La via francese dei dem

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Il Pd, in prossimità di elezioni e congresso, è in difficoltà, ma in realtà gran parte del socialismo europeo è in forte difficoltà. Stranamente questo avviene mentre anche le politiche liberiste sembrano causa di crisi economica, avvinghiate come sono ad una complessiva governance dominata più da scelte geostrategiche che da motivi economici. Come sta avvenendo ai dem, un lustro fa si inabissava improvvisamente dalla scena francese il partito socialista transalpino, la formazione, fondata nel 1905, vissuta tra molteplici scissioni e riunificazioni da Jaures a Blum, da Mendes France a Mitterand, da Jospin fino alla presidenza Hollande. Raggiunto nel 2012 l’acme del potere presidenziale, successivamente i socialisti francesi si sono sciolti come neve al sole; dal 28,6% dei voti al 6,4% presidenziale ed al 5,7% parlamentare, all’ultimo 1,75% presidenziale del 2022. Molte responsabilità sono state addossate al presidente Hollande, il cui più grande fallimento fu la crescente disoccupazione. Hollande ha lasciato il partito socialista in rovina e ora rovinerà anche la Francia, disse il sindaco di Lille, la Aubry. Disoccupazione, imposte cresciute enormemente, politicamente corretto con il suo strascico di matrimonio ed adozione gay, fecondazione assistita e utero in affitto sono stati il menu della rovinosa caduta.

La Francia è stata la prima, in Europa, a introdurre, sull’onda americana, la politica spettacolo della personalizzazione e comunicazione, fin dalla V Repubblica di De Gaulle e dalla sua versione socialista, la forza tranquilla dell’81 di Mitterand con la concomitante candidatura del comico Coluche. I socialisti fra la sconfitta del 2007 ed il successo del 2012 costruirono primarie di grande impatto, al contrario degli italiani. Usarono l’opinione pubblica per imporsi nelle lotte interne di apparato e trasformarono primarie apertissime in onde lunghe mediatiche ricche di storytelling socialsociobiografici, manipolati da esperti. Il segreto del successo fu il meccanismo di inclusione plebiscitaria, al di là dei contenuti. D’altronde non è che i socialisti europei abbiano prodotto un granché di politica sociale; le 35 ore di settimana lavorativa di Jospin (che non gli valsero la presidenza) e della Aubry del ‘98, sono state l’ultimo atto concreto di politica socialista, nel senso classico del termine in Europa.

Ad un certo punto ottimismo di maniera, pubblicità, personalizzazione, idee bislacche sui destini africani ed il peso del buffo esempio di mascolinità fedifraga non bastarono più. Nel 2014 dopo l’umiliazione subita dalla destra della Le Pen, con programmi saccheggiati alla sinistra, 25% dei voti vs il 14%, Hollande si sfogò contro l’Europa non rispettosa delle nazioni, causa del crescente astensionismo, ma non venne seguito. Presi dall’incubo Front National, i socialisti ne agitarono la minaccia razzista e fascista, senza suscitare però nell’elettorato le reazioni previste; sembravano già simili ai conservatori e non indugiarono a rimettersi al finanziere, già loro ministro, Macron che li prosciugò nel suo En marche. Poi Macron che non è affatto di sinistra e vorrebbe per la Francia una cura globalista all’italiana, smantellando il fin troppo generoso welfare, nei due mandati ha dovuto affrontare imponenti manifestazioni di piazza, che evidentemente non aspettano i socialisti, sostituiti nei fatti dal France Insoumise del comunista radicale Melenchon.

Alle ultime presidenziali, la sinistra si è presentata in ordine sparso, per ca. il peso del 26% dei voti, la sindaca socialista di Parigi Hidalgo, Mélenchon, l’ecologista Jadot, il comunista Roussel e la Arthaud. Mancava, per mancanza di sponsor, la radicale guayanese Taubira che pure aveva vinto le primarie popolari di coalizione organizzate dai movimenti giovanili con 467mila iscritti on line. Poetessa, ribelle, simile all’italiano Zan per sostegno ai sessi diversi, già ministro della giustizia di Hollande, mito per la gauche giovanile, Taubira batte suecologismo, giovani e diritti sociali e sembrava l’unica che volesse, da sinistra, governare di nuovo il Paese. Nelle primarie dietro Taubira c’erano Jadot, poi Mélenchon; nei sondaggi il leader di La France Insoumise aveva il 9% (13% dei giovani) Taubira e Jadot il 5%, Hidalgoe Roussel il 3%.  Nel voto reale Melenchon ha preso il 22%, la Hidalgo neanche il 2%.

Ai socialisti francesi bisogna rendere merito per aver mantenuto l’impostazione del welfare storico, per aver sottomesso i comunisti e per non avere ceduto fin dai tempi di Mitterand al giustizialismo, strumento principale dell’eliminazione dei partiti e della politica. Come noto, in Italia la vicenda è andata in senso opposto, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Si notano comunque delle assonanze tra i socialisti transalpini ed i postcattocomunisti nostrani. Tutti i mal di pancia derivanti dal dominio della globalizzazione hanno comportato divisioni e nascita di nuove formazioni a grappolo, che poi hanno determinato una crisi d’identità mortale in Francia, molto grave in Italia. I socialisti hanno dovuto affrontare il tema rilevantissimo dell’integrazione e del multiculturalismo, imposto dalla massa di cittadini francesi arabi e neri; non ci hanno dovuto solo giocare, per questioni di principio, come gli italiani.

La tendenza del potere per il potere ha comportato l’esaltazione di figure simbolo della finanza, Draghi come Macron, assolutamente estranee al campo di sinistra. Entrambi fronteggiano una destra con un ricco programma sociale di sinistra, che non ha sfondato in Francia come in Italia. Entrambi sono stati superati e quasi sostituiti da formazioni più radicali; che in Francia mantengono l’aplomb di sinistra per linguaggio e contenuti e che invece in Italia sono premoderni. Hollande, come Renzi ha avuto una grande vittoria, poi un tracollo ma il primo è fuori dai giochi, il secondo vi è ancora immerso. L’eclettica figura della Taubira, tutta rivolta ai diritti (ed in più all’anticolonialismo) richiama la giovane Schlein, mentre i Bocassini assomigliano alle Hidalgo. Lontani dalla tradizione socialdemocratica tedesca, italiani e francesi non riescono ad essere moderati senza ossequio al turbocapitalismo. Lo stesso nazionalismo francese, che ha mantenuto una certa limitata indipendenza, però ha impedito ai transalpini, sia di destra che di sinistra, la svendita nella lotta tra guelfi e ghibellini. In Francia il socialismo anticomunista ha prevalso da molti decenni, le formazioni radicali di sinistra non mantengono legami con il periodo filosovietico; paradossalmente, a paragone dell’Italia, c’è più pensiero di sinistra. In Italia, resiste la sinistra strutturata come uno scheletro esterno che a suo tempo venne costruita sullo scheletro esterno fascista. C’è assolutamente assenza di pensiero di sinistra; è più facile trovare esposizioni antisistema provenienti dalla destra.

Incamminati sulla strada francese della fine di una vicenda politica, i dem potrebbero cadere in un baratro peggiore per assenza di idee e programmi propri ed autonomi.

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