Il giornalismo contemporaneo ha come obiettivo quello di rispettare la verità sostanziale dei fatti. Il che significa, in buona sostanza, che errare è umano – anche nel mondo dei giornali e dei media – ma purché lo si faccia con onestà, etica e facendo tutto il possibile per dare una notizia che rispetti questi canoni morali e professionali. Quella delle “fake news“, tuttavia, è una storia che dura da secoli e riguarda non solo il mondo della stampa ma anche quello della politica. In attesa che la storia possa dirci quali sono le “bufale” conclamate che hanno contraddistinto il primo ventennio del Ventunesimo secolo – a cominciare dalla celebre fialetta di Colin Powell per giustificare la guerra all’Iraq di Saddam Hussein – ripercorriamo la lunga storia delle fake news. Che di certo non sono nate con l’elezioni Donald Trump e la Brexit nel 2016, come alcuni ingenuamente pensano. Perché le fake news – o “bufale” – sono sempre esistite e hanno svolto funzioni diverse.
Bernardino Da Feltre (1439-1494) e Simonino da Trento
Il giornale Politico fa risalire la prima grande fake news della storia a Bernardino Da Feltre. Siamo a Trento, la domenica di Pasqua del 1475. Un bambino di due anni e mezzo di nome Simonino è scomparso e il predicatore francescano Bernardino da Feltre pronuncia una serie di sermoni sostenendo che la comunità ebraica aveva assassinato il bambino e ne aveva prosciugato il sangue per berlo e celebrare così la Pasqua. Era ovviamente falso, ma la voce si era presto diffusa in città. Più tardi, Da Feltre afferma che il corpo del ragazzo era stato ritrovato nei sotterranei di una casa ebraica. In risposta, il Principe vescovo di Trento, Giovanni Hinderbach, ordina immediatamente l’arresto e la tortura dell’intera comunità ebraica della città. Quindici ebrei furono giudicati colpevoli e bruciati sul rogo. Benché il papato abbia provato a fermare Hinderbach, quest’ultimo si era rifiutato di incontrare il legato pontificio e, sentendosi minacciato, aveva diffuso altre notizie false su ebrei che bevevano il sangue di bambini cristiani.
Re Giorgio II
A metà del 1700, la stampa aveva contribuito a diffondere notizie false sulla salute di Giorgio II, che all’epoca era il re di Gran Bretagna e Irlanda. Il re stava affrontando una ribellione e doveva essere visto come un leader forte per assicurarsi che la ribellione non avesse successo. Notizie false sulla malattia del re sono state diffuse dai rivoltosi. Ciò ha danneggiato l’immagine pubblica del sovrano e, sebbene la ribellione non abbia avuto successo, ha mostrato come le notizie false possano essere utilizzate per cercare di cambiare le opinioni delle persone e influenzare le sorti di un grande evento, come una guerra o una ribellione. Da allora, sotto questo profilo, nulla è cambiato.
La diffusione dei quotidiani e il sensazionalismo
Con la diffusione su larga scala dei quotidiani, tra il 1700 e il 1800, anche le bufale sono apparse sui giornali con l’intento di generare scalpore e sensazionalismo. E aumentare così le copie vendute. “Il sensazionalismo ha sempre venduto bene. All’inizio del XIX secolo sono entrati in scena i giornali moderni, propagandando scoop e denunce, ma anche storie false per aumentare la circolazione dei quotidiani. La grande bufala della luna del New York Sun del 1835 affermava che c’era una civiltà aliena sulla luna”, riporta sempre Politico. Altro esempio, nel 1844, i giornali anticattolici di Filadelfia avevano diffuso la falsa notizia che gli irlandesi rubavano le bibbie dalle scuole pubbliche, provocando violente rivolte e attacchi alle chiese cattoliche.
Le bufale e la propaganda di guerra
Intorno al 1890, due grandi editori di giornali americani rivali come Joseph Pulitzer e William Hearst, si sono sfidati a colpi di sensazionalismo, riportando voci come se fossero fatti, una pratica che divenne nota all’epoca come “giornalismo giallo“. Le loro notizie distorte e amplificate hanno giocato un ruolo centrale nel condurre gli Stati Uniti nella guerra ispano-americana del 1898. In quell’anno, infatti, una nave della Marina degli Stati Uniti – la Uss Maine – era affondata a Cuba. Alcuni giornali dell’epoca incolpano gli spagnoli per l’affondamento e usano le illustrazioni raffiguranti una drammatica esplosione per convincere i lettori del fatto e fare leva sulla loro emotività.
Un’altra vicenda risale al 1917, ricorda la Bbc, durante la Prima guerra mondiale. Giornali britannici come il Times e il Daily Mail pubblicano una storia raccapricciante in cui si afferma che i tedeschi stavano estraendo grasso dai corpi dei soldati morti per ricavarne del sapone. La storia proveniva da un dipartimento ufficiale del governo britannico ed era stata diffusa stampa. I funzionari sapevano che questa notizia non era vera, ma era necessaria a persuadere i lettori che i tedeschi erano un nemico barbaro, che doveva essere sconfitto. Un’altra bufala di guerra per antonomasia, più vicina ai giorni nostri, riguarda il già citato Colin Powell e il suo celebre intervento al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, nel 2003, nel quale aveva deciso di presentare le presunte trovate dagli Stati Uniti delle violazioni alla risoluzione 1441 dell’Onu e del possesso di armi di distruzione di massa da parte dell’Iraq di Saddam Hussein.
La notizia viene rapidamente diffusa dai giornali e dalle tv di tutto il mondo e l’occidente si ritrova in guerra con l’Iraq, che viene da lì a poco dopo invaso dalla coalizione occidentale. Saddam Hussein cade e l’obiettivo del “regime change” viene raggiunto. Altre bufale di guerra risalgono al 2011, in Libia, quando sui media cominciano a circolare le terribili immagini di fosse comuni e di altri presunti massacri, che vengono regolarmente imputati a Gheddafi. Il colonnello, assediato a Tripoli, viene costretto alla fuga, prima di essere scovato a Sirte nell’ottobre dello stesso anno e assassinato senza un regolare processo. Come ha poi stabilito la rivista Foreign Policy: “L’amministrazione Obama ha detto che stava solo cercando di proteggere i civili. Le sue azioni rivelano che stava cercando un cambio di regime”. Molte diffuse diffuse sui media – come le fosse comuni – erano infatti “fabbricate” ad hoc dalla propaganda, per far leva sull’emotività dei lettori e influenzare così l’opinione pubblica.
Le fake news ai nostri giorni
Negli ultimi anni, in particolare dal 2016 in poi, con l’elezione di Donald Trump e il referendum sulla Brexit, si è tornato a parlare in maniera insistente di “bufale” a causa delle storie false ampiamente condivise sui social media senza essere verificate dagli utenti. Questo ha portato, non senza polemiche e altrettante criticità, a una “stretta” sulla diffusione delle fake news sulle piattaforme social (non priva di lati oscuri per quanto concerne la libertà di opinione e di critica, essendo decisa da aziende private tutt’altro che super partes).
Addio alle fake news, dunque? Certo che no. La guerra in Ucraina, come ogni conflitto, ha visto l’impiego massiccio di disinformazione e propaganda da entrambe le parti, diffuse attraverso social e canali Telegram difficilmente controllabili e non sempre verificabili. L’ultima bufala acclarata – ma ce ne sarebbero tante altre sul fronte opposto – l’ha diffusa il Ministero della Difesa ucraino che aveva parlato di una “mini Auschwitz” a Pesky-Radkovski. Serhiy Bolvinov, capo del dipartimento investigativo del Servizio di sicurezza nella regione di Kharkiv, aveva infatti fotografato una maschera antigas e una vasca piena di denti, evocando i campi di concentramento nazisti. La notizia risale ai primi di ottobre ed è stata ripresa incautamente dai media e spacciata come vera. Ci ha pensato poi il tedesco Bild, inviando alcuni giornalisti sul posto, a smascherare l’ennesima bufala prodotta dalla propaganda di guerra. Gli inviati del quotidiano tedesco hanno infatti intervistato un dentista che ha riconosciuto la scatola contenente i denti che gli era stata rubata. “I denti sembrano essere stati rubati dal mio ufficio, i russi hanno derubato la mia casa. Questi sono i denti delle persone che ho trattato in tutti questi anni” ha raccontato il dentista. Nessuna “mini Auschwitz”, dunque. Perché in guerra la prima vittima è sempre la verità. Illudersi che questo non accade nelle guerre ibride contemporanee rimane, appunto, un’illusione pericolosa.
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