Ci ha lasciati da presidente delle maggiori fondazioni liberali Martino; docente, politico, economista, intellettuale, ministro, straordinario divulgatore, un meridionale, allievo di Friedman e amico della Thatcher. L’uomo che ha interpretato, anche fisicamente, il mito del liberalismo di massa, praticamente un unicum. Come evidenzia Capezzone, l’hanno commemorato, tra i più noti, in tre; con lui solo Del Debbio e Porro, che non conta perché dello scomparso fu l’allievo guidato pigmalionescamente. Questa noncuranza manifesta la pochezza dei media italiani ed anche la faziosità, che ha ignorato l’uomo, non potendolo coprire di fango, né battere nel dibattito. Si diceva fosse un provocatore, quando ripeteva che il nemico del progresso, dopo il comunismo, è l’ambientalismo; che non c’è democrazia senza opposizione; che le persone non sono proprietà dello Stato; che il nemico è l’esattore e non l’evasore; che le tasse bloccano l’ascensore sociale: che il debito pubblico è stato voluto soprattutto dai comunisti; che San Francesco è stato un danno per i poveri; che il moderato rinuncia alle proprie idee perché in politica ci vuole coraggio e non onestà o competenza.
Postanticomunismo
Come si vede, l’uomo che disse comunista a Malagodi era ben capace di inimicarsi ambientalisti, sinistri, solidaristi, benecomunisti, statalisti, burocrati, grandcoalition, politicocorreti, cattolici, moderati, patrioti. Sempre però, se se ne segue il ragionamento, a buona ragione. In realtà Martino considerava che essere liberale oggi significa saper essere conservatore, quando si tratta di difendere libertà già acquisite, un conservatore della parte di Papa Wojtyla e Reagan(e Thatcher),celebrati alla National ConservatismConference2020 della Burke Foundation,per la vittoria sull’idea globale omologante del comunismo ed anche per tratti che oggi diremmo antidemocratici (dal colonialismo ai putsch), assai più gravi delle mancanze ungheresi. Senza più nemici, però, il turbopostcapitalismo dalla difensiva è passato, all’interno dello stesso sistema democratico, a pretese assolutistiche quali l’omologazione della globalizzazione economica, dell’innovazione tecnologica a tutti i costi, dei consumi omnicomprensivi ed equivalenti, del melting pot dei popoli, del dominio di poteri sovranazionali privati, dell’abolizione di ogni concetto di frontiera, inclusa la sessuale, dei feticci estremistici dell’ecologismo, del diversismo, dell’estensione ossessiva dell’uguaglianza di genere e dei diritti fino ai Lgbtq+, tranne quelli dell’uomo bianco, del nuovo lessico, dell’eutanasia e del femminismo, in una ripida deriva scellerata e degenerativa che ha il suo manifesto nella subcultura politically correct e cancel culture.La rivoluzione silenziosa di Inglehart si oppose efficacemente all’inefficiente marxismo, ma non sembra in grado di farlo sotto il super efficace turbopostcapitaliamo. La nuova madre occidentale è un uomo che usufruisce del grembo affittato di una donna non occidentale, in attesa di un ambiente robotico che sostituisca il ventre femminile.
Pantano
Nella mente dei più, il naturale campo conservatore in Italia è un pantano postdemocristiano fatto di rassicurazioni, garanzie, paura di perdere l’abitazione ed il tenore di vita raggiunto, governismi e aziendalismi, senza avventura e senza invettiva. Il vero disagio italiano è il contratto sociale del posto fisso andreottiano e dell’assistenza eterna in cambio del consenso all’inefficienza burocratica. Si sono già visti i codini, i passatisti, i reazionari, gli austriacanti, i conservativi, i retrivi, i benpensanti difendere il passato di fronte all’avanzare della modernità; preservare le guarentigie feudali e la servitù agricola di fronte alla modernizzazione. In nome dell’uguaglianza voci come Pasolini tessero l’elogio dei tempi premoderni; di quei tempi era parte costituente la morale bigotta generale e allora Pasolini si fece esempio della libertà estrema dell’espressione e del comportamento individuale. Un busillis inestricabile. Oggi le sabbie mobili del pantano moderato sono rappresentate dai progressisti, veri conservatori in continuità degli assetti sociali, politici, militari e istituzionali. Nessuno è miglior governista dei sinistri e sinistri, allineati per due punti al turbopostcapitalismo e per un punto al terzomondismo parareligioso. I progressisti non possono però promettere nel lungo periodo le garanzie antiche e presenti, perché, come i codini di un tempo, non hanno indipendenza di pensiero e di governo.
Pericolo
Per gli Eatwell, Goodwin, Bale e Kaltwasser il maggior pericolo per la democrazia del XXI secolo è la radicalizzazione dei conservatori attratti dalla destra, realizzati tra i Tories nazionalpopulisti, il Grand Old Party trumpizzato, il Popularfranchizzato, il Pls polacco, l’Orbán danubiano, i democristiani svedesi e la Cdu vicini all’Afd e la retorica italiana della destra neofascista. Se esce dal pantano, cioè dal consenso neghittoso per la dottrina globale del circo finanziario, il conservatorismo si fa, ancora con Inglehart, autoritaria contro-rivoluzione silenziosa. Il conservatore deve stare con l’Occidente politicamente corretto, se no, è poco democratico, già sulla china per il nazismo. Ai conservatori non resterebbe che l’unico ruolo legittimo di custode, di curatore, di guardiani silenziosi del nostro tempo, di restauratore museale di un tempo aureo e magnifico che su di sé porta però, le stigmate della vergogna assoluta, l’Olocausto. Scettico per natura, il conservatore sta nel suo tempo e ha presente che l’allargamento della sfera della decisione privata e alla compressione di quella pubblica e collettiva cozzano contro l’usbergo della famiglia, della donna impastoiata nei doveri muliebri, dei valori religiosi perduti nel tempoe dello Stato nazionale sovrano; che non esiste l’assoluto neoliberismo di cui spesso si va cianciando; che i partiti di massa di un tempo non torneranno; che non è inevitabile, fortunatamente, il programma del big government, di sostituzione degli Stati con le multinazionali.
Ocone
Come ci ricorda Ocone, esiste oggi una dicotomia occidentale tra liberalismo e democrazia, tra estremismo dei diritti rigidi e teorici, forzosi e forzati, e libero consenso della volontà popolare. Il conservatore si fa reazionario pur di difendere l’inalienabilità della libertà che rischia di venire smarrita, a costo di essere fuori dal suo tempo. L’unificazione europea di industria, energia e difesa nacque sotto il segno tutto conservatore degli stati nazionali euroccidentali, risorti dopo la guerra. Nel paradosso di Ocone, l’evoluzione negativa dell’Unione ha fatto invocare salviamo l’Europa dagli eurocrati che hanno già ridotto, tra finanza, antitrust e regolamentazione il Pil europeo su quello globale dal 25% al 18%.
Europeista
Martino però resta uno dei veri europeisti, di quelli che amano l’Europa e hanno a cuore le sorti future del vecchio continente, per liberarlo dal destino di superstatalismo burodiplomatico, nel nome di libertà e indipendenza. I conservatori europei, sempre primo partito e guida di Commissione ed europarlamento, ma calati al 21% dal 29,4% nel 2014 e 36% nel 2009, al governo solo di Grecia e Austria sono chiamati a rafforzare il peso della volontà popolare diretta nell’ottica dell’affermazione e non della negazione europea. Senza i giochi di parole che espellono Orban dal conservatorismo, senza caricature, senza i trucchi che hanno permesso a Macron di giocare con l’elettorato spostando i voti di sinistra a destra e viceversa, senza timore dei cordoni sanitari criminalizzanti delle obiezioni tipiche di sinistra. I conservatori capiscono benissimo perché i polacchi rifiutino poche migliaia di profughi asiatici e siano pronti ad accogliere milioni di ucraini. Gli esperti non ammettono né la scientificità della razza, nemmeno le diversità dei popoli perché le multinazionali sono multirazziali. Un ampio campo comune conservatore, in sintonia con la maggioranza dei popoli e molti governi può rilanciare i valori destri europei senza debolezze dalla tassazione, alla libertà economica all’immigrazione, al nucleare, alla repressione sanitaria, all’indipendenza digitale, al sovranismo continentale.
Coraggio
Il conservatorismo in Italia è stato spesso tacciato con accezione negativa, per l’occupazione indebita del campo del pantano, per la mancanza, ricordata da Martino, di coraggio, quello del filosofo israeliano Hazony, autore de Le virtù del nazionalismo e quello degli anglosassoni. Tutto contrario al pantano, Prezzolini, nel Manifesto dei Conservatori, definisce il conservatore difensore della civiltà nata dall’ideale della vita attiva in politica. Sottostante, la libertà dell’individuo e della nazione nel momento in un guazzabuglio di frasi fatte e menzogne cerca di costruire una democrazia senza popolo, come ha dimostrato l’elezione quirinalizia. Lungi da esserne l’anello debole, i conservatori sono i difensori della democrazia. Oggi che il potere supremo è nelle mani dei peggiori, dal basso all’alto, dalla magistratura alla burocrazia, divenuti Stato a sé, fino all’inefficiente sistema parlamentare, è quanto mai vero l’epigramma di Longanesi che del conservatore diceva che vive in un paese in cui non c’è nulla da conservare.
Nell’attuale età di mezzo, attraversata da trasformazioni e mutamenti, le sensibilità sono cambiate. I socialdemocratici non si battono più per l’eguaglianza. Gli ecologisti sono estremisti centristi. I social rumorosi sono a loro insaputa il partito delle multinazionali. I paesi sono valutati da agenzie mentre la liquidita dipende non dalla produzione e dal risparmio ma dal nuovo conio dei poteri forti. La vittoria elettorale è condizione necessaria ma non sufficiente. La politica espropriata dei suoi poteri, si vendica nell’autonomizzarsi delle segreterie, dei corpi eletti e scissi, delle formazioni inesistenti e dei numerosi centri di potere autonomi nella voglia di sfarinamento proporzionale che è già maggioranza del sistema elettorale. L’elettorato si vendica con l’astensione mentre l’indignazione antisistema non ha rappresentanza. L’emergenza infinita è la nebbia necessaria a governi opachi. Fantasie di fantasmi.
Partito conservatore
Liberointellettualmente, il campo conservatore stoicamente abituato all’ostracismo, si sfrangia in innumerevoli varianti tra cui, distinti nell’analisi di Giubilei, i conservatori rivoluzionari, che si battono per restaurare cosa è stato, non per conservare cosa è. Fdi, alla kermesse Atreju, si è detta appunto conservatori rivoluzionari. È assai più difficile, con Martino, sostenere la libertà senza aggettivi, in una società in cui i desideri non siano imposizioni giuridiche. Il provocatore Martino compreso da tutti, senza contrapporre economia e popolo, contestava alla base il mito della mercificazione dell’uomo e del ’68, degenerato nella cancel culture. E’ più semplice riunirsi nel destruens dell’avversione all’Islam, che affrontare il costruens, la libertà dal moloch pubblico che oggi si declina sia nello Stato che negli organismi sovrastatali, anche privati. Divisioni, mancanza di chiarezza e coraggio hanno impedito finora la nascita di un partito conservatore che Martino saluterebbe con favore.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.