Ci sono dal 1848, 25 presidenti di Francia, praticamente dei re elettivi sul trono dell’Eliseo. Come il primo, eletto nella II Repubblica dopo i moti rivoluzionari del 1848, e poi monarca, il nipote di Napoleone, Carlo Luigi Napoleone Bonaparte. I più giovani, il Giscard d’Estaing degli anni ‘70 a soli 48 anni, battuto dall’attuale Macron, a 39 (ma con la première dame più anziana).
Quelli sostenuti dalle armi straniere, come il Thiers, un altro finanziere, l’affossatore de La Comune ed era già III Repubblica; poi gli stranieri eleveranno al trono anche il generale Pétain al posto di Lebrun, il secondo presidente della sconfitta; poi, perché no?, ci metteranno, all’alba della IV Repubblica, fino al ’47,De Gaulle, il terzo presidente della sconfitta che però seppe trasformarla in vittoria (ma non riuscì ad occupare Monaco).
Poincaré, il presidente della vittoria, non era un militare, come il Mac-Mahon del 1879 ed il De Gaulle del ’58. Non lo era nemmeno Loubet, il presidente delle vittorie coloniali. Lunga invece la lista dei presidenti delle sconfitte; di quelle coloniali furono l’Auriol in Vietnam ed il Coty in Algeria. Da quest’ultima scaturì la V Repubblica gollista, senza mediazione parlamentare, con elezione presidenziale diretta a doppio turno, dal 2002 a durata quinquennale. Arrivarono Pompidou fino al 1974, poi nell’81 il primo socialista, Mitterrand Ton Ton, sostenitore del nostro terrorismo; il secondo ed ultimo socialista, tra gay e clima, è stato nel 2012 Hollande, perseguitato dal terrore jihad.
Ci sono stati presidenti colpiti da scandali e processi, il Grévy. leader dei repubblicani opportunisti, dimessosi nel1887; l’altro ex finanze Sarkozy, eletto nel 2007,condannato nel 2021. Rischiarono grosso anche il Mitterand degli anni ’80 e lo Chirac, sindaco di Parigi, dei ’90. Anche ammazzati come il Carnot del 1894 assassinato dall’anarchico italiano Caserio ed il Doumer del ’32 dal fascista russo Gorguloff. Gli antisemiti, come il Faure dell’affaire Dreyfus ed i filosemiti, a cavallo del secolo come il Fallières della riabilitazione. L’attuale presidente monarca, Macron segue la tradizione dei finanzieri e bellicisti ma non è riuscito a privatizzare la Francia. Avrà il suo secondo mandato come De Gaulle, Chirac, Mitterand; ma non con il medesimo successo.
Merito dei francesi è stato, lungo due secoli, di continuare a sostenere questi uomini (manca in effetti una presidentessa) pieni di poteri, sia che fossero rivoluzionari o reazionari; bellicisti e collaborazionisti, tanti, o pacifisti, pochi; sotto bancarotta e gossip o fidi religiosi dello Stato; socialisti come Blum, presidente provvisorio fino al ’47 o fascisti come Petain (ed entrambi non figurano tra i 25). Merito è stato nella II Repubblica, come nella V, fidarsi dell’elezione bonapartista diretta, dopo i tentennamenti della scelta parlamentare della III e IV Repubblica, ancora oggi prevalenti in Germania ed Italia (mentre Spagna e paesi nordici restano monarchie). Malgrado sconfitte, giudici, corruzione i francesi hanno continuato a credere nell’élite che neanche nei momenti peggiori non ha voltato loro le spalle come successo in Italia.
Certo, ora, di fronte al secondo assalto della destra de La Pen, con un esiguo scarto rispetto al favorito ex banchiere Macron, molti storcono il naso, parlando di disastro e di irrealtà. Ci sono cose, come l’atlantismo, la Nato, la globalizzazione, il multiculturalismo che molti vorrebbero consolidate per sempre, oggi più che mai dopo che il conflitto russoucraino ha precipitato di nuovo l’Europa in una guerra fredda, che è un soufflé, farcito caldissimo. Molti vorrebbero i fondamentali al riparo dal suffragio popolare che dovrebbe limitarsi a trattare di temi come i requisiti pensionistici ed il colore delle tendine. Il plebiscitarismo francese preoccupa.
Con la sostanziale annessione bielorussa di Mosca, la presumibile divisione dell’Ucraina in due e tutti gli scandinavi più gli svizzeri nella Nato, le gomme sono divenute più che lisce. Il vaso europeo ora tocca il ferro, spinto in avanti da altro ferro. Non sembra proprio che ai popoli sia possibile pronunciarsi sugli esiti militari di oggi e di domani, Dopo che la Russia ha dimostrato una minore forza militare rispetto a quella prevista, cresce lo spirito revanscista Usa che vede possibile l’occasione storica di far crollare il nemico storico e spostarlo lontano, in fondo all’Asia.
Non è meno occidentale, negli Usa, chi propende per una politica meno interventista nel mondo. Il voto americano sceglie a riguardo. Anche in Europa, dove il problema del ferro contro ferro si è fatto immediato, il voto potrebbe e dovrebbe scegliere. È presumibile che il voto italofrancotedesco sosterrebbe uno spirito di collaborazione con l’Est, senza velleità di giudizi sugli ordinamenti interni. Ai tempi del crollo dell’Urss, con la fantasia, la visione e la monelleria politiche tipiche dei socialisti di un tempo, Craxi proponeva lo scioglimento della forza contrapposta della Nato. Oggi è tardi per questo. Non lo è pretendere che in Europa la Nato abbia un comando esclusivo europeo.
Malgrado i timori, chiunque dei due contendenti vincerà il voto presidenziale di Parigi, non ci sarà alcun cambiamento sostanziale. Anche se la Francia uscisse dal comando comune dell’Otan, come la chiamano oltralpe, non uscirebbe dal Trattato del Nord Atlantico. E comunque una madam Presidente, in questo momento non uscirebbe nemmeno dal comando militare congiunto di Bruxelles. Ciò che è pericoloso, nei nostri ordinamenti occidentali è continuare a mettere a contrasto liberalismo e democrazia. Come se le scelte contingenti fossero il liberalismo e divenissero obbligatorie per la democrazia. Si rischia di perderli entrambi.
Il prossimo presidente, 25° o 26°, verrà eletto democraticamente. Le sue scelte saranno quelle del suo programma. Malgrado i difetti umani, resterà monarca laico di un paese libero ed orgoglioso di sé stesso.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.