Rapporto Fipe 2021: in due anni chiuse 45 mila imprese di ristorazione

Società

È quanto emerge dal rapporto annuale 2021 della Fipe che evidenzia come nel biennio 2020-2021 la spesa delle famiglie nella ristorazione è diminuita di 57 miliardi. Il settore ha perso quasi 200  mila dipendenti rispetto al 2019

Si conferma per il secondo anno la forte frenata della nascita di nuove imprese e la contestuale accelerazione di quelle che chiudono che nel biennio 2020/2021 toccano la soglia di 45 mila cessazioni. È quanto si legge nel rapporto annuale sulla ristorazione 2021 elaborato dalla Fipe, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi. Nel 2021, in particolare, hanno avviato l’attività 8.942 imprese mentre circa 23.000 l’hanno cessata. Il saldo è negativo per quasi 14 mila unità. Nel 2021 oltre il 71% delle imprese della ristorazione dichiara di aver registrato una contrazione del proprio fatturato rispetto al 2020. Tra queste ben il 32% ha lamentato una diminuzione che va oltre il 20%.  Per appena il 16% delle imprese il 2021 è stato l’anno della parziale ripartenza. Per queste imprese, il fatturato è cresciuto anche se per la maggioranza di esse di meno del 10%.

Le complicazioni legate all’obbligo di green pass (48%) e il calo della domanda a seguito delle restrizioni (44,6%) sono i fattori che nel 2021 hanno maggiormente condizionato la dinamica del fatturato dei pubblici esercizi. Non va trascurato quel 30,7% di imprese che segnala i condizionamenti psicologici dovuti alla recrudescenza della pandemia che è stata particolarmente intensa proprio nella seconda parte dell’anno quando le attività hanno comunque potuto continuare a lavorare. Con queste premesse, si legge nel rapporto, risulta scontato che i volumi di attività raggiunti nel 2019 siano ancora lontani. Quasi l’86% delle imprese dichiara che anche nel 2021 i ricavi sono rimasti sotto i livelli pre-pandemici. Tra queste, il 75% denuncia un calo superiore al 10%. In media tra il 2021 e il 2019 si registra una riduzione del fatturato del 13%.

Consumi famiglie per ristorazione diminuiti di 57 miliardi nel biennio 2020-2021

Nel biennio 2020-2021 i consumi delle famiglie nei servizi di ristorazione hanno cumulato perdite di domanda per oltre 57 miliardi di euro. Evidenzia il rapporto annuale sulla ristorazione della Fipe. La perdita più consistente è quella del 2020 con il doppio lockdown di inizio e fine anno, che ha generato una contrazione dei consumi pari a 33 miliardi di euro. Nel 2021, a seguito dell’allentamento delle misure restrittive sul finire del primo semestre, si è registrato un trend di ripartenza della domanda che, tuttavia, è rimasta al di sotto dei livelli del 2019 di circa 26 punti percentuali quantificabili in più di 23 miliardi di euro.

Quasi 200 mila dipendenti in meno rispetto al 2019

In termini di lavoro dipendente le imprese del settore della ristorazione hanno perso nel 2020 oltre 243 mila unità che sono state solo in minima parte recuperate nel corso del 2021. Il risultato è che in questo ultimo anno il numero dei lavoratori dipendenti è ancora inferiore di 194 mila unità rispetto ai livelli del 2019. Lo si legge nel rapporto annuale sulla ristorazione 2021 elaborato dalla Fipe, che sottolinea come il tema del lavoro sia “senza ombra di dubbio la grande emergenza scatenata dal covid e dalle misure restrittive introdotte nel settore dei pubblici esercizi”. Alla dispersione delle competenze fa riferimento il 28% delle imprese che dichiara di aver perso alcuni dei propri collaboratori e, in particolare, il 21,5% di queste che ha perso collaboratori formati da tempo e “di esperienza”. La necessità di recuperare il capitale umano perduto nell’anno del lockdown ha portato il 32,6% dei pubblici esercizi intervistati a ricercare personale nel corso del 2021.

Due imprese su tre hanno incontrato difficoltà nell’individuare le figure professionali necessarie con conseguenze negative sull’organizzazione aziendale.

Le principali motivazioni alla base della difficoltà di reclutamento del personale sono le competenze inadeguate (40,3%), la penuria di candidati (33,5%) e le misure di sostegno al reddito che disincentivano la ricerca di lavoro (32,4%) da interpretare anche alla luce di considerazioni sulla scarsa attrattività del lavoro. 

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