Leggendo delle manifestazioni previste in Darsena e non solo, sembra che il Comune si assuma l’estemporaneo impegno di riqualificare almeno parzialmente l’immagine della città, deturpata dall’incedere del vandalismo grafico, ripulendo e cancellando decine di metri quadri di pareti pubbliche in vista di eventi culturali e probabili presenze turistiche in loco. Ma pare ci siano, nelle risposte di molti, diversi contenuti sarcastici e polemici verso chi denuncia una situazione di degrado urbano, in particolare dovuto alla presenza dilagante di graffiti, slogan, frasi più o meno volgari e/o offensive dirette alle istituzioni, alle forze dell’ordine, anche alla Chiesa. Proviamo ad entrare metaforicamente nella testa di deturpa, in un viaggio analitico del percorso che lo porta dall’adolescenza ribelle all’età adulta (spesso solo anagraficamente…)
Degrado? Dicesi…il guazzabuglio scomposto e arruffato di scritte, disegni spesso anche infantili, tags, un po’ di oscenità, un po’ di slogan, politica e sport. Un mix di esibizioni grafiche di gente che, dai primi peli di barba, trascina poi l’adolescenza fino ai 30-35 anni, forse convinta che non debba o possa finire mai, e quindi usa la città come lavagna su cui sfogare sentimenti, frustrazioni, sogni e illusioni. Soprattutto illusioni, perché tra non molto chi dopo anni di scarabocchi gira ancora armato di bomboletta o marker, si guarderà allo specchio. Oh cacchio…spuntano capelli bianchi? Qualche pelo di barba che inizia a sbiadire… Eh, vabbè! Si ma mi sono anche un po’ rotto di questo giro, che faccio, cosa scrivo, cos’altro disegno… Che ormai non si capisce più una mazza su sti muri. E poi a pensarci bene, a che serve? Chi legge i miei pensieri, ammesso che li trovi là in mezzo a quel casino di colori? E quando pure lì leggesse, in fondo poi che gliene frega? Ecco, così finisce il giocattolo dell’adolescente 30enne con un residuo di capacità autocritica, quando si desta e capisce che forse è arrivata l’ora di dedicare più tempo ad occuparsi di un domani sempre più fosco e incerto, invece di proseguire nel nulla dei sogni in cui la barba non diventa mai grigia. E può darsi che allora, davanti allo specchio, vedrà la versione ormai passata di sé stesso, chiedendosi cosa in realtà abbia combinato di utile alla società, a cui si è rivolto per anni con messaggi e schizzi sui muri, a volte forse con la illusoria aspirazione a diventare un novello Bansky, più che un erede di Van Gogh. Sarà allora che il termine “degrado” gli apparirà come definizione di tutto il tempo inutilmente sprecato senza produrre assolutamente nulla, se non un contributo negativo al danno per una pubblica amministrazione, che deve occuparsi di ripristinare un minimo di dignità ad un luogo ogni tanto destinato ad essere attrattiva culturale, turistica e ambientale. Ma già, questo non era contemplato come effetto collaterale in quanto esulava dal perimetro del proprio ego: io mi dovevo esprimere, non importa dove, come e perché. L’ho fatto. Però adesso non capisco più neppure io quello che ho fatto, né perché…
Mi guardo attorno, e vedo che quelli come me forse si sono già guardati allo specchio anche loro. Sono spariti, in tanti. Chi ha aperto un’attività, chi ha messo su famiglia, chi se n’è andato all’estero perché c’è più da fare e pagano meglio… E si, forse faccio ancora in tempo a lasciar perdere tags e graffiti, e provare a fare qualcosa di concreto, di utile alle persone, qualcosa che posso vendere per iniziare a guadagnarmi uno spazio in cui vivere, senza chiedermi cosa farò domani.