Lacrime a dirotto sugli improbabili ed aridi mondiali autunnali del Qatar. Hanno pianto, privatamente per pudore i belga, i tedeschi, gli uruguagi, ma anche i qatarioti che malgrado il titolo di campione d’Asia 2019, sono stati i peggiori padroni di casa di sempre con ben tre sconfitte. Più platealmente hanno pianto gli spagnoli, Van Gaal, Neymar e Cristiano Ronaldo per l’eliminazione di Olanda, Brasile e Portogallo. La mina vagante del mondiale, il Marocco, ha abbattuto chiunque si trovi oltre le colonne d’Ercole dello stretto di Gibilterra, oltre Ceuta, ancora oggi dal 1580, possedimento europeo. Forti del formidabile tifo casalingo di almeno 15mila lavoratori presenti in Qatar, i Leoni dell’Atlante hanno battuto le squadre iberiche, fermati solo dai coloni africani carolingi, alzando il Marocco a unica squadra araba e africana delle semifinali di un mondiale. Come Hakimi, la forza dei Leoni mammoni; sono le mamme portate dall’allenatore Regragui e dal presidente della lega marocchina Lekjaa nell’hotel della squadra.
Il piccolo paese arabo del Qatar ha speso per i 7 stadi costruiti ex novo ca. $ 10 miliardi, nell’insieme di investimenti infrastrutturali dal 2010 di $ 220 miliardi, più di 15 volte il costo di Russia 2018. La Fifa ce ne mette $ 1,7 miliardi ma ne attende $ 4,5 miliardi di ritorno. Argentina e Francia si contendono un premio di $ 42 milioni in un montepremi complessivo di $ 440 milioni (400 nel 2018). Negli hotel, unici luoghi dove è possibile bere una birra, un bicchiere alla spina costa $ 17. Finora nei cantieri per gli stadi sono morti 7mila lavoratori, quasi tutti asiatici, in condizione di quasi schiavitù della cosiddetta kafala. Venuti meno anche tre giornalisti nel contesto della repressione consueta per donne, omosessuali e alcool. Per comprare i voti dei 15 membri, su 22, del Comitato Esecutivo Fifa e di ufficiali di varie federazioni calcistiche nazionali, necessari alla scelta del 2011 del Qatar come paese ospitante, è stato pagato tra il 2010 ed il 2015, più di € 1 miliardo. Non è al momento possibile contabilizzare quanto sia stato speso in mazzette ad oggi; sarà comunque alla fine una cifra risibile sull’enorme flusso di ricchezza sgorgante dal paese arabo grande quanto l’Abruzzo.
Alle lacrime si contrappongono i sorrisi dell’ex presidente Fifa Blatter e dell’ex presidente Uefa Platini, assolti dalla giustizia svizzera dalle accuse di frode del 2015, che impedirono all’ex attaccante francese di ereditare il posto di Blatter. Alla fine, più di vent’anni dopo le Roi riceverà i contestati 2 milioni di franchi svizzeri per consulenze del 1998 e il 2002 (secondo l’accusa per portare voti a Blatter). È solo un atto della storia della gestione, tutta privatistica, del calcio, ormai fissata sullo schermo dalla serie Netflix in quattro episodi. Una storia di grande corruzione che è il simbolo della governance generale della politica nel mondo avanzato, in mano a grandi gruppi economici. Questa politica privatistica internazionale della finanza salta a piè pari le politiche nazionali ed è ormai ricattata sul piano nazionale solo dalla giustizia. Così però i meccanismi democratici non toccano palla.
La Fifa, Onu del calcio, un tempo organizzava i tornei di un calcio relativamente povero. Poi arrivò l’ex nuotatore brasiliano Havelange, presidente dal ‘74. Il suo potere si basa sulle leghe nordamericane (Concacaf) e africane (Caf) che gli garantiscono i voti in cambio di buste di contanti. Del romanticismo è rimasta solo l’idea che ogni federazione nazionale valga uno malgrado l’insignificanza del relativo campionato Nel ‘76 la Coca Cola è il primo sponsor nei progetti calcistici per i giovani, poi Adidas diventa il fornitore di attrezzature sportive. Seguono Phillips, Canon, Gillette. Gli sponsor portano soldi, pubblicità, diritti tv, nuovi tornei, brand, star, contratti. Nel ’64 erano stati scelti per i mondiali ’70 e ’78, Messico ed Argentina. Havelange si ritrova con i militari argentini al potere ma americani pubblicitari lo aiutano a promuovere il prodotto calcio. Lo svizzero Blatter entra nella Fifa in quegli anni, direttore tecnico fino all’81; sposa la figlia dell’inamovibile segretario generale Kaser e lo sostituisce al suo ritiro. Havelange, sostenitore del regime dittatoriale boliviano, venditore d’armi, amico trentennale del mafioso Andrade, indagato per una tangente di $100 milioni diritti tv dei mondiali degli anni ’90, per corruzione sulle olimpiadi ’92 assegnate a Barcellona invece che Amsterdam, accusato dal presidente Uefa Franchi, alla fine molla. Blatter diventa presidente appena prima del campionato mondiale Francia ’98, portandosi dietro parte delle accuse rivolte al predecessore.
L’impero Blatter ed eredi, caratterizzato dalla tecnologia in campo, dai tre punti a vittoria (dal ’94) è una esplosione di danaro e di gloria, per i giocatori (lo stipendio del calciatore più pagato al mondo, Mbappè è di $128 milioni. Beckham come ambasciatore del Mondiale prende di $ 277 milioni), procuratori, mogli, fratelli, burocrati, media ma anche di debiti per sponsor (quelli di abbigliamento sportivo pagano nel mondiale 60 milioni cadauno), paesi ospitanti e squadre di club (il fondo Fifa li risarcisce, se proprietari dei giocatori del mondiale con $ 209 milioni, tre volte tanto Brasile 2014). Il bilancio Fifa 2021 registra revenues per ca € 700 milioni, 187% in più rispetto al 2020. Bisogna pensare ad un giro a nero di pari valore. La Fifa soprattutto è l’Ong del beautiful game, luogo di business per l’Europa, proprietaria dei tre quarti del calcio che conta e per i nuovi paesi ricchi desiderosi di investire, comprare, promuovere il proprio sviluppo, invadere finanziariamente l’ex padrone coloniale. Per guadagnare di più ora tutti vogliono mondiali ogni 2 anni.
Sotto Blatter, Platini, ex campione juventino cresce spinto dall’Avvocato ed eredi, fino alla presidenza Uefa del 2007. All’Eliseo, tre anni dopo, il fondo sovrano del qariota Al-Khelaïfi da $ 60 miliardi compra il parigino PSG Paris Saint-Germain dal fondo Colony Capital. Il presidente francese Sarkozy vende aerei militari al Qatar che investe nella pay-tv sportiva francese. A dicembre bisogna stabilire l’assegnazione del mondiale al Qatar ma di questo si occupa Platini, cui dopo poco vengono pagati i famosi 2 milioni di franchi. L’assegnazione in realtà sarebbe un merito dell’ex magnate dell’edilizia qatariota Hammam, presidente calcio asiatico che aspira al posto di Blatter. La corruzione, per pagamenti illeciti per 880 milioni di sterline, delle leghe del Camerun, della Costa d’Avorio e della Nigeria ed altri gli sarà fatale; l’inchiesta lo affonda mentre Blatter ne esce con la prospettiva del quarto mandato da presidente malgrado la consapevolezza generale di decenni di corruzione ai massimi vertici. Appena eletto, Blatter viene però affondato dalle conseguenze dell’inchiesta del 2015 che sfocia in 47 capi d’accusa nel Comitato esecutivo, arresti per 7 massimi dirigenti, condanna della Fifa nord e centroamericana. Sembra tocchi a Platini, ma anche lui viene affondato dall’inchiesta che ora è sfociata in assoluzione. L’accusatore è il magistrato elvetico Lauber, poi dimissionario, amico dell‘attuale presidente Fifa Infantino, all’epoca segretario generale Uefa che aveva trattato con i guanti bianchi, sotto Platini, gli emiri sia per il PSG che per il Manchester City.
Infantino arriva al vertice nel febbraio 2016, più amico dei qatarioti di tutti, al punto dal prendere la cittadinanza del paese arabo. Forse Infantino, inteso regista di un complotto ai danni dei predecesssori, dovrà aspettarsi il ritorno di Platini come le ritorsioni degli stati nazionali. Il Qatargate, accusa di corruzione di europarlamentari e assistenti, tutti di sinistra, da parte del paese arabo, è un’operazione della polizia belga, di un paese inferocito per l’umiliante eliminazione della nazionale per mano araba. Lo stesso meccanismo incontrollato che mosse l’Fbi ed il dipartimento di Giustizia Usa nel 2015 con la sottotraccia dell’assegnazione dei mondiali a Russia nel 2018 e mondo arabo del 2022, due aree nemiche degli americani. Non si può mai capire quanto la sfida calcistica, d’animo istintivo bellico, possa influenzare la psiche delle persone anche di potere. È strano che l’antica regola che alternava Europa e Sudamerica, giganti calcistici, nell’assegnazione dei mondiali, sia saltata del tutto. Anche Infantino è sotto inchiesta mentre inutilmente ha cercato nuove accuse contro Blatter e Platini, che alludono continuamente nei suoi confronti. Nella ong del pallone si muovono le istanze geopolitiche del Marocco per il Sahara occidentale ed il miraggio del gas (20% dell’offerta mondiale, pari a quella russa) e del petrolio (2% ca.delle riserve mondiali) di Doha. Quel tipo di porta è a disposizione di molti altri, di chiunque possa mettere miliardi a disposizione di Stati, partiti, ong, multinazionali del mondo avanzato per progetti infrastrutturali oppure metapolitici. Tra questi Infantino mette anche la Corea del Nord.
Non c’è modo per interrompere il trend di un calcio sempre più ricco con miliardi di spettatori, scommettitori einvestitori, con innumerevoli media, web e tv, con tifosi comparse finte come le qariote, con orari e frequenze di gioco sempre più astrusi e meno tagliati per le abitudini europee. I giocatori vip sono sempre più di origine extraeuropa ed i proprietari dei grandi club europei diventeranno extraeuropei, poiché, come dimostra il caso Juve, i club europei devono ritoccare illegalmente le regole in assenza di potenza finanziaria infinita. Man mano che il mondo non avanzato domina, diventano normali non solo la corruzione sistemica, ma lo schiavismo, l’assenza di welfare, di regole sociali, ambientali, di rispetto per le persone.
Infantino non si stanca di ripetere l’ideologia della globalizzazione ed i suoi mantra sostanziali a favore dei diritti più avanzati, dei gay, delle donne, dell’antirazzismo guidato dall’unica bussola delle frontiere aperte ai flussi commerciali e sportivi. Come concionavano gli esponenti socialdemocratici, postcomunisti e sindacali nel Parlamento europeo, secondo questo discorso l’opposizione al razzismo passa anche dalla condanna del mantra dello scontro di civiltà antiarabo e antimusulmano. Nei primi decenni del nuovo secolo il mondo avanzato ha individuato il nemico dell’area islamica per una serie di clamorosi fatti di sangue terroristici, che hanno comportato attacchi militari ed invasioni occidentali fino al disastroso ritiro americano dall’Afghanistan del 2021. L’insorgere del ritorno, della guerra in parte fredda, in parte calda, con la Russia, ha fatto evaporare dall’attenzione mediatica il pericolo islamico. Anzi si è passati a reclutare come fornitori energetici proprio diversi stati musulmani, in alternativa alla Russia sanzionata e combattuta. La richiesta di non discriminazione verso il mondo arabo posta da Infantino cozza però con tutti i mantra della globalizzazione. Da cittadino qatariota, il presidente Uefa lamenta di essere stato perseguitato perché di origini italiane. Sposa il sistema di valori del suo nuovo paese e rifiuta proprio i principi che prima voleva per la sua organizzazione. Su donna, gay, trasparenza, diritti dei lavoratori, ecc. ecc. la schizofrenia politica è massima; ma si tratta della schizofrenia della globalizzazione che ha rafforzato sistemi autocratici rendendoli più ricchi, senza diffondere, come pretendeva, la democrazia nel mondo.
I soldi dell’emirato premono perché le formazioni più di sinistra elette ed i sindacati sostengano l’invasione araba dorata che promette ricchezze infinite e degrado urbano delle città europee. Nella confusione delle parole, eletti di sinistra e sindacati si fanno corrompere dagli schiavisti. D’altronde in Europa, nella politica privatistica, è sempre più difficile sostenere la sopravvivenza di organizzazioni buropolitiche. Ora non è più tempo di esportare la democrazia, bisogna difenderne i confini interni. Il mondiale finisce nell’indifferenza per i grandi arresti, le tangenti da centinaia di milioni di dollari, la violazione clamorosa dei diritti umani violati, le condizioni disumane di lavoro, nel catechismo ipocrita dei buoni sentimenti e delle buone pubblicità contraddette clamorosamente. Non c’è modo di tornare indietro ad un calcio provinciale, dimesso, senza star. La politica è spuntata, con essa la democrazia.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.