Tutta colpa di Tolik

Esteri RomaPost

Dopo le star, anche la politica russa ha scontato l’andamento negativo della guerra. Il 66enne Čubajs, inviato speciale presidenziale sul cambiamento climatico, si è dimesso il 23 marzo lasciando Mosca (il giornale Kommersant ha rivelato il luogo dell’arrivo in Turchia).

Anatolij Čubajs

La sua è stata una partenza silenziosa, assieme alla terza moglie, senza dichiarazioni, senza una parola di troppo, neanche ai familiari, a parte secche dimissioni. Malgrado la chiamata alle armi putiniana contro feccia e traditori del 16 e la criminalizzazione di piazza (che non è però cominciata solo oggi) la fuga di Redhead Čubajs al momento gli lascia aperte tutte le porte.

Non ha criticato come il suo successore Dvorkovich dimissionario a Skolkovo; non ha condannato la guerra, è uscito da un vertice dal quale era da tempo isolato. Lo stesso Cremlino ha avuto poco da commentare. Eppure, la notizia fa impressione perché è riduttivo dire che se ne sia andato un funzionario di altissimo rango. Se ne è andato un pezzo di storia, quella della privatizzazione e dell’occidentalizzazione del Paese. Se ne è andato un politico che diede a Putin il suo primo lavoro al Cremlino; l’unico dei padrini dello zar degli anni ’90 sopravvissuto fino ad oggi e che potrebbe tornare in scena a seconda dell’evoluzione degli eventi. Redhead ha sempre fatto in tempo ad andarsene un momento prima che le cose diventassero tragiche, senza smettere di stare con indipendenza dalla parte del sistema.

Erano partiti insieme Putin, Gaidar e Čubajs giovani comunisti di Leningrado il cui segretario cittadino era Eltsin. Con Sobciak facevano proprio i quattro amici al bar di paolesca memoria, una sorta di fantastici 4 alla sovietica. Rimuginavano e si lamentavano per il disastro gorbacioviano che tanto piaceva all’Ovest. Bielorusso di nascita, altissimo, allampato, 5000 lentiggini, rosso rigji di capelli come il fondatore capo Riurik della notte dei tempi, Rzhavy Tolik (diminutivo di Anatolij) era stato portato dalla famiglia militare ad Odessa e Leopoli prima di Leningrado mentre il fratello filosofo gli spiegava cosa non andava nel sovietismo e la madre ebrea lituana gli illustrava l’economia. Nei ’70 era stato uno dei fortunati inviati all’Istituto viennese Laxenburg per l’analisi dei sistemi applicati. Ai seminari angloamericorussi anche altri demoni della perestrojka, da Gaidar a Nechaev, Shokhin, Yasin, Mordashov ed il futuro sindaco moscovita Popov, cercavano di mescolare stalinismo economico e mercato. Raccomandato per entrare nel Partito, associato con specializzazione metaledile nell’82 al Leei (Leningrad engineering & economic Institute intitolato a Togliatti), presidente dei giovani specialisti nell’87, il Rosso organizzò il club Perestroyka, focolaio di demoschizofrenia demshiza per discutere un po’ di democrazia ed un po’ il da farsi. Andavano di moda le libertà di mercato, pensate per le piccole e medie imprese, tanto per cominciare a farsi la bocca con una Russia anche capitalista. E Čubajs ne scriveva con i giovani visionari economisti Yarmagayev e Glazkov.

A quelle sessioni che erano lezioni ci andavano Kudrin, futuro ministro delle finanze e presidente della banca di San Pietroburgo, volto umano del putinismo; Kogan, il futuro antitrust; Manevich futuro vicegovernatore di San Pietroburgo, ma soprattutto ci andava il futuro premier Gaidar, quello dei voucher della privatizzazia. Gromiko, l’ultima cariatide sovietica, non avrebbe certo definito il Nostro un dissidente liberale. Nel ‘90con il club Reforma raccolse i soldi del tulipano, tramite una fattoria, per finanziare l’elezione di Sobchak, sindaco l’anno dopo, e degli altri non comunisti al Soviet di Leningrado. Si era convinto allora che nessun Gosplan potesse intercettare la domanda di mercato. Nella nuova San Pietroburgo con il nuovo sindaco, Tolik diresse il Comitato per la riforma economica municipale ma l’idea della zona economica libera con capitalizzazione della proprietà pubblica gli venne bocciata.

L’RSFSR di Eltsin dei primi ’90 doveva muoversi verso il mercato con legittima partecipazione di ogni cittadino alla proprietà statale. L’incarico andò al nuovo premier Gaidar che si ricordò di Redhead, a lui noto fin dall’83. Gli affidò nel ’91 il cruciale Rosimushchestvo Comitato per la gestione della proprietà demaniale. Ricorda Čubajs, Non potevamo scegliere tra privatizzazione onesta e disonesta, tra comunismo di gangster e capitalismo di gangster; ogni fabbrica venduta era un chiodo nel coperchio della bara del comunismo; stavamo creando una nuova classe di proprietari. In bella copia, Hard Course, transizione verso un’economia di mercato in URSS, Century XX and World VI. Nel ‘93, le aste di privatizzazione dei voucher, dall’idea di Nayshul, tra modello Ungheria e modello Ceschia, diedero il via a 25mila crimini a scapito di quella che doveva essere la vasta classe di proprietari. Čubajs aveva chiare le disuguaglianze e le tensioni sin dalle dimissioni di Gaidar del ’93 che non aveva retto ad un’economia matje, blatje e tuftje (volgarità, corruzione e falsificazione). Tra ‘94 e ‘96 Rzhavy Tolik fu vicepremier finanziario poi fino al ’97 capo dell’amministrazione russa, quando grazie alla Banca mondiale finanziò a piene mani la formazione dei dipendenti del Comitato immobiliare statale con i consulenti di privatizzazione occidentali.

Sulla privatizzazione l’alibi del Rosso era la responsabilità personale di chi l’aveva firmata, il presidente Eltsin il cui consenso era sceso al 3%. Per la sua campagna presidenziale ’96 ci vollero $600 milioni, l’appoggio americano ed il miracolo Čubajs che con la Civil Society Foundation lo fece risalire al 54%. Fioccarono gli arresti per la scatola nera dei fondi illeciti tra rapporti scandalizzati di Cia, Fbi e Tesoro Usa.  La Banca Centrale russa gonfiava le proprie riserve di almeno £ due mila miliardi non versati. Migliaia di miliardi di crediti occidentali del Fmi alla Russia finivano in conti segreti sparsi in banche svizzere, tedesche, Deutsche Bank, americane, New York Bank, caraibiche, anche con l’uso massiccio dell’insider trading ai massimi livelli. Fbi e Tesoro americano prepararono una severa normativa antiriciclaggio che la Duma votò. Il veto posto nel ’99 da Eltsin preparò la sua fine politica. Nondimeno il collasso del rublo del ‘98 obbligò il Fondo Monetario al prestito d’emergenza e Chubais, che sedeva alla Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (Ibrd) ed all’Agenzia multilaterale di garanzia degli investimenti, potè cinguettare al Kommersant My kinuly Li abbiamo fatti fessi.

Lo scambio politico tra Usa e Russia postsovietica era evidente. Fu concesso ai partinni, burocrati gestori dei beni statali e nuovi russi, giocando sui valori dei prezzi interni e di quelli di mercato, di depredare i risparmi ed i crediti esteri, in cambio dell’abbandono di ogni interesse politico internazionale e nazionale. Čubajs allora mentiva a sé stesso, abbiamo bisogno di milioni di proprietari, non una manciata di milionari. Nella cleptocrazia diffusa c’era anche lo spazio per il feedback di fondi utili alle campagne di Clinton e Gore. Comunque la Russia visse un breve periodo di libertà quale raramente aveva mai visto. Čubajs era al suo top, membro del club Bilderberg a Turnberry, Scozia ’98, copresidente del Round eurorusso degli industriali di Russia e dell’UE, durante la sessione congiunta della Commissione Ue con la Federazione russa nel ’95.La migliore Russia per l’Occidente era quella mediorientale.

In questi frangenti venne scelto l’erede di Eltsin. Poteva essere Abramovich, custode del fondo familiare del presidente, poteva essere il suo capo della sicurezza, che però mentore Čubajs, era stato sostituito da Putin. Poteva essere Čubajs medesimo, che però preferì il ritirato trono decennale da Boiardo di Stato dell’elettricità. Tolik non ha mai voluto diventare il padrone di un boccone di banca, combustibili, energia o metallurgia come erano soliti fare gli uomini dell’ex Partito. Con loro comunque condivideva la durezza cekista, ti preoccupi della gente? Bene, 30 milioni moriranno. Non si adattavano al mercato. Non ci pensare, ne verranno di nuovi. Al tempo delle riforme diceva bisogna mettere sotto controllo tutti i media centrali, adottare leggi dure su stampa e partiti. Raccomandava scioglimento dei sindacati, divieto di scioperi, controllo delle informazioni, repressione diretta dei beni economici delle parti, limitazione dei poteri e scioglimento degli organismi rappresentativi. La popolazione deve capire chiaramente che il governo non garantisce lavoro e standard di vita, ma garantisce solo la vita stessa.

Nel ‘98 Anatoly guida il colosso elettrico Rao Ues, la cui rete da unica venne divisa in diverse società di generazioni e di rete per tenere basse le tariffe. Assicurò che in Russia non ci sarebbero stati i blackout energetici registrati in quegli anni in Usa. In realtà continuarono le precedenti interruzioni a singhiozzo. Un sordo malcontento popolare lo ricorda misantropo latente, un po’ ebreo, un po’ lettone (indicativamente dal cognome), padre della privatizzazione predatoria e della selvaggia democrazia russa che ha ridotto di mezzo milione di persone all’anno la popolazione del paese. Russofobico, sai, ho riletto Dostoevsky negli ultimi tre mesi. E ho un odio quasi fisico per quest’uomo. È certamente un genio, ma la sua idea dei russi come un popolo eletto e santo, il suo culto della sofferenza e la falsa scelta che offre mi fanno venir voglia di farlo a pezzi. Di questo rancore, che Dugin condivide, si nutre lo strano caso del colonello spetznaz terrorista Kvachkov, arrestato e condannato nel 2005 per aver tentato l’assassinio di Čubajs, considerato una sorta di Gelli russo, al vertice di una mafia giudeo massonica di controllo del paese. Poliedricamente Putin, un po’ Dugin, un po’ Čubajs lo ascolta ma guardingo lo tiene ai margini.

Sotto la presidenza Medvedev, quando irrompe il digitale, Čubajs è chiamato a dirigere Rusnano (Russian Nanotechnology Corporation) e la Fondazione Skolkovo, la Silicon Valley russa, con una capacità di spesa di $ duemila miliardi per diventare leader mondiale nelle nanotecnologie. Čubajs, disilluso, su Internet recita Rusnano ha molti, solo molti soldi. Anche qui, mentre gli vengono arrestati i collaboratori per corruzione e senza colpe forse Rusnano chiuderà, lui appare inaffondabile; l’uomo dell’innovazione passa a parlare con le organizzazioni internazionali sul fronte caldo del clima.

Ora che è in Turchia, mai più di ora, Čubajs è la colpa di tutto, l’amico degli occidentali, quello stimato dal Financial Times; ma nel pendolo storico slavofilo ed eurofilo, tornerà utile di nuovo. Per ora all’Ovest resta solo Kudrin, l’ex ministro delle finanze per ora relegato alla Corte dei Conti, non certo un coraggioso oppositore. Su Čubajs, Putin rischia di rinnegare parte della sua stessa ascesa. Almeno per una cosa, però, attualmente Occidente e Russia convergono. Čubajs è la colpa di tutto.

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