Lo Stato deve riconoscere il ruolo e il valore dei mercanti. A tutela del proprio patrimonio
L’apertura della Biennale d’Antiquariato in palazzo Corsini a Firenze mi ha consentito una riflessione sulla necessità di una relazione responsabile fra lo Stato e importanti attori, non solo per il mercato, ma per la conoscenza e l’approfondimento delle ricerche su interi settori, momenti e scuole artistiche poco conosciute e rimaste nell’ombra, quali sono gli antiquari. In molti casi il loro merito ha arricchito il patrimonio artistico italiano, se si pensa al dono di Pietro Accorsi al museo di Torino del meraviglioso Ritratto Trivulzio di Antonello da Messina. Man mano che la competenza dei mercanti cresceva, anche il mondo degli studiosi e delle sovrintendenze ne traeva giovamento, non sempre alla luce del sole, ma anche con incursioni a tradimento. Credo che, in merito alle cosiddette notifiche, che isolano l’Italia dall’Europa attraverso procedure legislative dichiaratamente sovranistiche, sia arrivato il momento di rivedere lo strumento, rendendolo utile alla conoscenza e, ove possibile, alla acquisizione di opere senza lo strumento ritorsivo e talvolta ricattatorio della limitazione e dell’esportazione.
Se un mercante, non il proprietario di una collezione storica, di consolidata notorietà, scopre un dipinto o una scultura grazie alla sua ricerca e al suo talento, non è accettabile che il suo ritrovamento possa essere «notificato», esitato solo sul mercato nazionale e senza nessuna espressa volontà di acquisto da parte dello stato. La notifica appare con ciò una limitazione della proprietà privata senza una finalità altro che repressiva. Da molti anni medito a un procedimento di vincolo che riguardi la conoscenza e lo studio di un’opera e non la sua collocazione geografica: è un vincolo, insomma, di identificazione, reperibilità e studio dell’opera, non un vincolo di polizia. Recentemente la magistratura ha ordinato il sequestro di un ritratto infondatamente, e da nessun autorevole studioso, attribuito a Tiziano. Si è trattato di un’operazione due volte sbagliata: non a vantaggio, ma a danno dello Stato. Ne ho parlato, e ho anche chiesto ad Andrea Donati una perizia che rivela l’ansia muscolare e l’evidente esibizionismo della inutile azione di recupero. Non è stato recuperato nulla.
Il ritratto virile sequestrato dalla magistratura come proveniente dal mercato antiquario e presentato come Tiziano a Torino a Palazzo Chiablese non ha nulla a che fare con Tiziano, che mai può aver dipinto un’opera simile. Non si capisce come si sia potuto fare il nome di Tiziano per un’opera così diversa dal suo stile. Lo stile, più che all’ambito veneziano, rimanda a quello italianizzante tedesco-fiammingo. La moda in nero, infatti, e l’impostazione stessa del ritratto rispecchiano modelli diffusi ovunque in Europa a seguito dell’imperatore Carlo V. Un ritratto celeberrimo dell’imperatore (replica certa di Tiziano) si trova nella collezione Farnese a Capodimonte. Lo scambio tra la ritrattistica veneziana e quella tedesco-fiamminga è piuttosto facile nel Cinquecento, quando tra Venezia e l’Impero asburgico i legami erano assai forti. Per attribuire un dipinto a Tiziano, tuttavia, ci vogliono argomenti solidi e qui non se ne vedono. Per di più la stima del quadro è sicuramente al di sopra di ogni ragionevole parametro valido; quindi appare formulata senza una cognizione reale del mercato. La storia dell’arte è una disciplina seria che richiede motivazione, dedizione ma sopratutto una vera preparazione professionale. Tutti possono conoscere Tiziano nelle chiese e nei musei dove le sue opere sono conservate, ma riconoscere un Tiziano lo può fare solo chi lo ha studiato per anni dando prova di padroneggiare le fonti, la materia e la storia dell’arte.
Ancora più grave, anche se l’opera è un certo capolavoro di Jacopo Bassano, è il recente episodio di presunta «autotutela» per consentire allo Stato, come fosse davanti a un trasgressore o a un nemico, di annullare un provvedimento regolarmente preso in precedenza. Si tratta della recente vicenda relativa al Miracolo delle quaglie di Jacopo Bassano, al quale era stata concessa in un primo momento la licenza all’esportazione, e poi, dopo che il dipinto è stato venduto al Getty Museum, il provvedimento è stato ritirato e il dipinto notificato, aprendo un contenzioso legale tra l’antiquario Frascione che lo ha venduto, e il Getty che lo ha acquistato, da una parte, e lo Stato dall’altra.
Occorre invece che si risarcisca un rapporto civile fra lo Stato e i mercanti d’arte. Il Bassano è diventato un caso internazionale: è un dipinto certamente di importante qualità, certamente in Italia da sessant’anni, che poteva trovare un esito in un museo italiano senza difficoltà, ma non si può consentire che un funzionario delle Belle Arti non lo riconosca come un capolavoro. Se non lo riconosce, e gli dà la libera circolazione, quel dipinto può andare in qualunque museo del mondo: l’autotutela è in verità un atto contro lo Stato e contro i doveri di uno Stato civile in cui ognuno deve fare bene il proprio lavoro. Tu hai la possibilità di controllare? Controlli! Se non hai valutato, se non hai capito, se non lo hai ritenuto indispensabile, noi non dobbiamo ogni volta fare la verifica del funzionario che fa la verifica.
Propongo quindi di istituire un comitato di mercanti che suggerisca allo Stato gli oggetti da acquistare prima che vadano sul libero mercato. Dovrebbe essere un obbiettivo del prossimo governo. Ricordo due casi di cui sono stato protagonista: il primo, nel 1995, quando la Pinacoteca Nazionale di Siena acquistò da Giovanni Pratesi un importante gruppo di dipinti del Cinque-Seicento senese (tra cui opere del Rustichino, Francesco Vanni, Rutilio Manetti, Bernardino Mei, Astolfo Petrazzi, Niccolò Tornioli) per la somma di 2 miliardi di lire, e io favorii l’acquisto; il secondo, nel 2000, quando assieme ad Antonio Paolucci, allora soprintendente del Polo Museale Fiorentino, trattammo per i musei non solo della città di Firenze, alcuni dipinti dell’eredità dell’antiquario e collezionista Carlo De Carlo. Lasciammo libere tutte le opere che lui voleva vendere scegliendone cinque di grande valore, che sono finite nei musei italiani. Nel dialogo e nella trattativa, tu doni allo Stato e, in cambio, hai la libertà di vendere quello che lo Stato non ha vincolato, e non vuole acquistare, non per indisponibilità finanziaria, ma per scelta. Sono procedure che io ho già sperimentato, ma sono modelli necessari affinché non si continui una guerra insensata di piccoli funzionari che, con immotivato furore, ricattano gli antiquari attraverso atti minacciosi e privi di dignità. L’autotutela è una stupidaggine! L’uomo che conosce, conosce subito, non dopo due anni o dopo due mesi.
La soluzione potrebbe essere, dunque, l’istituzione di un comitato che fornisca suggerimenti allo Stato. Si trarrebbe di beneficiare della qualità di molti antiquari perché determinino un proposta a un museo, stabilendo un rapporto di acquisto privilegiato (una sorta di pre-prelazione): sarebbe opportuno che i direttori dei musei avessero i suggerimenti di dieci tra i migliori mercanti d’arte per poter avere in prima proposta l’offerta di capolavori. Occorre quindi che si stabilisca un concordato tra i mercanti e lo Stato, messo nelle condizioni di conoscere in anticipo quali sono gli oggetti da offrire a un privato. Si può fare in modo semplice, senza minacce e senza autotutele. Se un mercante ha un’intuizione dev’essere premiato e non punito, questo è evidente: lo Stato dev’essere onesto, non minaccioso, ed essere in rapporto con persone che sono capaci di dare.
Questa edizione della Biennale di Firenze, proprio per la qualità delle proposte, è una mostra formidabile, con almeno venti opere degne dei musei italiani. In quei musei devono andare, in un concordato e senza ricatti, minacce, notifiche e autotutele insensate. L’istituzione di una notifica europea è logica nei fatti, se è vero che anche l’esportazione di orecchini, anelli o collane concepiti più di 70 anni fa è illecita, attribuendo valore artistico anche a oggetti modestissimi, solo perché vetusti. E dal momento che non si può limitare la circolazione di merci nell’area Schengen, la segnalazione di un oggetto gli potrebbe semplicemente consentire di circolare, almeno in Europa, senza assurde prescrizioni di inagibilità, e mantenendo il diritto di prelazione come determinazione dello Stato a comprarlo, per particolare interesse.
Il proibizionismo produce soltanto effetti nefasti, favorisce attività clandestine e il tentativo di ingannare ed eludere lo Stato. La libertà di movimento produce vincoli morali, rende l’antiquario protagonista della scoperta, rimette in gioco il rapporto con i musei e con lo Stato.
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