A Milano, la Pinacoteca di Brera riprende i suoi “Dialoghi”, i tradizionali confronti tra grandi opere della sua collezione e quadri ospiti, avviati dal direttore James Bradburne nel 2016. L’appuntamento giunge al non dialogo con una mostra che ha al centro uno dei massimi protagonisti della storia arte di tutti i tempi: Caravaggio. Dal 21 giugno al 25 settembre 2022 il museo presenta infatti Caravaggio, nono Dialogo che accosterà due capolavori del genio lombardo come La cena in Emmaus della Pinacoteca di Brera e il Davide con la testa di Golia proveniente dalla Galleria Borghese di Roma.
Il Nono dialogo è il terzo appuntamento ad ospitare in Pinacoteca opere di Caravaggio: una mostra nel 2009, Caravaggio ospita Caravaggio, a cura di Mina Gregori e Amalia Pacia, aveva messo per la prima volta a confronto la Cena in Emmaus di Brera con la Cena in Emmaus della National Gallery di Londra, del 1602, e nel catalogo vi erano stati importanti contributi sulle due opere e le loro vicende critiche. Un più recente appuntamento, nel 2017, Attorno a Caravaggio. Una questione di attribuzione, a cura di Nicola Spinosa e James Bradburne, aveva consentito di osservare alcune copie seicentesche di Louis Finson esposte e di ragionare su una vicenda attributiva complessa, quella della Giuditta di Tolosa. La nuova mostra su Caravaggio, a cura di Letizia Lodi, darà la possibilità il pubblico di poter assistere a un evento che mette in scena un raffronto mai visto: i due dipinti, entrambi appartenenti alla tarda produzione dell’artista, eseguiti tra Roma e Napoli, saranno infatti per la prima volta esposti accanto, con pubblico e studiosi chiamati a ragionare e confrontarsi sul tema della datazione del David con la testa di Golia, ancora molto dibattuto dalla critica, anche grazie ai recenti studi di Maria Cristina Terzaghi, Francesca Cappelletti, Rossella Vodret, Alessandro Zuccari, Antonio Iommelli, e Gianni Papi.
“ dibattiti sui dipinti non vertono solo sull’attribuzione – cioè sull’identità dell’artista – e anche quando questa non pare in discussione, come nel caso del Caravaggio della Galleria Borghese ma un altro fondamentale elemento della storia di un quadro è il momento in cui è stato realizzato”, dichiara James Bradburne, direttore della Pinacoteca di Brera e della Biblioteca Braidense. “Conoscere esattamente quando un’opera viene conclusa risulta essenziale per comprenderne il contesto, l’iconografia, e soprattutto per collocarla esattamente nel percorso evolutivo dell’artista”.
Il dialogo attuale vede dunque protagonista un capolavoro per certi versi enigmatico di Caravaggio, il David con la testa di Golia della Galleria Borghese, concesso alla Pinacoteca in cambio del prestito del dipinto di Guido Reni, San Paolo rimprovera Pietro penitente, per la mostra di Guido Reni a Roma, curata da Francesca Cappelletti, chiusa da poche settimane con il dipinto di Reni tornato nella stessa sala 28 in cui è esposta la Cena in Emmaus e allestita la mostra Caravaggio. L’occasione di poter ammirare le due opere grazie a un confronto ravvicinato consentirà al pubblico di cogliere i dettagli, anche quelli cruenti e di un realismo estremo, del quadro della Borghese: come la testa mozzata del Golia, probabile autoritratto dell’artista, le peculiari stesure del colore di Caravaggio, il luccichio della spada, con siglato nello sguscio il motto agostiniano “H-AS-OS” (“Humilitas occidit superbiam”), le piccole pieghe della camicia bianca del David. Da sempre al centro di un intenso dibattito critico anche per le diverse sfumature del suo significato, il David con la testa di Golia esprime innegabilmente il dramma umano vissuto dall’artista lombardo, che, in fuga da Roma nel 1606, con l’accusa dell’omicidio di Ranuccio Tomassoni, trovò ospitalità prima nei possedimenti dei Colonna a Paliano e poi a Napoli, sempre grazie la protezione della potente famiglia Colonna. La scelta del soggetto, la vittoria di David sul gigante Golia, si deve molto probabilmente allo stesso artista. La versione del dipinto della Borghese si allontana dalla tradizionale rappresentazione del David trionfante, esempio di virtù vittoriosa: il giovane eroe tiene nella mano destra la spada con cui ha appena inferto il colpo mortale a Golia, mentre rivolge uno sguardo compassionevole e malinconico alla testa mozza del gigante sconfitto. “L’autoritratto del volto di Golia grondante sangue è particolarmente drammatico, con quel grumo di rughe sulla fronte che prelude alla vacuità degli occhi, fermati in uno sguardo asimmetrico e all’urlo fissato dalla morte” (Cappelletti, 2010). La complessità degli aspetti narrativi sottesi e la carica tragica dell’opera sono amplificati dalla presenza dell’autoritratto del pittore nella testa del gigante sconfitto, di cui parlano già le fonti seicentesche, in relazione anche al primo proprietario del dipinto, il cardinale Scipione Borghese.
Rispetto alla datazione esatta dell’opera, come spiega James Bradburne nel saggio che apre il catalogo della mostra, esistono diverse ipotesi sulla data in cui Caravaggio dipinse il Davide e Golia. C’è chi sostiene che sia stato eseguito a Roma, poco prima dell’assassinio di Ranuccio Tomassoni e della successiva fuga a Napoli, attraverso i possedimenti dei Colonna suoi protettori. Alcuni studiosi collocano la realizzazione dopo l’arrivo a Napoli; altri credono che l’opera sia contemporanea al dipinto di Brera, quindi ricompresa fra le tre eseguite nella tenuta dei Colonna nel corso dell’estate del 1606. Se oggi la maggior parte dei critici ritiene che la tela sia stata eseguita durante il secondo soggiorno di Caravaggio a Napoli, quindi verso la fine del 1609, come testimoniano anche l’impiego del colore, il trattamento della luce e altri elementi tipici delle opere di quel periodo, recenti studi sostengono che la data di realizzazione del dipinto sia da collocare fra la fine del periodo romano e i primi mesi del soggiorno napoletano, tesi che non solo non escluderebbe il riferimento al perdono, suggerito dalla testa mozzata del gigante – la condanna a morte pronunciata nel 1606 era nota all’artista – ma spiegherebbe anche meglio la somiglianza stilistica col capolavoro di Brera, cosa che adesso con questo dialogo i visitatori possono valutare direttamente.
La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Marsilio che, oltre al contributo di James Bradburne, comprende saggi di Francesca Cappelletti, Antonio Iommelli, Letizia Lodi, Maria Cristina Terzaghi, che approfondiscono varie tematiche, quali la presenza del David nelle collezioni di Scipione Borghese e il passaggio al Museo, la produzione di Caravaggio tra Roma e Napoli e ovviamente la datazione, le schede dei due capolavori, la Cena in Emmaus nella Pinacoteca di Brera, dall’acquisto del 1939, alla mostra del 1940 , ai recenti allestimenti , alcuni carteggi tra i protagonisti come Ettore Modigliani, Guglielmo Pacchioni, Fernanda Wittgens, Giulio Carlo Argan, e una gallery fotografica di particolari dei due dipinti.
Le due opere
La Cena in Emmaus di Milano è una seconda versione, molto diversa dalla prima (ora alla National Gallery di Londra) che Caravaggio dipinse dello stesso soggetto, il momento cioè della rivelazione dell’identità di Gesù risorto ai due discepoli che tornavano da Emmaus e che avevano scambiato il Cristo per un viandante. Il dipinto si data ad un particolare e drammatico momento della vita dell’artista: la fuga da Roma, ferito, dopo l’uccisione di Ranuccio Tomassoni avvenuta il 28 maggio 1606. Il Merisi, nascosto nei feudi della famiglia Colonna a Palestrina, Paliano e poi Zagarolo, in attesa di una sentenza, secondo le fonti (Mancini 1620; Baglione 1642; Bellori 1672; Baldinucci 1681-1728) dipinse una Cena in Emmaus ed una Maddalena in estasi, presumibilmente per mettere in vendita le opere e racimolare il necessario per la successiva fuga che lo porterà a Napoli. La Cena, registrata dal 1624 nella collezione della famiglia Patrizi, fu venduta nuovamente solo nel 1939, quando l’Associazione Amici di Brera, con il contributo di due mecenati milanesi, la acquistò per la Pinacoteca. Rispetto alla versione di Londra il dipinto presenta una tavolozza cromatica più scarna e una più immediata e rapida stesura pittorica, che a tratti rivela la preparazione sottostante. La scena è immersa in un’oscurità che occupa una porzione consistente della tela e che inaugura la fase matura dell’opera del Merisi; la composizione a semicerchio delimitata dai gesti e dai manti dei discepoli concentra l’attenzione sul volto di Cristo, semi illuminato da una luce, proveniente da sinistra, che diviene simbolo e mezzo del disvelamento: il momento descritto è quello dell’addio ai discepoli, con la benedizione del pane spezzato, in rievocazione dell’Ultima Cena.
Il David con la testa di Golia fu eseguito con tutta probabilità a Napoli, dove Caravaggio, fuggito da Roma nel 1606, si trovava in esilio per l’accusa di omicidio. La scelta del soggetto, con la vittoria dell’eroe d’Israele sul gigante filisteo Golia, si deve probabilmente allo stesso pittore. David non manifesta un fiero atteggiamento di trionfo mentre regge e osserva il capo mozzato di Golia; la sua espressione è piuttosto di pietà verso quel “peccatore”, nel cui viso Caravaggio avrebbe raffigurato il proprio autoritratto. La descrizione del volto di Golia, così vividamente espressiva nella fronte corrugata, la bocca spalancata per l’ultimo respiro, lo sguardo sofferente, l’incarnato esanime, rappresenta il risultato del dramma umano vissuto dall’artista. L’iscrizione che compare sulla spada “H.AS O S” è stata sciolta dalla critica con il motto agostiniano Humilitas occidit superbiam. L’episodio biblico diventa quindi impressionante testimonianza degli ultimi mesi di vita di Caravaggio, rendendo plausibile l’ipotesi secondo la quale il pittore avrebbe inviato la tela al cardinale Scipione Borghese, quale dono da recapitare al pontefice Paolo V per ottenere il perdono e il ritorno in patria. La grazia fu accordata ma Caravaggio, quasi al termine del viaggio verso Roma, morì sulla spiaggia di Porto Ercole per circostanze ancora misteriose.
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