Il condominio popolare è scarnificato e sono rimaste in piedi solo le pareti esterne completamente abbrustolite. Le cannonate dell’artiglieria ucraina partono ad intermittenza verso le posizioni russe attorno a Sieverodonetsk, uno dei fronti caldi nel Donbass.
Il primo sibilo fende l’aria. È il rumore inconfondibile della granata che sta per piombarti vicino. Il poliziotto di scorta si immobilizza e Michael, che si è già beccato due bombardamenti urla: “Mortai, al riparo”. La prima granata esplode da qualche parte non molto lontano. La seconda è più insidiosa e vicina, ma ci siamo già catapultati nel seminterrato di un palazzo centrato dalle bombe. Un rifugio improvvisato mentre fuori continua lo scambio di artiglieria. Sieverodonetsk è sotto tiro fin dall’inizio dell’invasione, ma adesso “i russi sono nei sobborghi della città, molto vicini”, spiega il responsabile civile e militare dell’area, Oleksandr Serhiivych. Pure arrivarci non è facile. Al mattino da Lysychansk, la città che sovrasta Sieverodonetsk, il panorama non è dei migliori.
Una possente colonna di fumo nero si alza in mezzo alle case. Il cortile di un’abitazione è stato centrato da un missile Grad, che ha incenerito l’automobile parcheggiata e tutto quello che stava attorno. Una signora piangente esce di corsa da casa per dire: “Sono terrorizzata. Mio marito combatte e non riesco a mettermi in contatto con lui. Ho i bambini e non so cosa fare”. Il centro dei volontari che distribuiscono generi di prima necessità è sommerso dagli scatoloni arrivati da tutta Europa compreso uno della nostra Protezione civile. I volontari confermano che “riceviamo aiuti e medicinali anche dall’Italia”. Un trio di arditi ragazzini ci porta nel cortile di alcune case popolari dove si è aperto un enorme cratere. “Ho sentito il rumore di un aereo, che ha sganciato una bomba con il paracadute combinando questo disastro” racconta Lidia, che cammina con l’aiuto del bastone. Non si capisce quale fosse l’obiettivo.
A Sieverodonetsk si registrano 400 morti fra i civili dall’inizio dell’invasione secondo le autorità. I combattimenti più intensi sono a sette chilometri dal centro nel sobborgo di Rubezhne, che sarebbe già controllato dai russi per il 60%. In città sono rimaste 20mila anime, che vivono nei rifugi. Da un bunker atomico dei tempi sovietici escono come zombie 200 persone quando i volontari scortati dalla polizia portano viveri e generi di prima necessità. Famiglie intere con i bambini piccoli, anziani, ragazzine che escono dal sottosuolo per una boccata d’aria e ritirare gli aiuti. Una signora di mezza età, che parla inglese ci scongiura: “Vi prego aiutateci a fermare la guerra. Ci bombardano ogni giorno. Non ne possiamo più. Il bunker ci protegge, ma è invivibile”.
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Gli zombie ci accompagnano nella discesa verso gli inferi. La corrente è saltata e la luce dei telefonini illumina debolmente un pesante portellone anti atomico. Nell’enorme bunker sembra di essere tornati indietro nel tempo. Sulle pareti campeggiano la stella rossa e la falce e martello di sovietica memoria. I dannati che ci vivono hanno cercato di separare le camerate con teli di plastica nera, che rendono ancora più cupo l’ambiente. Gli zombie si muovono da sotto le coperte come l’anziana accanto ad un padre che culla il figlio piccolo. “Vedete come sopravviviamo? L’ambiente è malsano, la gente si ammala. Mancano le medicine e per i bombardamenti non riusciamo neanche a ritirare la pensione”, si lamentano i civili. I razzi Grad piombano anche sull’ospedale dove arrivano i feriti. Vitaly ha una gamba maciullata: “L’ordigno è esploso a cinque metri da me”. Un ferito con i capelli grigi fa delle smorfie di dolore per le costole spezzate dallo spostamento d’aria di una bomba.
Fausto Biloslavo (InsidOver)
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