Il respiro della musica

Le storie di Nene Milano

Gradini di sabbia e di sudore, sbriciolati dal tempo, umidi e stanchi. Inutili oggi, mantengono la memoria di estati calde, il rito di momenti ubriachi di musica, una bottiglia di lambrusco, pane e mortadella, le  battute grasse, l’ombra benedetta delle case, una pausa dalla fatica.

Un luogo, un appuntamento che si ripeteva al tramonto, dopo il mercato, ognuno col suo banchetto, la sua mercanzia raccolta con ordine…roba essenziale…magliette, bottoni, filo, calze, ma anche frutta, verdura, formaggi…una sosta insomma, prima di tornare a casa con un carretto e un mulo, i più fortunati con un furgone.

Gradini in ogni paese di quella collina emiliana,  forse un destino segnato, un invito…

“Io, una “patatina di naso”, niente a che vedere con la patata schiacciata sulla faccia di mio padre, ma era bello e solido, con due braccia forti e due occhi buoni.  Era così…e faceva il cantastorie o, forse no, faceva il commerciante nelle fiere e nei mercati di paese, ma non c’era alcuna differenza per me, bimba che sgambettava instancabile, parlava in solitario “ma io…ma tu allora”.., i capelli ricci ricci, un po’ impertinente e molto curiosa…”Dai Mario canta”, dicevano e il mio papà “Maio” intonava con limpida voce tenorile “Non ti scordar di me, la vita mia legata a te…” Lucean le stelle…” “Va pensiero…”, l’anticamera di una magia corale, le speranze si accavallavano galoppando sulle strade, sorvolando i cieli…va pensiero…la guerra è finita, la patria è salva, ma vola pensiero, puro come un diamante, appassionato come la speranza. Cantavo anch’io, ritta in piedi, sul gradino più alto, aspettando l’eco della montagna”

E vai col liscio: scoppiava la vita nelle balere degli anni 60: balli popolari, da pacca sulla spalla, quattro assi di legno messe insieme con sopra un telone, un’orchestrina un po’ improvvisata con un re, la fisarmonica, nella piazza, le ragazze in festa, occhiate maliziose, un sussurro compiaciuto, tavolini e sedie in allegria ad abbracciare le risate. Il ballo, la libertà, racconti d’amore, quadri di vita semplice, le ali del divertimento.
Rita, la piccola “patatina di naso”, ormai una diva nel mondo delle balere, aveva sedici anni, cantava con voce roca e sicura, con il ritmo dei valzer e delle mazurke, piccola, un usignolo  di sentimenti.

“C’è un’isola in me, dove il vento soffia di terra, diceva Pessoa, e di pane, di incontri sbagliati, di affannose ricerche. L’ascoltavo quel vento, assorta, una ragnatela gigante viveva in un angolo, decorava lo spazio, sempre più spazio. Un merletto prezioso, unico. Anch’io volevo essere un ragno silenzioso e costruirmi la vita con fili di seta ordinati, con il profumo del piacere, con i miei colori. Alla radio vibrava la forza e l’intensità della Piaf.“No, proprio niente/No, non mi pento di niente/Né il bene che mi è stato fatto/né il male…No, non volevo crescere in quel mondo. “Stupida, ma dove vuoi andare?”, diceva l’altra Rita immaginaria. “Io…io non so…ma adesso sono sola…adoro la tenerezza della mia collina, gli spruzzi di fuoco del caminetto, il palco che mi fa grande come una regina, ma vorrei offrire la mia voce che soffre, che racconta sommessa la bellezza di un’alba che soffoca il cielo di rosa, il candore del primo amore…” “Ma lascia perdere il romanticismo, ci vuole solo un bel ragazzo, senza tante storie” “Forse, ma un ragazzo che mi faccia sognare e mi porti via…”

Era il 1975 e quella sera, l’ultima sera, nella balera più amata, con la febbre di un brivido dell’anima cantò

Non ho mai chiesto alla luna
Della mia cara povertà
Una manciata di fortuna
Di amori o di felicità

Non ho mai visto nelle stelle
Fate Turchine o maghi blu
Le mie fiabe eran di quelle
Che non raccontano lassù

Ho avuto niente
Niente di niente
Ma ho chiesto niente
Niente di niente (Scarpe nuove –  Milly)

Un giocattolo spento, narrava la sua anima, immobile, senza gesti, la sfida negli occhi, la compagnia di una sigaretta. Il magnetismo diventa struggente, si impone, si fa malinconia. Ma è un addio con la sua verità.

E venne il tempo: ora c’è Luigi, un uomo maturo, che cancella la memoria scomoda, ruba la sua intensità, la porta a Milano, al terzo piano di  una casa popolare, un cortile ghiaioso, biancheria stesa, un albero rinsecchito dall’autunno, la foglie gialle dimenticate.

“C’era il sole, quel sole che non vuol disturbare, con un sorriso slavato e trentatrè gradini per arrivare in Paradiso. I gradini del sogno…adagio, non c’è fretta…mi dicevo…un cane dormiva indisturbato, un profumo di basilico intenso, vasi di fiori, muri scrostati…e la porta che apriva la mia nuova vita.”

Il respiro della casa è caldo, una simpatia spontanea salda le conoscenze, sorridere, ridere, una chiacchiera stupida per passare il tempo, la tromba di Gino alla finestra del secondo piano…”ma lui aveva studiato musica…suonava in un’orchestra in un locale famoso…roba seria, da professionisti” dicevano. Ed è grande amico di Luigi dall’infanzia. “Dai vieni, dai vieni a cantare..”, insisteva,  “Vai…ci sarò anch’io”, diceva Luigi.

“Un vestito bianco, una rosa in mano – cantavo, stordita e soffocata d’amore

“…Finché l’amore inonderà i miei risvegli

Finché il mio corpo fremerà sotto le tue mani

Poco m’importa dei problemi

Amore mio, poiché tu m’ ami…”(Inno all’amore – Piaf)

ed era un tripudio di applausi…era il mio inno alla vita”

Il cuore sussurrava con il pudore di un fiore

“Ne me quitte pas…lasciami diventare
l’ombra della tua ombra,
l’ombra della tua mano,
l’ombra del tuo cane,
manon mi lasciare… (Jacques Brel)

E il tempo sorrise compiaciuto: nasce Eva, una “patatina di naso” vivacissima, attenta, che impazzisce per la musica, non importa quale e batte il tempo, ma non sa ancora camminare, e canta…a modo suo, naturalmente. Mamma Rita predispone una scala di cristallo con studi al conservatorio, un pianoforte per le esercitazioni, spartiti a volontà, complice, felice. La musica riempie il giorno, le voci si intrecciano, sfidano il tempo, le note impongono il loro gioco modulando gioia, malinconia.

“ E venne il 7 dicembre del 2003. Avevo 60anni. Il tempo si fermò. Una pioggia fastidiosa, ma chi la sentiva? Un abito rosso nuovo, ma chi ha detto che non si può a quell’età? Luigi torturava la cravatta d’argento, impaziente, ansioso. Facce conosciute, della TV, del cinema. Facce con il sorriso stampato. Gioielli, lampadari sfavillanti, ma chi li aveva mai visti? “E’ la Scala” diceva con orgoglio Luigi… Già, la Scala…tutti sapevamo…ma non mi intimidiva…seduti, composti, in attesa…la suggestione della voce di mio padre “Non ti scordar di me”…il silenzio… poi una musica corale, dolente, lirica…”Va pensiero…Arpa d’or dei fatidici vati/Perché muta dal salice pendi?” Sentivo la sua voce o così mi sembrava…Eva, mia figlia era là, debuttava nel coro…E piansi”

Il tempo modula tenerezza, piacere, rincorre le stagioni, colora i prati, fugge per poi ritornare, canta i ricordi, ma poi trattiene il respiro ad ascoltare ancora e ancora…il miracolo eterno di quel 7 dicembre del 2003.

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