E quindi oggi non si può più neppure essere conservatori. Almeno a dar retta al nostro sindaco Giuseppe Sala che invece di preoccuparsi di dare un senso alle insensate piste ciclabili, ieri intervistato dal giornale amico Repubblica ci ha data la sua nuova lezioncina da sincero democratico. «Da profondo antifascista – la premessa a commento della campagna elettorale della sinistra – sarei stato meno insistente sul rischio di un ritorno al Ventennio». E se si fosse fermato qui, niente da dire. Sarebbe stato impeccabile. E invece no. «Della destra – ha debordato – mi fa molta più paura che Fdi abbia chiamato la sua convention “Appunti per un programma conservatore”. Davvero qualcuno pensa che in un mondo così in cambiamento la conservazione sia un punto di forza? No è debolezza. Questa mi fa paura». E invece no, caro sindaco. E’ il cambiamento senza attenzioni alle radici che fa paura. L’ideale giacobino della ghigliottina con cui tagliare il capo a chi ama la tradizione della sua terra a incutere terrore. L’oblio dell’anima e delle leggi dei padri che ci hanno insegnato a rispettare la Rivoluzione conservatrice a la miglior tradizione italiana incarnata tra gli altri da Giuseppe Prezzolini, Leo Longanesi, Piero Buscaroli per arrivare a Indro Montanelli e oggi a Marcello Pera e Papa Ratzinger. E per non pronunciare una tale eresia non sarebbe stato necessario leggere testi particolarmente sofisticati, ma anche solo l’ultimo libro di Giorgia Meloni (<<Io sono Giorgia», Rizzoli) che a un certo punto racconta del principe Faramir nelle Due Torri di quel re dei conservatori che è Tolkien: «Amo solo ciò che difendo: la citta degli uomini di Nùmenor e desidero che la si ami per tutto ciò che custodisce di ricordi, antichità, bellezza ed eredita di saggezza». Ecco di tutto questa i conservatori (anche oggi) non hanno paura. (Il Giornale)
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