I segnali di allarme ignorati da questa amministrazione. Stiamo costruendo le nostre banlieue

Milano

“Quando è troppo è troppo” potrebbe essere la sintesi del perché è nata la guerriglia in via Bolla. L’analisi delle cause di Libero  è puntuale ed esauriente.

“Nel disinteresse delle autorità, i quartieri sono il campo di battaglia di immigrati e “ultimi”. Le città nascono come luogo di incontro e di opportunità. Per questo riescono, si arricchiscono e attirano altre persone. Se diventano ghetto, emarginazione si trasformano nell’anti-città, in luogo dello scontro. Quanto successo l’altra notte al quartiere Gallaratese è solo l’ultimo episodio di un fenomeno evidente da tempo a Milano, soprattutto a chi la città la vive partendo dalle sue frontiere, dalle periferie.” Una città divisa, aspettative diverse, dove la giustizia sociale è un miraggio “Abbandono e mancanza di controllo da parte delle autorità, immigrazione incontrollata, pandemia, crisi negli ultimi anni hanno agito come un virus su un tessuto già sofferente.  Del resto, la tensione tra periferia e centro, tra scontro e incontro, e probabilmente intrinseco alla città. Proprio per questo, la prima regola di una buona amministrazione dovrebbe essere quella di non permettere la formazione di ghetti. Esattamente ciò che, invece, vuoi per incapacità, vuoi per miopia ideologica, si è favorito in questi ultimi anni. Per rendersene conto basterebbe un semplice viaggio istruttivo in qualsiasi periferia milanese, o anche solo su uno dei mezzi pubblici che in queste zone portano.”

Ma l’ossessione per le periferie tante volte annunciata da Sala è rimasta parole vuote. “Di sera, passati gli orari di punta, sui vagoni delle metropolitane che si allungano verso le appendici della città e ancora di più sugli autobus che si spingono negli ultimi capillari della metropoli è facile imbattersi in bande di ragazzotti nei loro colori di battaglia. Ci sono i sudamericani che, da tempo ormai, come nei film, richiamano le simbologie e i fregi delle gang di latinos. Ci sono giovani magrebini, pachistani, sempre più numerosi, ci sono rumeni, cinesi, più sfuggenti. Rientrano dal centro verso le “riserve” della periferia, ognuno nei propri territori, con le proprie insegne, le proprie bandiere. Negli anni questa tensione nelle nostre città, e in una città come Milano in particolare, è andata crescendo nel disinteresse superficiale e ideologico di autorità locali che vivono solo in centro e professano il vangelo dell’incontro» senza avere mai il coraggio di guardare oltre le mura delle loro certezze”.

Certezze “buoniste” avulse dalla realtà dii un immaginario politicamente corretto. “Eppure i campanelli d’allarme non sono mancati, come quello risuonato in piazza Duomo a Capodanno, o quelli percossi a ricorrenza quasi settimanale nei luoghi della movida, dalle Colonne di San Lorenzo ai Navigli. Fino a Peschiera del Garda  dove i protagonisti della gigantesca rissa, guarda caso, arrivavano proprio da Milano sventolando i propri vessilli.”

Milano ha squadernato senza vergogna una realtà complessa, pericolosa, da paura. “La realtà ha il difetto di non poter essere blandita in qualche salotto e gli uomini quello di non essere scatole che stanno dove le si mette. Hanno storie, identità che se non si incontrano finiscono per scontrarsi. E in mancanza di controlli e, soprattutto, di risposte, lo scontro può diventare guerra, le cui prime vittime sono le persone che vivono sul campo e che perciò reagiscono. Quelli che l’altra notte sono scesi in strada a battersi per la sicurezza delle proprie case erano «gente normale», italiani stremati dalle difficoltà o immigrati che l’integrazione se la sono costruita alzandosi all’alba una mattina dopo l’altra. Qualcuno li definirebbe gli «ultimi». Ma nessuno è così «ultimo» da volerlo restare per sempre: senza una prospettiva, una possibilità di incontro, resta solo lo scontro. Spesso con chi è più ultimo di te, a volte, con un nemico comune. L’allarme sta suonando, forse è il caso d’ascoltarlo.”

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