L’ambulatorio che cura gli invisibili senza un tetto e senza identità in via Zamenhof

Milano Milano Solidale

L’altra faccia disperata di Milano spesso ignorata, ma presente in questa società caotica  Il reportage accurato e crudo è di Libero

Quaranta pazienti al di, 10mila all’anno nel centro medico del Naga. Tanti immigrati, molti anche gli italiani che hanno perso tutto: «Chiediamo soltanto di sopravvivere»  Jamal, zaino nero in spalla, non vuole sedersi. Resta in piedi di fronte al cugino che lo ha accompagnato. L’aiuta a smorzare la tensione. E’ arrivato dal Maghreb da qualche settimana e dopo giorni di lunghe file in Questura ha deciso di chiedere supporto ai volontari del Naga in via Zamenhof 7/A, vuole mettersi in regola con i documenti e ha bisogno di un medico. E’ raffreddato e necessita della prescrizione di farmaci. Poco distante da lui nell’ampia sala di attesa dai caldi toni del giallo e arancio c’e Nboga, sta mettendo in ordine i suoi documenti per l’assistenza legale. E’ una mattina tranquilla nella sede dell’associazione dove le volontarie allo sportello accolgono le persone con un grande sorriso. Qualche giorno fa uno dei 40 medici che presta soccorso in Naga ha salvato la vita a un 37enne Pakistano. L’uomo, come ha raccontato lo stesso dottore, si era presentato da lui con dolori alla spalla, era concitato e in un italiano stentato ha spiegato di temere per la salute della sorella ricoverata il giorno prima per infarto. Il medico ha chiamato un’ambulanza restando in contatto con gli operatori per conoscere le condizioni del paziente. Ha scoperto che all’uomo era stata fatta un’angioplastica e gli era stato posizionato uno stent e che gli avevano salvato la vita. Piccole storie nell’ordinario impegno quotidiano dei 400 volontari del Naga, l’associazione che «cura le persone senza chiedere il permesso», che si occupano di garantire il diritto alla salute degli invisibili, di chi non avrebbe altro modo per curarsi. «Più che una sede ambulatoriale dove prestiamo il primo soccorso o la medicina di base, piace definirci un’associazione che rivendica il diritto alla salute -dice il direttore sanitario Fabrizio Signorelli -la nostra sede e’ aperta tutte le mattine e tre pomeriggi a settimana, il mercoledì sera usciamo anche con l’unità mobile per assistere i senzatetto della Stazione Centrale». «Dopo la separazione ho perso tutto. Nel giro di qualche mese ero solo e senza un soldo -dice un uomo di 48 anni assistito dai volontari –  senza lavoro è dura. Dormo per strada perchè le condizioni di certi dormitori sono inumane. Vivo nella paura di addormentarmi e non svegliarmi mai più». Un altro, di 52 anni, racconta: «Non troppo tempo fa ero un aiuto cuoco, avevo un tetto sopra la testa. Poi una complicata situazione familiare e sono finito in strada. Ormai non ricordo più l’ultima volta che mi sono addormentato serenamente in un letto. Comincia a diventare difficile anche ricordare come era la vita prima. Per sopravvivere ho fatto di tutto: cameriere, muratore, rider, ovviamente tutto in nero; poi la pandemia, l’urgenza di avere un aiuto e il moltiplicarsi dei no dalle autorità. Non c’è niente per me. Mi sono lasciato andare, ho iniziato a bere, tanto. Chiedo solo di poter tomare a lavorare. E’ forse domandare troppo?» e così via una lunga serie di testimonianze riportate nell’indagine qualitativa del 2021 dell’associazione di via Zamenof dal titolo “Più fuori che dentro”. «Assistiamo una media di 40 persone al giorno per un totale di circa diecimila l’anno -continua Signorelli -arrivano a noi tramite il passa parola, spesso accompagnati da familiari o parenti, alcuni hanno patologie croniche. Là dove occorre forniamo anche i farmaci per la terapia». A contattare il Naga sono prevalentemente irregolari provenienti dal Perù, dall’Egitto e dal Nord Africa, rumeni o badanti ucraine alle quali è scaduto il contratto di lavoro. Solo per citare alcuni dati: quasi il 20% è senza fissa dimora o residente in insediamenti informali, l’80% non ha una fonte di reddito fisso. Un 62% dei pazienti non ha mai avuto contatti con strutture sanitarie. «Dalla nostra indagine emerge la fotografia di una popolazione doppiamente svantaggiata: alla malattia cronica si aggiunge il disagio quotidiano dovuto alla mancata presa in carico della propria condizione patologica da parte del Sistema Sanitario».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Moderazione dei commenti attiva. Il tuo commento non apparirà immediatamente.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.