Milano – Casa Monluè: donne e bimbi ucraini aggrediti dalle cimici

Milano

L’allarme scattato 10 giorni fa alla Casa Monluè. Esercito di cimici nel centro che ospita i profughi ucraini. Trovate sui cuscini e nei letti. Bimbi e donne aggrediti su braccia, gambe e volto. Intervenuti un medico e le guardie ecologiche. Poi è partita la bonifica dei locali.

Sono sopravvissute alla guerra e dopo il lungo viaggio della speranza in Italia, a Milano, si sono trovate di fronte a un esercito di cimici. Parassiti nelle stanze all’interno della struttura che ospita una settantina di ucraini, in prevalenza donne con bambini. E’ già intervenuto un medico e le guardie ecologiche volontarie per prendere atto dell’incresciosa situazione. Alcune donne sono state curate con pomate cortisoniche e quindi, attraverso il loro consolato a Milano, trasferite in famiglie italiane. Mentre ogni giorno i locali vengono sanificati.

E’ accaduto una decina di giorni fa, quando mamme con i figli sono stati assegnati alla Casa Monluè, un grande edificio comunale del primo Novecento milanese, tutelato dai beni culturali, ex scuola, gestito dalla cooperativa Farsi Prossimo Onlus, destinato ad accogliere donne e nuclei familiari richiedenti asilo. Prima della guerra in Ucraina, infatti, gli ospiti erano per la maggior parte africani. Un mese fa, attraverso il canale della prefettura, le rifugiate ucraine con figli, tutti minori, sono arrivati qui, alloggiati in stanze indipendenti e con i servizi in comune. Una sistemazione pili che dignitosa anche se, qualcuna lamentava le docce in comune e l’acqua del rubinetto da bere.

LA TELEFONATA
Poi, l’allarme cimici. Sono state trovate sui cuscini e nei letti. Bambini aggrediti sulle braccia, sulle gambe, sul volto. Ad avvisare del tremendo disagio è stata una telefonata di una ospite, Olena, 35 anni, di Kiev, ad una sua amica che abita a Cesare, alla periferia di Milano. «Aiutami, qui siamo tutti morsicati da insetti, forse zecche, ma non sappiamo a chi rivolgerci. Non c’è neppure il traduttore». Eppure, quando il nutrito gruppo di sfollati è arrivato, il coordinatore del centro, aveva persino rilasciato una intervista all’Agi, sottolineando la «risposta immediata ai bisogni primari, screening medico sanitario e orientamento legale». E aveva aggiunto: «Stiamo per attivare la scuola di italiano per chi si fermerà», Fino a un anno fa Casa Monluè puntava all’integrazione, adesso è diventata un Cas, centro di accoglienza straordinario, con tante piccole stanze che garantiscono la privacy. I bambini sono una quarantina e il più piccolo ha un anno.

CRITICITA’

«Accogliere le persone», sottolinea Riccardo De Corato, «senza prima accertarsi di una situazione interna così critica, non è certo un bel biglietto da visita. Nè per il Comune, nè per Milano». II medico ha stilato un certificato, consigliando per i malcapitati, pomate antibiotiche e al cortisone. Mentre per la sanificazione ha indicato due ditte. Olena e il suo bambino di 6 anni, dopo le cure del caso, sono finiti in una famiglia di Melegnano, mentre altri ospiti, tramite la Caritas Ambrosiana che gestisce una rete di appartamenti per l’accoglienza diffusa, sono stati sistemati in altre famiglie lombarde. Dunque, il peggio sembrerebbe passato. Ci sono stati nuovi arrivi, come Katrin, 31 anni, fuggita da Odessa insieme con la figlia di 8 anni, la suocera e la zia, che dice di trovarsi bene. «II cibo è buono e la mia stanza accogliente. Unico disagio è l’uscita giornaliera forzata per permettere la sanificazione degli alloggi».


MICHELE FOCARETE (LIBERO)

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