In occasione del secondo centenario della morte di Antonio Canova (1757 – 1822), Villa Carlotta a Tremezzo celebra l’eredità di uno dei più grandi maestri della scultura di tutti i tempi, in grado di trasformare l’idea stessa della scultura e la sua tecnica, creando capolavori immortali diventati popolari e riprodotti in tutto il mondo. Le celebrazioni di questo anno speciale si chiudono con la mostra intitolata “Canova, novello Fidia” a cura di Gianfranco Adornato, Professore Associato di Archeologia classica alla Scuola Normale Superiore di Pisa, in collaborazione con Maria Angela Previtera, direttrice di Villa Carlotta, e con Elena Lissoni, storica dell’arte e conservatore di Villa Carlotta. La mostra invita il pubblico a intraprendere un inedito percorso alla riscoperta dei due autori. L’esposizione pone a confronto le opere originali di Antonio Canova presenti nel museo con repliche di età romana di sculture greche attribuite a Fidia. Una sezione è dedicata al tema dell’Amazzone, con la figura femminile interpretata da Fidia per il famoso concorso per la miglior statua da collocare nell’Artemision di Efeso che vide il maestro ateniese in sfida con i più grandi scultori del suo tempo, tra cui Policleto e Cresila. È un pezzo eccezionale il torso delle collezioni dei Musei Reali di Torino: si tratta dell’Amazzone ferita realizzata in basanite verde, materiale assai difficile da lavorare, raro e molto prezioso estratto nella regione dello Wadi Hamammat in Egitto. Completa la sala l’erma di Amazzone del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, ritrovata durante lo scavo della Villa dei Papiri di Ercolano. È la bellezza maschile divinizzata ad essere protagonista nella sala dove sono posti a confronto il canone neoclassico del Palamede di Canova con la Testa di Apollo tipo “Kassel” proveniente dalla collezione Farnese, che Canova ebbe modo di conoscere fin dal suo arrivo a Roma, quando studiò la famosa figura dell’Ercole Farnese. La mostra prosegue al piano terra con il confronto tra il calco in gesso di una metopa del Partenone proveniente dall’Accademia di Brera e il grande fregio con l’Ingresso di Alessandro Magno in Babilonia di Bertel Thorvaldsen, il Fidia del Nord grande rivale di Canova.
Questo capolavoro dell’arte neoclassica europea rivela l’attualità dell’ispirazione che l’Artista danese trasse dall’opera di Fidia. Al secondo piano una serie di disegni e incisioni ci introducono al mito di Fidia. Oltre che dalle copie di età romana in marmo, le invenzioni dei grandi scultori dell’antichità greca ci sono state tramandate attraverso gemme, monete e riproduzioni in miniatura di bronzo. È presente in mostra una delle due sole monete antiche sopravvissute fino ad oggi che rappresenta lo Zeus in trono, celebre statua fidiaca in oro e avorio un tempo collocata nel tempio di Olimpia, considerata la quarta meraviglia del mondo antico. A Fidia è stato attribuito anche l’originale perduto del Giove in maestà che stringe il fulmine nella mano, riprodotto in un superbo bronzetto proveniente dalla collezione Ludovisi,poi passata ai Medici eora al Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Sempre da questa prestigiosa istituzione è stato concesso in prestito il bronzetto con l’Amazzone ferita, tratta da Policleto. La complessità dell’opera di Fidia era ben nota a Canova attraverso i Colossi di Montecavallo sulla Piazza del Quirinale a Roma, oltre che da incisioni, calchi e frammenti antichi. Il potere di fascinazione dell’antico rivive nell’interpretazione del Maestro del neoclassicismo in una visione nuova, moderna e universale, che la mostra ha l’obiettivo di mettere in luce. Documentano questo interesse una serie di tavole raccolta in un album della Biblioteca Storica “Giuseppe Bossi” dell’Accademia di Brera che riproduce con sorprendente esattezza e ricchezza di dettagli l’architettura e l’apparato scultoreo dell’Acropoli di Atene e del Partenone, fonte di ispirazione universale per studiosi, allievi e giovani artisti. Quell’immagine dell’antichità classica basata sul rigore quasi geometrico delle copie romane venne stravolta dall’irrompere sulla scena delle sculture fidiache del Partenone, la cui straordinaria morbidezza sembrava – secondo Canova – trasformare illusionisticamente il marmo in “vera carne”.
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