Le prime famiglie cinesi iniziarono a stabilirsi a Milano negli ultimi anni dell’Ottocento, in parte provenienti dalle comunità di Parigi e Amsterdam e in parte dai grandi porti commerciali europei, dove le navi mercantili cinesi attraccavano e, sovente, l’equipaggio riusciva ad eludere i controlli e a emigrare illegalmente. I primi cinesi si stabilirono in quella che allora era storicamente la zona più misera e dedita ai traffici illeciti di Milano, la Cittadella, cioè il Ticinese. Erano venditori ambulanti, principalmente di frutta e verdura. Durante l’Esposizione del 1906, che si svolse al Parco Sempione, la delegazione cinese prese delle case in affitto in via Canonica; alcuni cinesi del Ticinese si spostarono così anch’essi nei dintorni di via Canonica, allora periferia della città e con molte case di ringhiera fatiscenti e misere e con prezzi d’affitto esigui. La maggior parte dei cinesi iniziò però ad arrivare dopo il 1926 e proveniva da una singola regione, lo Zhejiang e segnatamente dalle due maggiori città, Wenzhou, città con oltre 3 milioni di abitanti e il capoluogo Hangzhou, oltre 6 milioni.
Il motivo fu meramente commerciale, le licenze per la vendita ambulante a Milano erano tra le meno care di tutta Europa. Inizialmente i cinesi di Milano si specializzarono tutti nella vendita delle perle false, una novità giapponese e poi cinese degli anni Venti, che permetteva a tutte le donne, di ogni ceto sociale, di poter sfoggiare una splendida collana di perle, altrimenti costosissime. Nel giro di pochi mesi i venditori ambulanti di perle false divennero noti in tutta la città e già nel 1927 i giornali dedicavano loro degli articoli. Ma già nel 1929 le perle false avevano finito il loro ciclo, erano passate di moda. I cinesi di Milano così in parte emigrarono in altre città europee dove le perle false non erano ancora arrivate, mentre altri iniziarono a dedicarsi ad altre attività. I contadini e i commercianti dello Zhejiang erano noti per lo spirito imprenditoriale già in Cina e nel giro di pochi anni riuscirono a prosperare anche a Milano.
I cinesi rimasti, circa un migliaio, quasi tutti uomini, si dedicarono così alla lavorazione della seta, specialmente per la produzione di cravatte, poi, prima della Seconda Guerra Mondiale la lavorazione venne convertita in quella della pelle, al fine di fornire cinture militari agli eserciti italiani e tedeschi. Per alcuni anni la loro condizione migliorò notevolmente; molti furono anche i matrimoni misti, uomo cinese con donna italiana e in milanese si iniziò a chiamare i cinesi di via Canonica col soprannome di “el Ciaina”. Ma con l’inizio della Seconda Guerra Mondiale la situazione per la comunità cinese precipitò rovinosamente. Gran parte della comunità cinese del nord Italia venne deportata nei campi di concentramento in Abruzzo, Molise e Calabria in quanto cittadini cinesi, cioè di un Paese nemico del Giappone e quindi anche dell’Italia. Alla fine della guerra molte delle loro case erano state distrutte dai bombardamenti e in molti dovettero trovare riparo in campi profughi.
Nel 1946 quasi tre quarti della comunità cinese decise di rimpatriare in Cina, probabilmente vedendo una Milano e un’Italia totalmente distrutte dalla guerra. Rimasero poco più di un centinaio di cinesi con le loro famiglie, non poche quelle miste. Iniziarono a dedicarsi al commercio, principalmente all’ingrosso, concentrato soprattutto sull’abbigliamento e la pelletteria. La comunità cinese iniziò a crescere dopo la Rivoluzione Culturale di Mao in Cina, quando fuggirono un enorme numero di cinesi dalle violenze delle Guardie Rosse. Negli ultimi 30 anni sono iniziati a emigrare anche molti cinesi di Shanghai e arrivano anche molte giovani ragazze dalle povere campagne delle regioni interne, assunte a Milano dalle famiglie di origine cinese per fare le tate e insegnare la lingua ai figli. La comunità milanese è diventata rapidamente una delle più importanti d’Europa, sia per numero che per benessere e proprio a Milano si tenne la prima festa e sfilata con dragoni di tutto il continente, per il capodanno cinese del 1987.
Nell’ottobre 1962 aprì in via Fabio Filzi al 2 il primo ristorante cinese; negli anni successivi ne aprirono pochi altri, quasi tutti concentrati dentro i confini di Chinatown, ma sul finire degli anni ’70 iniziò il boom della ristorazione cinese. Sul finire degli anni Ottanta i ristoranti cinesi erano già più di cento a Milano, più tutti quelli dell’hinterland. La maggior parte dei cinesi di Milano oggi sono italiani da più generazioni e ovviamente non vengono conteggiati come stranieri nei censimenti, facendo così risultare la comunità milanese come molto più piccola di quello che sia in realtà. Per decenni gli anziani cinesi, raggiunta la pensione, tornavano in Cina, per trascorrere gli ultimi anni di vita nei loro luoghi d’origine. Molti tornavano anche per cercare moglie. Per questo motivo è nata la leggenda metropolitana “dei cinesi che non muoiono mai”, col sottinteso che i defunti fossero fatti sparire e i documenti dati ad un nuovo immigrato. Questo leggenda, che circola da diversi decenni, continua ad essere ripetuta ossessivamente anche oggi.
A partire dal nuovo millennio è anche cambiata radicalmente il tipo di emigrante cinese. Arrivano infatti intere famiglie, che per i costi troppo alti del mattone a Chinatown, si insediano in altre parti della città, creando anche un nuovo quartiere cinese lungo via Padova. In questi ultimi anni i cinesi italiani di Milano sempre più raramente tornano a passare la vecchiaia nella terra dei loro padri e nonni. La Cina è ormai un Paese sviluppato e gli emigranti non vengono più visti con rispetto, anzi vengono chiamati con disprezzo 香蕉 – xiāngjiāo, cioè banana, gialli fuori e bianchi dentro, per sottolineare come di cinese abbiano ormai solo la parte esteriore, ma che per il resto siano occidentalizzati. Solo negli ultimi anni il governo cinese ha iniziato una campagna volta ad esaltare i cinesi emigrati all’estero e ad accogliere con rispetto e gratitudine coloro che decidono di tornare in Cina, anche se nati all’estero e cittadini di altri Stati.
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