Giorgio Goggi “Città a 30 all’ora, solo un (pesante) pannicello di Sala per nascondere il non fatto”

Milano

Suscita molte perplessità la proposta di imporre il limite di velocità a 30 Km/ora su tutte le strade di Milano. Per molti motivi. Innanzitutto in una città in cui la polizia municipale è ormai quasi del tutto assente dalle strade sarà ben difficile far rispettare il limite, nonostante l’impiego di ulteriori telecamere, che non potranno certo essere ubique.

Il rischio è che si generino conflitti tra chi rispetta il limite e chi lo viola, con la possibilità di aumento degli incidenti.  Aumento degli incidenti che si è già visto con le pericolose piste ciclabili, tracciate senza protezioni e anche su strade principali, e con la follia dei monopattini utilizzati senza regole.

Milano è il centro attrattivo di una grande area urbana che richiama ogni giorno 400.000 autovetture (molto diminuite dalle 700.000 degli anni ’70, grazie al passante ferroviario e alle nuove metro­politane) e circa 250.000 mezzi commerciali. Accessi che non si possono diminuire se non con nuove infrastrutture (parcheggi d’interscambio, nuove metropolitane, secondo passante) poiché il trasporto pubblico non può essere capillare e le necessità delle molteplici attività lavorative costringono molti ad usare il mezzo proprio, come avviene in tutte le grandi città del mondo.

La nuova misura, benché la velocità media della rete stradale sia già molto bassa, inevitabilmente causerà una ulteriore riduzione della capacità degli accessi alla rete urbana (in teoria del 40%, ma già la lentezza del deflusso sulla rete mostra come la capacità sia già stata ridotta di parecchio).

E’ un banale fenomeno fisico: ad ampiezza invariata delle sedi stradali, se la velocità è ancora minore, la capacità diminuisce. Se oggi siamo abituati a vedere lunghe code di auto ferme agli accessi autostradali alla città, nel futuro potranno essere più lunghe.

In breve, sembra che questa città voglia espellere quelli che ne garantiscono il funzionamento.  Ci è già riuscita in parte con l’area B: molti lavoratori entrano in Milano prima delle 7,30 e ci restano fino alle 19,30 perché non possono cambiare l’auto e tra non molto cercheranno un lavoro all’esterno.  Alcuni artigiani non accettano più lavori a Milano a causa dell’area B.

Inoltre decine di migliaia di famiglie milanesi (40.000 nel 2019 come riportato dal Corriere della Sera) si trasferiscono all’esterno a causa degli spropositati prezzi delle case, sostituiti da famiglie monocomponente di giovani in carriera.

Tutto ciò, causato anche dalla voluta cospicua bolla immobiliare in corso, sta avviando la trasformazione di Milano in una di quelle città abitate solo da uffici e famiglie molto abbienti, come New York e Londra, con gran parte della popolazione originaria trasferita all’esterno insieme a molte aziende [1].

Tornando al limite di 30 all’ora, le città europee che hanno già adottato questa misura sono in genere città piccole (Olbia) oppure dotate di una rete di trasporti pubblici molto potente ed una rete autostradale ugualmente molto sviluppata, come Londra e Parigi che pare intendano in futuro adottare questa misura.

Possiamo però guardare a città che hanno affrontato il problema in modo molto più efficace, città come Copenaghen e Amsterdam, che si possono definire il paradiso del ciclista (che non sembra siano interessate ad adottare il limite generalizzato di 30 all’ora).

Queste città hanno una popolazione poco più grande della metà di quella milanese (Amsterdam 740.793 abitanti e Copenaghen 638.117), dispongono di una rete metropolitana di ben quattro linee[2], notevole in rapporto alla popolazione, ma soprattutto dispongono di una rete autostradale enormemente più estesa di quella milanese, molto estesa anche in ambito urbano, e di una larga quantità di parcheggi urbani.  Cosicché gran parte degli spostamenti è convogliata su reti separate dalle strade urbane, che vengono utilizzate solo per l’ultima parte dello spostamento, con disponibilità di stazionamento fuori dalle strade.

Milano non è in queste condizioni.

Il fatto è che, prima di fare la guerra alle auto, come sembra essere l’atteggiamento milanese, occorrerebbe portare la città ad una infrastrutturazione più adeguata, non certo al livello di Amsterdam, ma sufficiente a ridurre di molto la circolazione.

I milanesi hanno sempre dimostrato di apprezzare la disponibilità del trasporto pubblico: dopo l’apertura della linea 5, il traffico su viale Zara, già ridotto in precedenza dalla presenza del cantiere, si ridusse ancora e la linea nell’ora di punta, soprattutto alle Tre torri, fu fin da subito assai congestionata (la mancanza del deposito per ora non consente di portare la frequenza a 70 secondi come il sistema permetterebbe).

Teniamo presente che il passante ferroviario gode di parcheggi d’interscambio, adeguati o quasi, solo nell’area milanese, ne ha pochissimi nel resto della Lombardia se non i modestissimi parcheggi di stazione (FS in tutta la Lombardia ha solo 2.000 posti auto), cosicché non tutti quelli che potrebbero interscambiare con la ferrovia lo possono fare.  Con un sistema robusto di parcheggi alle stazioni si potrebbe evitare l’ingresso in Milano di alcune decine di migliaia di auto.

Inoltre, Milano aveva progettato un secondo passante, che avrebbe consentito l’accesso ferroviario diretto e la distribuzione in città degli arrivi da tutti i comuni lombardi dotati di una stazione.

Purtroppo questo progetto, ovviamente di lungo periodo, ma meno oneroso di quello del primo passante, per mano del Comune è stato eliminato da tutti gli strumenti di pianificazione.  Così come sono stai eliminati i residui parcheggi interrati per residenti che avrebbero tolto altre 25.000 auto dalle strade.

Inoltre, il PUMS milanese aveva giustamente tracciato la nuova M6 come linea diametrale dal Nord Milano fino all’asse di via Ripamonti, l’ultima grande direttrice ad esserne scoperta, anch’essa avrebbe potuto ridurre di molto gli accessi in auto.

Tuttavia l’attuale Giunta ha ora controproposto la M6 come linea interquartiere nel Sud Milano, quindi con nessuna rilevanza ai fini della riduzione degli accessi dall’esterno (e nessuna razionalità in termini di gestione).

Non ultima, la riapertura dei Navigli consentirebbe di estendere le pedonalizzazioni del centro storico con già individuate strutture d’interscambio.

Si tratta, come si suol dire, di un vasto programma, ma così come Milano è giunta ad avere cinque metropolitane e un passante ferroviario, col tempo potrebbe aggiungere queste due infrastrutture e completare una rete ottimale.

Non sarà come Amsterdam o Copenaghen – Milano non potrà mai costruire autostrade urbane – ma ci potrà assomigliare molto.

Giorgio Goggi

[1]     Mi ha molto stupito, quando ho visitato la metropolitana di New York nel 2004, constatare che tutti i dirigenti della Metropolitana, prevalentemente di origine italiana, abitavano a Queens nel settore esterno alla rete metropolitana, non potendo permettersi di abitare all’interno (tranne il presidente, un wasp di nomina politica, che abitava a Manhattan). Partivano da Queens alle 5 del mattino per arrivare in tempo agli uffici di Brooklyn.  Penso che Milano non arriverà a questo punto, ma la strada imboccata è la stessa.

[2]     Quando Copenaghen decise di ampliare la città con un nuovo quartiere, realizzò una nuova metropolitana (progettata e gestita da ATM con il sistema Ansaldo) prima ancora di costruire gli edifici.

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