Nasceva il 12 giugno a Firenze, nel 1922, Margherita Hack: astrofisica, accademica e divulgatrice scientifica italiana.
E’ stata inaugurata ieri in Largo Richini, davanti all’Università Statale di Milano, la scultura dedicata a Margherita Hack. Il progetto è stato promosso da Fondazione Deloitte, in collaborazione con Casa degli Artisti e con il supporto del Comune di Milano – Ufficio Arte negli Spazi Pubblici. La scultura, realizzata in bronzo e alta 270 cm, è stata installata in occasione del centenario, ieri, dalla nascita dell’astrofisica e rappresenta la prima opera d’arte su suolo pubblico, a Milano e in Italia, dedicata a una donna scienziata. L’opera è stata donata al Comune di Milano da Fondazione Deloitte, che si farà carico della manutenzione ordinaria e straordinaria.
Il corpo è di colore grigio intenso: emerge dal magma della vita che pulsa dentro la crosta terrestre. Le mani di colore oro, come gli astri incastonati nella galassia sono alzate verso il cielo per guardarvi attraverso senza strumenti. Il titolo “Sguardo fisico” gioca con la sua identità di astro-fisica: lo “Sguardo” è il senso capace di percepire gli stimoli luminosi, “Fisico” non solo richiama la radice della sua professione, ma anche la concretezza e solidità del suo atteggiamento intellettuale e filosofico.
L’opera ha vinto il concorso di idee lanciato a luglio 2021, a cui hanno aderito 8 artiste italiane e internazionali.
Diceva:
“Di tutte le scienze l’astronomia è probabilmente quella che più ha ispirato e ispira tanto i più grandi poeti, del passato e di oggi, che gli innumerevoli poeti dilettanti. Questo perché il cielo è sotto gli occhi di tutti, e un cielo stellato in una notte buia dà veramente la sensazione dell’ infinito. Possiamo immaginare la curiosità e forse la venerazione o lo spavento che potevano provocare tutti quei puntini luminosi che comparivano ogni notte a formare le stesse configurazioni, e che anticipavano o ritardavano il loro apparire nel corso dell’ anno.
Per molti popoli antichi le stelle erano divinità, o in qualche modo era ad esse che venivano collegate. Oggi proviamo ancora meraviglia nel guardare le stelle, ma è una meraviglia completamente diversa, piena di orgoglio. Da poco più di un secolo abbiamo imparato ad analizzarne la luce e a leggere i messaggi che vi sono contenuti. Abbiamo capito che le stelle sono globi gassosi formatisi sotto l’ azione della gravità e che brillano grazie alle reazioni nucleari del loro interno, reazioni che col tempo ne modificano la struttura provocandone l’ “invecchiamento” e la “morte”.
Sappiamo misurarne la distanza da noi e i moti nello spazio. In conclusione, delle stelle sappiamo tutto o quasi, e la meraviglia è che da quel minuscolo puntino luminoso a centinaia o migliaia di anni luce da noi abbiamo potuto ricavare una così grande messe di informazioni. E’ un cielo che gli scienziati conoscono sempre meglio e che invece la popolazione va dimenticando, perché le nostre città super illuminate cancellano la volta celeste.
Quando il cittadino comune si ritrova in montagna, in una notte senza luna, riscopre lo straordinario scenario offerto dalla Via Lattea e dallo scintillio di migliaia di stelle. Le immagini della Terra ottenute dai satelliti ci mostrano un’ Europa cosparsa di luci che ci privano dello spettacolo del cielo notturno, dichiarato “Bene comune dell’ Umanità”. Un bene da salvaguardare, lasciando almeno qualche luogo immerso nell’ oscurità, dove le nuove generazioni possano riappropriarsi di un grande spettacolo che appartiene a tutti. Ma quanti poeti ci hanno parlato del cielo, fin dai tempi più remoti? Impossibile ricordarli tutti. Penso alla tristezza di Saffo, che in una fredda notte invernale, quando le Pleiadi sono alte nei nostri cieli mediterranei, esclama «e io giaccio sola».
Penso alla elaborata cosmogonia di Dante, che suggella ogni cantica della Divina Commedia con la parola «stelle»: «E quindi uscimmo a riveder le stelle»; «puro e disposto a salire a le stelle»; «l’ amor che muove il sole e le altre stelle». Ma chi forse ne ha più sentito il fascino è Leopardi. Appena quindicenne scrive una Storia dell’ Astronomia in cui afferma: «La più sublime, la più nobile fra le Fisiche scienze ella è senza dubbio l’ Astronomia. L’ uomo si innalza per mezzo di essa come al disopra di se medesimo…». E ancora, nel Canto notturno di un pastore errante dell’ Asia: «Che fai tu, Luna, in ciel? Dimmi, che fai, / silenziosa Luna?».
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