A Mosca si è appena conclusa la parata militare nella piazza Rossa che celebra la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale. Il 9 maggio è oggi, per la Russia, una data fondante che ricorda non solo il sacrificio dei 28 milioni di persone che hanno perso la vita in quel conflitto, ma che funge da momento di orgoglio nazionale anche per le umiliazioni subite nei bui anni ’90, quando la Federazione ha vissuto gli anni più difficili del dopoguerra, alle prese con una profonda crisi economica dovuta al dissolvimento dell’Unione sovietica che ha minato le stesse fondamenta dello Stato. Una crisi i cui effetti di lungo termine si vedono ancora oggi, e che ha colpito soprattutto lo stato di approntamento e l’efficienza delle Forze armate. Proprio queste ultime sono tornate a essere, nell’immaginario collettivo russo, il simbolo della rinata potenza di Mosca, ed ecco perché, a partire dal 2008, nella parata si vedono sfilare regolarmente i mezzi militari.
Quest’anno però, proprio per le particolari contingenze date dal conflitto in Ucraina, si è prestata molta più attenzione al discorso del presidente Vladimir Putin. Nei giorni precedenti il 9 maggio, infatti, dal Cremlino sono state diffuse voci sulla possibilità di formalizzare lo stato di guerra con l’Ucraina, in particolare si è parlato di “guerra totale”. Vi abbiamo già raccontato di come queste parole non significhino affatto la minaccia di un conflitto atomico, piuttosto hanno molto a che fare col fronte interno e con un’esigenza squisitamente tecnica stante la situazione bellica, in cui l’esercito russo, in questa nuova fase apertasi circa a metà del mese scorso, continua a faticare a ottenere velocemente i propri obiettivi nonostante l’avvicendamento al vertice dell’operazione che ha visto arrivare il generale Alexander Dvornikov, già comandante delle forze di Mosca durante l’intervento militare in Siria.
Il presidente Putin non ha toccato questo tema delicato durante il suo discorso: non c’è stato nessun esplicito riferimento alla “guerra totale” e, a ben vedere, l’Ucraina non è stata quasi mai citata esplicitamente come un ente protagonista attivo di questo conflitto. Piuttosto il leader del Cremlino ha puntato il dito sulla Nato e sull’Occidente: secondo Putin è stata proprio l’Alleanza atlantica ad aver organizzato e preparato “apertamente” il conflitto per il Donbass; sempre la Nato è colpevole di aver militarizzato i suoi confini orientali, quelli che condivide con la Russia ma non solo; l’Occidente ha armato l’Ucraina e fomentato il suo sentimento “nazista”, che secondo Putin è quello su cui punta la Nato per colpire la Russia.
In generale è stato un discorso la cui retorica ha riguardato, oltre che l’aggressività dell’Alleanza Atlantica e sull’Occidente che ha “mistificato” il valore ed il senso della vittoria nella Seconda guerra mondiale”, il nazismo ucraino, erede di quello tedesco, e per questo le forze armate russe “combattono affinché non ci sia posto per i criminali nazisti”.
Nessuna “dichiarazione di guerra” quindi, e nessun riferimento alla “guerra totale” che dovrebbe, con ogni probabilità, portare alla mobilitazione generale delle Forze Armate. Il Cremlino, davanti agli occhi del mondo collegato con la Piazza Rossa in questo giorno simbolico che, oggi, lo è ancora di più, non ha alzato i toni preferendo concentrarsi sulla propaganda avente come leitmotiv il “nazismo” da sconfiggere: qualcosa che Mosca sta facendo da mesi, anzi da anni, appunto per giustificare l’operazione bellica.
Del resto non poteva essere altrimenti. La giornata, proprio per la sua stessa natura, guarda al passato glorioso della Russia per ricordare alla popolazione l’orgoglio patrio, le umiliazioni subite, e per infondere speranza per il futuro. Quel palco, sulla piazza Rossa, non è il luogo per annunciare una mobilitazione generale che, come inizia a trapelare, sembra già essere cominciata col richiamo dei riservisti: serve solo a infiammare i cuori e le menti dei russi, in particolare quest’anno proprio in funzione di un conflitto che necessiterà l’impiego di maggiori risorse.
Ecco perché è ragionevole ritenere che la mobilitazione sarà annunciata, se lo sarà, nei prossimi giorni e, riteniamo, nemmeno in “pompa magna” come invece fatto per il riconoscimento del Donbass o l’avvio delle operazioni belliche. Sarà interessante, a questo punto, capire se davvero Mosca intenderà anche formalizzare il conflitto con una dichiarazione di guerra ufficiale, che, come abbiamo spiegato, fornirà un contesto giuridico internazionale che permetterebbe a Mosca di richiedere una “resa senza condizioni” in caso di vittoria schiacciante, ma soprattutto sul fronte interno permetterà un contesto legale in grado di dare un giro di vite alla coscrizione e di evitare che qualche elemento dei reparti possa rifiutarsi di partire per il fronte, venendo sfruttato dalla propaganda antirussa.
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