Ecco perché Milano è e resterà la capitale della moda

Milano

C’è una profetica foto del 1985 che immortala dodici stilisti italiani – tra cui Armani, Missoni, Versace, Ferrè – che con le loro creazioni avrebbero impresso al mondo della moda una trasformazione radicale. Sullo sfondo, le guglie del Duomo, simbolo di una Milano che stava emergendo e, negli anni a venire, avrebbe lottato per crescere e aumentare il proprio appeal internazionale.

Il capoluogo lombardo oggi ha una posizione centrale e unica nel panorama fashion globale. È un hub autorevole e poliedrico che riunisce le diverse anime del fashion: dalla produzione – le imprese della moda nell’area metropolitana sono oltre 12mila, con circa 88mila addetti secondo la Camera di commercio – alla distribuzione, con centinaia di showroom permanenti. Passando per la formazione, la cultura. E naturalmente gli eventi come la fashion week.

Sinergia tra privati e istituzioni

«Negli ultimi 10 anni la città ha cambiato totalmente respiro – spiega Alessia Cappello, assessora allo Sviluppo economico e Politiche del lavoro, con delega alla moda – diventando una metropoli internazionale dove moda, design e cultura si intrecciano. Merito di un grande lavoro sul posizionamento». Un traguardo tagliato anche grazie alla sinergia tra pubblico e privato che l’assessora definisce «uno degli asset di questa città: fin dagli albori qui le cose si fanno insieme e la strategia funziona. Per cui dobbiamo insistere sul fare sistema». Un esempio pratico arriva da questa fashion week: «Il marchio Anteprima celebra 30 anni e sfila all’Arco della Pace. Avendo il patrocinio del Comune, il canone della location è dimezzato, così il brand si è impegnato a investire la quota parte risparmiata nelle scuole civiche, fornendo tessuti e finanziando borse di studio» chiosa Cappello.

Dalla città l’assist al sistema

Chi lavora da anni sul posizionamento di Milano sulla scena internazionale è la Camera nazionale della moda italiana che proprio con il Comune ha siglato un Protocollo di Intesa, rinnovato a febbraio: «Credo che il lavoro svolto insieme negli ultimi anni abbia rinforzato il sistema moda italiano, dando ancora più autorevolezza alla nostra città e alla nostra fashion week» dice il presidente Carlo Capasa . A fare da collante, anche la sostenibilità: «L’accelerazione dei brand nell’implementazione di pratiche sostenibili e l’attenzione a temi come l’inclusione hanno reso la filiera più unita e consapevole, producendo tantissime iniziative basate sulla condivisione».

Non solo sfilate

Uno dei volti di questa condivisione è quella di tempi e, a volte, spazi tra manifestazioni fieristiche e sfilate. Nei giorni scorsi, infatti, Rho Fiera ha ospitato Homi Fashion&Jewels e poi Mipel, Micam e The One. Oggi si apre la tre giorni dedicata a Lineapelle e Simach Tanning Tech. Il 22 sarà la volta, invece, di White in Zona Tortona. In totale si tratta di migliaia di espositori e decine di migliaia di visitatori: «Le fiere muovono un indotto molto ben definito: ogni euro generato direttamente dal sistema fieristico italiano ne produce ulteriori 1,4 nell’economia nazionale – spiega Luca Palermo, ceo di Fiera Milano – . Molti operatori approfittano della loro presenza per scoprire la città. Noi cerchiamo di alimentare questo riversamento nei luoghi culturali con progetti dedicati». Come l’evento “L’arte di fare moda” che ha riunito sette fiere alla Pinacoteca Ambrosiana. L’attrattività della città, del resto, stimola quella delle fiere e viceversa: «I numeri delle sette manifestazioni del fashion in corso queste settimane sono buoni:i brand presenti sono oltre 3.200. Un segnale concreto che essere sinergici è la chiave di volta».

Un risveglio rafforzato

Lo è stato nell’affrontare la pandemia. Arrivata in Europa proprio mentre si svolgeva la fashion week di Milano, a febbraio 2020, ha però lasciato spazio a una città più forte, premiata dal ritorno dei turisti certificato a luglio e agosto: «Abbiamo assistito a un risveglio generalizzato di Milano – che ancora sta avvenendo – e delle sue tante anime. La città che si era fermata ha ripreso con slancio e sta ancora una volta dimostrando di essere un punto di riferimento», chiosa Palermo. A fargli eco è Riccardo Grassi, titolare dell’omonimo show-room: «I buyer internazionali si sono sempre sentiti sicuri e accolti a Milano, anche in ragione di come è stata gestita la pandemia». Oggi gli show-room guardano alla questa fashion week e alla campagna vendite P-E 23 con ottimismo: «La settimana della moda di settembre segnerà un ritorno alla normalità, con aspettative per noi addirittura superiori al periodo pre Covid: gli stilisti italiani sono molto forti in questo momento. E i compratori sono stufi di videocall e riunioni a distanza: vogliono tornare ad acquistare in presenza a Milano e Parigi che per loro sono un po’ la stessa città».

Le direttrici di sviluppo

Se dunque l’orizzonte potrebbe essere addirittura quello di un hub europeo condiviso, Milano per ora raccoglie i frutti di una serie di mosse ben piazzate: l’aver cavalcato la trasformazione digitale per colmare i vuoti imposti dalla pandemia con trasmissioni live streaming sui social e sui maxi schermi, mantenendo però una presenza fisica marcata; il potenziamento del uolo di capitale della formazione, coltivando talenti da tutto il mondo. Quest’ultimo è un tema cruciale: le scuole di moda rappresentano un importante bacino cui le aziende possono attingere. Ed è in business in crescita come dimostrano gli investimenti che gli istituti stanno facendo su Milano tra cui il nuovo Campus internazionale di Ied da 35mila metri quadrati che sorgerà nell’area ex macello, con uno studentato da 400 posti. Tra i progetti che cambieranno il volto di Milano attraverso la moda anche la realizzazione di un Museo della Moda a Palazzo Dugnani con 4 milioni di euro stanziati dal Mibact. Un altro “seme” per far crescere Milano e il sistema.

Il Sole 24 Ore

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