In arrivo il bonus una tantum di 200€ per lavoratori dipendenti, autonomi e pensionati. Ma è davvero una scelta sensata?
Per far fronte all’inflazione (+6,2% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, fonte Istat), dovuta anche all’aumento dei costi dell’energia scaturito dalla controversia russo-ucraina, il governo Draghi, nella conferenza stampa di lunedì 2 maggio ha annunciato una nuova serie di manovre per assistere imprese e lavoratori che più hanno sofferto l’aumento dei prezzi. Tra le varie azioni annunciate, vi è un bonus di 200€ per pensionati, lavoratori dipendenti e autonomi con reddito inferiore a 35mila euro. Questa manovra andrà a interessare circa 28 milioni di italiani.
Negli ultimi giorni però sono state annunciate delle modifiche che aumenteranno la platea dei potenziali beneficiari. Infatti, nella bozza giunta al Consiglio dei ministri del 5 maggio, si prevede che al bonus potranno accedere anche i percettori del reddito di cittadinanza e i disoccupati (sempre con reddito inferiore a 35mila euro).
Si parla di una manovra che, stando a quanto riportato il 2 maggio, dovrebbe valere all’incirca 14 miliardi di euro senza però aumentare il debito pubblico perché queste risorse verranno predate alle aziende energetiche, per mezzo di un aumento della tassa sugli extra profitti (ottenuti vendendo a un prezzo più alto rispetto al costo medio di mercato) che passa dal 10% al 25%.
Scelta sensata?
Senza scomodare premi Nobel per l’economia, risulta ovvio come un contributo di 200€ una tantum non possa in alcun modo ovviare all’inflazione. Inoltre questa somma viene finanziata da un aumento delle imposte per le aziende quindi, come ci suggerisce un qualsiasi manuale di macroeconomia, ciò comporta una riduzione degli investimenti e, inoltre, il conseguente aumento della spesa pubblica comporta anche l’aumento del disavanzo commerciale (ovvero il saldo tra importazioni ed esportazioni). Risulta quindi come questo bonus sia una sorta di toppa per cercare di coprire un buco ben più importante causato dall’inflazione. La scelta che però avrebbe più senso da un punto di vista economico è invece la sola riduzione delle imposte perché, banalmente, se non pago le tasse su un bene questo costerà meno e a me resteranno più risorse da spendere, investire o risparmiare. Se invece aumentano i prezzi ma le tasse restano invariate (oppure aumentano), pagherò di più il bene e mi resteranno meno risorse in tasca.
Purtroppo non siamo nuovi a manovre di questo tipo, all’utilizzo di soldi altrui (ovvero le tasse) per cercare di vivere alla giornata nascondendo la polvere sotto il famoso tappeto.
Ci sarebbe poi da dire che l’Italia avrebbe potuto evitare questa crisi energetica fin dal principio, come fanno tutti i governi lungimiranti, andando a diversificare fonti e fornitori per non finire ostaggio di una sola fonte e/o fornitore. Questa manovra (dalla dubbia efficacia, trattandosi di un bonus una tantum) infatti sarebbe una misura “emergenziale” per far fronte all’immediato in attesa della messa a punto di nuovi accordi con i nuovi fornitori di energia.
– Mario Spoto –
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