Mai una volta, nella Storia, le sanzioni economiche hanno raggiunto lo scopo auspicato: indebolire, o addirittura piegare il sanzionato. Il risultato è sempre stato opposto. Dall’Italia fascista ai tempi della guerra d’Etiopia (1935) alla Russia putiniana ai tempi della guerra di Crimea (2014), di regola le sanzioni hanno rafforzato politicamente il regime contro il quale sono state promulgate, incoraggiandolo, peraltro, a trovare nuove sponde internazionali. A rimetterci sono state sempre e solo le economie dei paesi sanzionatori, anche se in forma disomogenea. Gli Stati Uniti, ad esempio, tendenzialmente ci hanno rimesso meno dei paesi europei.
Era questo, credo, che nel linguaggio diplomatico dovuto, ha inteso dire Mario Draghi quando ha apparentemente aderito alla linea sanzionatoria americana circoscrivendone, però, il perimetro con due paletti imprescindibili. Bene le sanzioni economiche contro la Russia di Putin, ha scandito il presidente del Consiglio italiano, ma solo se “efficaci e sostenibili”. In quei due aggettivi c’è tutto. C’è la logica generale e c’è l’interesse nazionale.
Ma non si tratta solo di garantire gli interessi commerciali ed energetici dell’Italia. Non si tratta solo di trovare il modo per contenere davvero, e senza ipocrisie, lo zar Putin. Si tratta anche di evitare la saldatura strategica tra due imperi rinascenti, quello russo e quello cinese, proprio nel momento di maggior declino di quell’impero americano da cui noi europei imbelli tutt’ora dipendiamo. Pochi hanno notato che una settimana fa, mentre a Washington si ipotizzava di escludere le banche russe dal sistema Swift di pagamento internazionale, Mosca e Pechino hanno dato vita ad un sistema Swift comune.
Blog Andrea Cangini senatore Forza Italia
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