Intervista al sociologo: il legame fra base pentastellata e Grillo non è quello di una volta, il problema dei Cinque Stelle è di identità, il governo c’entra poco. Ci sono dodici milioni di elettori poveri e nessuno pensa a recuperarli.
“Chiarisco: non sono un politologo”. È più cauto che mai Domenico De Masi. Una settimana fa il sociologo, da tempo vicino al Movimento Cinque Stelle, ha scatenato un polverone nella maggioranza con una confessione sul fondatore Beppe Grillo e le richieste del premier Mario Draghi di “rimuovere” Giuseppe Conte come capo politico. All’indomani del quasi-chiarimento tra ex e nuovo premier a Palazzo Chigi – con una crisi minacciata e congelata, per ora – il professore spiega quanto può durare il limbo grillino.
Crisi rimandata, nulla di fatto. Questo redderationem di Conte era diretto più a Grillo che a Draghi?
Credo che il legame organico costruito tra Grillo e il Movimento ai tempi dei meet-up non esista più. La base conosce poco il fondatore e viceversa. Lo stesso vale per molti parlamentari.
Una lettera di nove punti, un colloquio di un’ora tra Conte e Draghi. Il Movimento Cinque Stelle rimane nel governo ma balla sul filo.
Ho scritto tante volte qual è il vero problema del Movimento: non sa dove collocarsi sullo scacchiere politico.
E dove dovrebbe collocarsi?
Avevano buoni motivi per schierarsi alla sinistra del Pd e farsi traino di quei 12 milioni di italiani poveri ormai abbandonati all’astensionismo. A suo tempo il Movimento se ne è occupato, dal reddito di cittadinanza, al decreto dignità.
Dodici milioni di elettori. Dove andranno?
Una parte si sta ritirando dalla politica, l’astensionismo al 50% nelle amministrative parla chiaro. Un’altra si disperderà fra quei partiti che parlano esplicitamente di povertà nel loro programma.
Per Conte la base del Movimento ha già un piede fuori dal governo.
Non solo la base pentastellata, ma tanti italiani non si sentono rappresentati da questo governo, difficile fare una stima. Il problema degli elettori dei Cinque Stelle, a mio parere, è che non si rispecchiano in una via di mezzo. Hanno scommesso su un movimento anti-establishment, si ritrovano parte integrante dell’establishment che volevano combattere.
Da Movimento a partito. La trasformazione è completa?
Come diceva il sociologo Robert Michels, tutti i partiti iniziano come movimenti, non tutti i movimenti diventano partiti. Il Movimento Cinque Stelle non fa eccezione: non diventerà partito finché al suo interno ci saranno persone che si oppongono all’evoluzione e la considerano un tradimento delle origini. Senza un paradigma preciso, i Cinque Stelle rischiano la frammentazione.
Che ne sarà del partito di Di Maio?
L’iniziativa di Di Maio nasce da una lucida e compiuta abiura dei principi su cui è nato il Movimento, a partire dall’ “uno vale uno”. È l’ennesimo partito che punta sulla classe media, ma è un mercato affollato.
Cioè?
L’esistenza di 4, 5 partiti su un unico segmento di voti confonde le idee agli elettori. La classe media ha già i suoi alfieri: Calenda, Renzi, Bonino, parte della Lega e del partito di Meloni.
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