Il grandissimo scrittore, storico e giornalista Otto Cima, scrisse in uno dei suoi tanti bei volumi, un elenco delle macchiette milanesi dall’Unità sino ai primi del nuovo secolo.
Tralasciando quelle di cui si è già ampiamente parlato, el Sciavatta, il Fallatajà, el Capitani, la Marianna e via dicendo, il Cima descrisse una serie di personaggi che vide coi suoi occhi; splendide le caricature, alcune opera di Giannino Grossi.
El BORDOEU
Personaggio funereo, di nero vestito, dal cappello ai piedi, accigliato, con la barba e i capelli corvini, gli occhi neri come la pece, la pelle ricoperta di fuliggine. Misantropo, odiatore professionista del genere umano e non, camminava tutto il giorno e tutta la notte in giro per Milano. La leggenda voleva che nessuno avesse mai visto elBordoeu seduto a riposare o su una panchina a dormire. Camminava, incessantemente e non si fermava mai. Nessun ostacolo lo fermava, tanto che ormai centinaia di migliaia di milanesi avevano capito che se elBordoeu si trovava sulla medesima direttrice, era meglio scansarsi, giacché lui, non lo avrebbe certo fatto.
Le mamme lo usavano come “l’uomo nero”, da additare ai figli per spaventarli o rimproverarli, chiamandolo “el Babao”, che ti mangia o ti porta via.
L’E’ TANTCIARA
Trattavasi di un anziano strillone, che vendeva i quotidiani in piazza del Duomo verso il 1870. Ubriacone inoffensivo, per ogni giornale che vendeva, si regalava un cicchetto.
Vendeva una copia del Pungolo? E subito correva al Campari in Galleria a prendersi “un bicerin de quela che l’è tantciara”.
Vendeva una copia del Secolo? E via ancora al Campari a prendere “un bicerin de quela che l’è tantciara”.
Vendeva una copia della Perseveranza? E allora i bicchierini erano addirittura due, dato che quasi nessuno comprava più quel quotidiano.
Morale, già alle otto del mattino l’anziano strillone era totalmente in gaina, ubriaco di grappa, quella “tantciara”… chiara e trasparente come l’acqua!
EL PATUZZI
Altro strillone, ma di tutt’altro genere rispetto al precedente; quanto era bonario e inoffensivo quello di piazza del Duomo, quanto era fastidioso e petulante il Patuzzi.
Questi aveva un baracchino traballante, che definire edicola era un’offesa agli edicolanti, in contrada di San Pietro all’Orto. Peculiarità del Patuzzi era di urlare dall’alba al tramonto, quando finalmente restava afono e se ne andava a casa. Ma, miracolosamente, ogni mattina la voce gli tornava più forte di prima.
La cosa che però infastidiva di più i milanesi del Patuzzi, non era il suo strillare incessante, che d’altra parte faceva parte del suo mestiere, e non era certo l’unico in città, ma il fatto che il Patuzzi non gridasse i nomi dei quotidiani che doveva vendere, ma proprio per nulla!
Il Patuzzi, infatti, passava le ore a gridare insulti ai passanti che non compravano, ai direttori dei giornali, ai giornalisti, agli editori, ai tipografi, ai distributori dei giornali, al mondo intero che per un complotto, che non riusciva proprio a spiegarsi, non gli venissero più forniti quotidiani e riviste.
La baracchetta del Patuzzi era infatti tristemente spoglia e vuota e l’uomo, che non vendeva ovviamente nulla e viveva di carità, passava il tempo a urlare contro tutto e tutti.
QUEL DE LA BOSINADA
Era un ometto anziano, milanesone, trasandato ma pulito, dalla gran barba, che si aggirava ogni giorno in piazza del Duomo, nascondendosi dalle guardie che sorvegliavano la cattedrale e l’ingresso della Galleria. In un continuo gioco di guardie e ladri, Quel del la Bosinada, quando vedeva i militi lontani o distratti, cavava fuori dalla giacca un plico di fogli di carta e, con la sua voce roca e baritonale, che pareva fuoriuscire dall’Averno, iniziava a declamare bosinate che attaccavano politici locali e nazionali, membri di Casa Savoia, industriali e nobili.
Immediatamente una gran folla si poneva attorno al novello Omero, che, con la voce da Oltretomba, continuava e leggere le sue composizioni, sino a quando le urla delle guardie, che sopraggiungevano di corsa, non lo facevano fuggire, non prima di aver venduto alcune dozzine di fogli con sopra l’ultima bosinata e aver raccolto un gruzzoletto di lire, per mettere assieme un pasto e una bevuta in un qualche boecc.
(Le Bosinate erano composizioni satiriche in dialetto milanese, pronunciate però con cadenza brianzola, che tra i milanesi faceva molto ridere; probabilmente nate alla fine del Cinquecento, per sfottere i governanti spagnoli, prendevano il nome dal diminutivo di Ambrogio, Ambrosin, poi corrotto in Bosin. Le ultime Bosinate vennero composte ai primi del Novecento).
EL VECC E BON
Trattavasi di un pingue ometto di bassa statura e dal caratteristico cappello nero da contadino di Montevecchia. Il suo mestiere era il venditore ambulante di formaggi, chiamati a Milano, Bergamini. Quelli di Montevecchia, però, guardavano dall’alto al basso gli altri Bergamini, considerandosi un po’ la nobiltà dei formaggiai. Non calavano dalle valli delle Alpi Orobie, vestiti con indumenti di pelle e pelo, con campanacci e scarponi da montagna, parlando dialetti astrusi e incomprensibili ai milanesi. No, loro arrivavano da Muntevegia, lo splendido borgo sulla collina terrazzata che dominava tutta la brianza, il meratese e il vimercatese. Ma soprattutto vendevano solo tomini di capra, dal gusto delicato e dal profumo fortissimo, con la caratteristica crosta bianca esterna e la pasta morbidissima interna.
L’ultimo dei formaggiai di Montevecchia girava per Milano coi suoi due cesti in mano e la bilancia a tracolla e urlava tutto il giorno “L’è vecc e bon!”, da cui il soprannome.
Quando le strade tra Milano e l’alta Brianza iniziarono a migliorare, al posto di far calare orde di formaggiai di Montevecchia a Milano, furono i milanesi a invadere il piccolo borgo, comprando i formaggini direttamente sul luogo di produzione.
El Vecc e Bon rimase così l’ultimo formaggiaio a girare per Milano, coi suoi cesti che emettevano quell’odore così forte, pungente, ma buono, che faceva scappare tutte le fanciulle e avvicinare solo i buongustai.
EL MATT DE VIA STELLA
Via Stella, o Borgo della Stella, era l’odierna via Corridoni e camminando lungo quella strada o nei vicoli limitrofi, era molto facile incontrare, intorno al 1870, el Matt de via Stella, un uomo alto alto, allampanato, elegantissimo, dal mento sfuggente, una barbetta caprina, secco come un tralcio di vite e dall’incontenibile favella.
L’uomo, sui sessant’anni, molto ricco grazie a una eredità, girava per la città cercando di attaccare bottone con chiunque; se per caso qualcuno si fermava ad ascoltarlo, veniva immediatamente trascinato in un turbinio di parole, in uno sproloquio di citazioni in latino, greco antico, oscure lingue semitiche, arabo, in versi e poemetti decantati con enfasi degna di un bardo medievale. Del tutto inoffensivo, se non per la salute mentale di chi lo incontrava, era conosciuto, e quindi evitato, da tutti i milanesi.
El Matt de via Stella si doveva così accontentare di passeggiare nei pressi di Porta Vittoria, in modo da incontrare qualche forestiero che non lo conoscesse e trasformarlo nella sua ennesima vittima.
Nelle foto:
1 El Bordoeu
2 L’è TantCiara
3 El Patuzzi
4 Quel de la Bosinada
5 El Vecc e Bon
6 El Matt de via Stella
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