“Lasciate ogni speranza, o voi che entrate”, questa potrebbe essere la frase S-I-M-P-A-T-I-C-I-S-S-I-M-A da stampare su una t-shirt da regalare a chi sta aprendo una Partita IVA. È inutile che ci giriamo intorno: che sia in regime ordinario o forfettario, poco cambia: in entrambi i casi è un REGIME DI STENTI. La vita da Imbruttito autonomo è ricca di opportunità e di guadagni stellari (classica frase fatta: chi li ha mai visti i guadagni stellari?), certo, ma allo stesso tempo è un percorso pieno di burocrazia, cavilli, lacrime, esaurimenti, urla e spese da tenere sempre sotto controllo. Controllo medico: di uno bravo della neuro, dove rischiamo di finire tutti in corsia, prima o poi.
Visto che siamo qui per parlarne, vediamo insieme quali sono gli aspetti chiave che regalano piaceri, frustrazioni e goccine di ansiolitici in questa giungla di preventivi a tre zeri – se va di lusso. Perché se è vero che ogni mattina, in Africa, una gazzella si sveglia e sa che dovrà correre più veloce del leone, qui non importa se sei leone o gazzella: siamo a Milano, la vita costa una follia e tutti ci ritroveremo al baretto sotto casa a lamentarci del nostro lavoro.
1. IL COMMERCIALISTA-GURU
La prima regola del Partita IVA Fight Club è: trovati un commercialista. Ma uno bravo. Un oracolo a cui rivolgere tutte le proprie domande per non finire nei guai. Conversare con un commercialista può trasformarsi in una vera e propria esperienza mistica, soprattutto quando stai chiedendo due informazioni in croce: numeri, percentuali, tassazioni, panoramiche infinite, agevolazioni, ipotesi di acquisto materiali che non sai nemmeno dove mettere e storie di fondi pensione che esistono solo nel Multiverso. Parlano quasi tutti in commercialese e capirci qualcosa è come quando guardi Gomorra senza sottotitoli: un po’ fai finta di capire e un po’ cerchi su Google perché ti vergogni a domandare oltre. Quando finalmente ne hai trovato uno, bravo e di cui fidarti, occorre scegliere una soluzione business affidabile e completa: come Qonto, che permette al commercialista di accedere al conto e di sbrigare tutto il necessario. No need di starci le ore al telefono!
2. LA FATTURAZIONE ELETTRONICA, QUESTA SCONOSCIUTA
Per tutti quelli che vivevano di pane e marche da bollo da due euro, la fatturazione elettronica è piombata nelle nostre vite come un incubo da cui è difficile riprendersi. Da una parte c’è la piattaforma fatta con lo scotch, messa a disposizione dall’Agenzia delle Entrate, dall’altra c’è tutto un mondo di applicativi online, che sputano file XML illeggibili e che quasi fanno tenerezza con la loro grafica da Windows ’95. In entrambi i casi, un bagno di sangue che a confronto il sito del Comune è quasi top di gamma. Scegliere il male minore non è semplice, ma per fortuna strumenti utili e veloci che semplificano lo sbatti ci sono, come Qonto, il conto business con la fatturazione elettronica integrata per gestire fatture e F24 in modo smart e veloce. Movimenti bancari, preventivi, tasse da pagare: tutto si fa con un click e passa la paura. Perché l’era della preistoria è finita: il vero freelance è sempre in giro da un nuovo cliente a fare il grano, mica a fare tic tic tic sulla tastiera!
3. I CLIENTI OVVERO L’ARTE DI PORTARE PAZIENZA
Gestire in autonomia i propri clienti significa conoscere a fondo i limiti della propria pazienza, soprattutto quando viene chiesto un lavoro ASAP o quando se ne escono con: “Puoi farmelo al volo, please?”. Il venerdì, alle ore 20.11, Mavacaghééér. I clienti più comuni sono quelli perennemente finto-inesperti, quelli che a ogni preventivo ti chiedono: “Ma la cifra è netta, lorda, più IVA o senza IVA?” con quel fare un po’ ingenuo e un po’ paraculo, come se stessero scegliendo il gusto di un gelato. Tu sarai sempre quello che deve fare tutto, e possibilmente subito, al grido di: “Oh, non c’è moltissimo budget, ma ti garantiamo grande visibilità, man!”. Ci sono, poi, quelli che non pagano mai. Altro che i serial killer di Ryan Murphy. Email, telefonate, appostamenti, minacce tramite avvocati: tutto può contribuire a farti venire il sangue amaro. Qui il freelance si trasforma in un personaggio della Marvel, cambia pelle, e tira fuori un’improvvisa furia cieca. Presente Wolverine? Sì, ma più cattivo e senza i diritti dei film. Senza diritti e basta, a ben vedere. Una semplice fattura non pagata, che sia da 300 o 1.000 euro, può trasformarsi in una battaglia all’ultimo colpo che quasi sempre finisce con: “Lei non sai chi sono io, mio fratello è nella polizia”. In questi casi, può capitare di svegliarsi nel cuore della notte e urlare: “Voglio il posto fissooooooooooo!”.
4. ALLA RICERCA DEL TEMPO (LIBERO) PERDUTO
Nonostante tutto, ci sono anche molti lati positivi. Fare il freelance, ad esempio, significa essere libero di scegliere i progetti che vuoi mettere in piedi, e avere pieno controllo del tempo libero, tra una call schedulata mentre stai andando in palestra e un’email da mandare mentre stai facendo un ape con gli amici. Già, perché il tempo libero ci sarebbe anche, ma una volta che il cliente ti ha acchiappato per le pall… ehm, le caviglie, non ti molla più, nemmeno se lo ghosti su Instagram o disattivi la spunta su WhatsApp. Certo, puoi ignorarlo ma… Che fai? Non rispondi, anche se è sabato? E se ti chiede supporto il giorno di Natale? Essere in Partita IVA è una vocazione: si ha sempre un bisogno estremo di fatturare, tutto e a raffica, quindi non importa quale ora del giorno o della notte sia. Il proprio dio è il denaro. Inoltre, Il professionista, quello vero, si vede nel momento della contrattazione: come in una sfida da film Western, tra un “Per quando è?” e un “E tu, quanto tempo ci metti?”, ogni richiesta del cliente è buona per staccargli quella fattura indecentemente spropositata che ti farà comprare il famoso panfilo da 30 metri da ormeggiare a Forte dei Marmi. O almeno ci si prova.
In conclusione: bisogna essere un po’ matti per lavorare in Partita IVA? Sì, probabilmente sì. Perché le cose belle sono difficili. E perché la felicità del libero professionista, ricordiamolo, è esattamente a metà strada tra il sogno di avere un attico all’ultimo piano del Bosco Verticale e una camera all’ospedale Niguarda. È un’eterna giostra di emozioni, tra alti e bassi, entusiasmo e sconfitta, perennemente in bilico tra un Taaac! e una crisi di nervi.
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Articolo scritto in collaborazione con Qonto.
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