Da ormai quasi un secolo il bene nel mondo, il progresso nel mondo, la protezione e lo sviluppo delle libertà nel mondo, sono stati assicurati nonostante l‘incombere della piaga comunista. E per converso il male nel mondo, l’arretratezza nel mondo, il vilipendio delle libertà nel mondo, si sono avuti a causa di quell’infezione inguaribile. Le società torturate e sequestrate, le economie malferme, l’inesistenza o l’assoluta precarietà dei diritti elementari in qualunque sistema appena civile, l’assenza o il carattere puramente fittizio dello schema democratico, la tecnologia obsoleta, i sistemi produttivi involuti in un’eterna inefficienza: queste sono le cose che alternativamente, o spesso cumulativamente, ha regalato al mondo la peste comunista.
E non vale, a contrasto, obiettare che analoga miseria e violenza si registra anche dove quel morbo non ha attecchito. Non vale perché non si tratta di realtà quantitativamente comparabili e, soprattutto, perché l’autocrate africano o asiatico non trae il suo potere da nessuna tradizione legittimante, se non quella tribale e dinastica che però non ha le pretese di giustizia sociale invece proprie della secolare menzogna comunista.
Sono decenni, e l’andazzo continua, che il corso civile e di benessere del mondo è intralciato dall’interferenza comunista: quella che soffoca le economie e i diritti, quella che spia, che incarcera, che censura, che espropria. E che, quando non basta, interferisce facendo la guerra: non la guerra inevitabilmente ingiusta che fa l’Occidente, ma quella dopotutto comprensibile contro l’Occidente che ha la colpa di essere libero.
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