici, sia per i genitori e sia ovviamente per i piccoli malati. Il più bello è stato l’avvio della vaccinazione perché chi lavora in un reparto ospedaliero ha sempre la paura di portare fuori il virus e di far ammalare i propri cari. L’avere uno strumento per proteggere le persone più fragili, a partire dagli anziani e dai malati, ma anche chi lavora in ospedale è stato un sollievo sia dal punto di vista medico, sia da quello umano e personale. Oggi chi prende il Covid lo vive come una semplice influenza ma non dimentichiamoci che un anno fa non era affatto così. Il secondo momento positivo è stato l’avvio della vaccinazione per i bambini che ha fatto crollare il numero dei casi gravi in età pediatrica. Inoltre, grazie alla vaccinazione, la sindrome Mis-C si presenta sempre più raramente anche negli over 12. Infatti il vaccino, anche se non protegge al 100% dalla possibilità di prendersi il Covid, è in grado di proteggere dalle forme più gravi come la Mis-c che è la più preoccupante in età pediatrica. Oggi, in definitiva, i bambini in rianimazione, come avviene per gli adulti, sono quelli non vaccinati.
Cosa abbiamo imparato da questi due anni di pandemia?
“Che non eravamo né pronti né preparati ad affrontare una pandemia a livello globale. Il Covid ci ha impegnati a trovare nuove strategie nel brevissimo periodo. Credo ci abbia cambiati anche dal punto di vista umano: dinanzi alle tantissime morti la maggior parte delle persone ha imparato il rispetto per se stessi e per gli altri, ed è diventato più sensibile alle necessità dei fragili e che non siamo tutti uguali. Abbiamo imparato a lasciar perdere le cose superflue e ad apprezzare le piccole cose che davamo per scontato”.
Vuole lanciare un appello?
“Sì. Capisco la difficoltà dei genitori di far fare il vaccino ai propri figli; e che è più difficile scegliere di farlo su di loro che su se stessi. Però io che ho vissuto questi due anni in prima linea, e ho visto cosa il Covid può portare anche nei più piccoli, vi dico: abbiate fiducia nella scienza e vaccinateli! Con questo virus dovremo conviverci a lungo. Vaccinarsi significa proteggerli dalle complicanze, dar loro la possibilità di riacquistare una vita sociale più normale possibile, dopo le grandi fatiche e rinunce che hanno vissuto in questi due anni, e non ultimo proteggere quei bambini che il vaccino, anche volendo, per motivi di salute non possono farlo”.
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