C’è qualcosa di nuovo e di agghiacciante nel filone della corruzione che ha colpito la sinistra nel Parlamento europeo e in ambito sociale e che non riguarda casi isolati e singole mele marce perché tradisce una mentalità e fa intravedere una filiera.
Storicamente, conoscevamo due tipi differenti di corruzione politica nella sinistra italiana. In primis quella che lucrava sull’export verso l’est sovietico e non solo, si serviva delle cooperative ed esigeva tangenti, percentuali fisse di mediazione e passaggi obbligati; ma non aveva finalità di lucro personale, serviva a finanziare il Partito, o al più la corrente, e il mondo circostante di associazioni, reti, presidi territoriali. Il secondo tipo invece fu la corruzione ad uso politico ma anche largamente personale, che assimilava la sinistra di governo e sottogoverno al ceto di potere centrista e democristiano; la corruzione seguì al passaggio dal vecchio socialismo o comunismo ideale al nuovo pragmatismo, alla modernizzazione e alla laicizzazione della politica, al “realismo” spregiudicato che solitamente coincideva con governi di coalizione e inserimento stabile nei gangli del potere. Il primo tipo di corruzione ebbe in Primo Greganti il testimonial più famoso ai tempi di Tangentopoli, colui che si addossò proverbialmente colpe a livello personale per non far mettere sotto accusa un sistema consolidato e il Partito, con i relativi quadri direttivi. L’intera storia della sinistra comunista che ruotava intorno al partito era imperniata su quella rete di mediazioni e quel tipo di finanziamento.
Il secondo tipo di corruzione coincise con l’avvento della sinistra riformista al governo, con la formula del centro-sinistra, e in un primo tempo col partito socialista, già prima dell’era craxiana; ma poi si estese alla sinistra postcomunista e ai partiti che ne avevano preso il posto. Tangenti sugli affari, sugli investimenti, sugli appalti, su tutto quanto passasse dal vaglio del potere politico e amministrativo. Si, i costi della politica ma anche del malaffare personale.
Ora, il terzo tipo di corruzione che emerge in questi giorni, e che coinvolge il business dell’immigrazione e dell’accoglienza, il traffico dei diritti umani, le organizzazioni non governative, oltre che le istituzioni europee, segna un passaggio ulteriore e veramente inquietante, vorrei dire quasi un salto nell’abisso: non si specula più sul ruolo di potere per taglieggiare il mondo degli affari e delle imprese, per modificare i piani regolatori e chiedere tangenti sulle opere pubbliche, o per comprare voti di scambio e vendere protezioni. Ma la corruzione avviene nel nome dei diritti umani, sulla pelle degli sfruttati e degli schiavizzati, e nel caso del Qatar perfino sulla morte dei lavoratori non garantiti. Avviene cioè nel modo peggiore in assoluto: presentandosi come paladini dei diritti umani e speculando in realtà ai loro danni, fino a dare copertura politica, umanitaria e mediatica a quegli stati dispotici che calpestano i diritti umani, schiavizzano i lavoratori e non si preoccupano se i loro arricchimenti illeciti privati, avvengano a spese della vita di centinaia, forse migliaia, di morti sul lavoro. Non è solo il livello peggiore di corruzione rispetto ai due precedenti in uso a sinistra; ma è peggiore in assoluto, perfino rispetto ai casi più efferati di corruzione conosciuti in tutti gli altri versanti, moderati e centristi, leghisti, liberali e destrorsi. Nessuno ha mai rubato nel ruolo di difensore dei poveri, dei deboli e degli oppressi, cioè di coloro che manda allo sbaraglio; nessuno ha mai preteso, tra i peggiori corrotti della prima e della seconda repubblica, la buona coscienza di apparire dalla parte degli sfruttati e degli oppressi contro gli oppressori infami proprio nel momento in cui era complice, a libro paga, dei loro carnefici e sfruttatori. Dal profilo umano e morale, è peggio di quel che fanno gli scafisti in mare o i caporali nelle campagne.
Stiamo conoscendo questo mondo di sotto dopo il caso Souhamoro e famiglia e dopo il caso Qatar, famiglie annesse e affari paralleli. Vicende di un familismo corrotto e immorale che fanno impallidire il caso Mimmo Lucano a Riace. O, a livello internazionale, il caso Lula, sempre per restare nell’ambito della corruzione a sinistra. E si comprende bene dai profili che emergono e dalle relazioni e convergenze, che non si tratta di casi personali o isolati ma di un sistema, una filiera, che ha diramazioni estese e livelli di responsabilità diversi.
La cosa che fa più rabbia e schifo è stata la diversione gigantesca della macchina mediatica: dei mondiali di calcio nel Qatar è arrivata ossessivamente da noi, solo la battaglia – in campo, sugli spalti e per le strade – femminista dei diritti e del riconoscimento lgbtq+, prendendo lo spunto dal caso Iran; mentre si ignorava che gli stadi su cui giocavano le nazionali e gli spalti gremiti dai benestanti di tutto il mondo, erano costati, secondo l’inchiesta del Guardian ben 6500 morti sul lavoro (cinquecento pubblicamente riconosciuti dallo stesso governo del Qatar). Ancora una volta il dramma sociale veniva cancellato dalla rappresentazione arcobaleno e dalle loro rivendicazioni. Ancora più rivoltante risulta oggi quella distrazione dell’opinione pubblica mondiale se si considera che qualcuno stava guadagnando sacchi di denaro sulla vita di quei poveri lavoratori uccisi che diceva di voler tutelare, per aver lodato tiranni straricchi.
Uno schifo, una vergogna per tutti. D’altra parte qual è il tratto specifico degli orrori del comunismo compiuti nel novecento? Promettere il paradiso e generare l’inferno, battersi per un mondo migliore, anzi perfetto, e massacrare il mondo reale, e imperfetto, in cui vivono gli uomini e i popoli. La tirannia a fin di bene, il massacro a scopi umanitari. Caduta, o quasi, quell’ideologia e il suo anelito salvifico e rivoluzionario, la mentalità è rimasta la stessa, ma in assoluta malafede, applicata a livello individuale. Il peggio del peggio.
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