Dopo più di due anni Milano riscopre una delle sue più celebri icone. L’architetto Paolo Asti ci racconta di questa sfida e di cosa significhi riqualificare il patrimonio moderno di una città
Dopo più di due anni Milano riscopre una delle sue più celebri icone. L’architetto Paolo Asti ci racconta di questa sfida e di cosa significhi riqualificare il patrimonio moderno di una città
L’intervento di recupero, che coinvolge anche il contesto urbano con la pedonalizzazione dell’intera piazza, è stato affidato allo studio Asti Architetti – in collaborazione con CEAS e la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio di Milano – e rientra in un progetto di rigenerazione di Hines, società globale di investimento, sviluppo e gestione immobiliare, in qualità di development manager e investitore del fondo HEVF Milan 1 gestito da Prelios SGR S.p.A.
Con un passato da Gregotti Associati, nel 2004 Paolo Asti ha aperto il suo studio di architettura nel cuore di Milano, in via Sant’Orsola 8, spaziando dal residenziale alla progettazione di uffici fino al retail e concentrandosi in particolare sull’esistente, cioè sulla ristrutturazione, l’integrazione e il riuso di un edificio. Tra i suoi lavori, circa 70 sono milanesi: dall’ex Torre Tirrena in piazza Liberty al Banco di Roma in piazza Edison fino all’ex Palazzo delle Poste in piazza Cordusio. Nel ridare vita a palazzi storici, i suoi interventi sono fatti con una precisione chirurgica, quasi che, a cantiere chiuso, tutto debba apparire immutato. Il suo approccio è misurato, e contrario a ogni spettacolarizzazione, tanto da essere stato definito “l’architetto gentile”.
Da quando ci è stato affidato l’incarico, la progettazione è andata avanti per quasi due anni. Dato che nel 2012 la Torre è stata sottoposta al vincolo delle Belle Arti, abbiamo lavorato sul recupero delle sue specificità originarie e identitarie, dopo 70 anni in cui, soprattutto negli interni, si sono sovrapposti interventi di vario tipo.
Sono state condotte analisi materiche e studi documentali storici, grazie al supporto dell’architetto Belgiojoso, che ha concesso l’accesso agli archivi originali. Il punto più critico forse è stato il progetto del ponteggio, anche per la particolare conformazione a “fungo” della Torre, che ha comportato studi statici piuttosto complessi. Per dare un’idea, in totale sono stati impiegati: 556.000 kg di acciaio, più di 3.000 tubi, 10.000 giunti e quasi 20.000 pedane metalliche.
Stiamo concludendo la fase più delicata di tutto ciò che riguarda gli esterni, dunque le facciate, ed eseguendo il consolidamento strutturale e la sostituzione degli intonaci ammalorati con altri studiati ad hoc in collaborazione con Mapei, un’eccellenza italiana, con cui abbiamo sviluppato un legante che ha conferito all’intonaco il colore originale e cangiante che aveva all’epoca.
All’interno i lavori procedono a ritmo serrato e si basano su un’attività di restauro tipologico e materico. Riguardo alla piazza la mia speranza è quella di restituire alla città uno spazio che finora è stato difficilmente identificabile, dato che si presentava come un parcheggio o un anonimo luogo di transito. Faremo in modo che la Torre abbia il suo sagrato: un sagrato laico per questa cattedrale del Moderno.
La riqualificazione degli edifici e del tessuto costruito fa parte del concetto stesso di architettura intesa come organismo vivente. “Ridare vita a un edificio” è un’operazione che in futuro diventerà sempre più importante ed è un’attività che ritengo necessaria su tutto il territorio: bisogna recuperare in modo vincente il patrimonio edilizio che in tanti casi è oggettivamente obsoleto, e farlo sia in termini di qualità architettonica che di sostenibilità e riconversione in base alle necessità attuali. Rappresenta la punta dell’iceberg di quell’attività diffusa, oggetto per oggetto, edificio per edificio che sta vedendo la completa metamorfosi della città stessa. Dato che la Torre Velasca è espressione della rinascita milanese del dopoguerra, la responsabilità per me è stata duplice, ma si inserisce nel solco della trasformazione della “città per pezzi”, secondo la cultura che ha sempre caratterizzato il mio lavoro.
I miei interventi recuperano la presenza storica degli edifici, magari anche demolendoli e ricostruendoli ex novo, però ricuciono un tessuto urbano che di fatto ha necessità di essere riequilibrato negli usi, nelle forme e nei materiali. I palazzi residenziali milanesi in questo momento si dividono in due categorie: quelli che si possono permettere una costruzione ex novo in un lotto più o meno libero, e quelli che si trovano all’interno del tessuto urbano consolidato, soggetti a vincoli di cortina, di altezze, di volumetria, ecc…
È chiaro che la progettazione “libera” permette di applicare appieno i paradigmi della contemporaneità dell’abitare, primo tra tutti il limitato consumo del suolo, che motiva in modo importante la verticalità: è evidente che progettando in altezza si liberano spazi al piano terra che diventano fruibili non solo per i condòmini, ma anche per la città. Questi spazi sottratti alla costruzione aumentano – e in futuro sempre di più – la maggiore vivibilità delle aree condivise che rappresentano una prima mediazione tra la città e lo spazio privato.
Oltre a diversi progetti in centro, stiamo lavorando anche sulla riconversione di grandi aree industriali ormai dismesse che caratterizzavano la cerchia in seconda fascia di Milano. Due esempi: le Park Towers in costruzione nel quartiere di Crescenzago/Rottole, di fronte al parco Lambro, e un edificio in Via Piranesi. Sono interventi residenziali che porteranno le persone a vivere e a popolare zone urbane che un tempo appartenevano solo all’industria. Ci tengo molto, perché permetteranno la rinascita di interi quartieri, creando poli alternativi. Questi sviluppi sono diffusi in modo equilibrato nella periferia di Milano e ritengo che rappresentino la nuova frontiera dell’architettura milanese.
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