Dalle ciliegie a 60 euro alla frutta a 1 euro, secondo la zona. Le due facce delle bancarelle in giro per la città.
Girando tra le bancarelle di via Calvi, al giovedì mattina, in questa stagione può capitare di imbattersi in cartelli che annunciano la vendita di giacche di visone a 250 euro o completi di cashmere a prezzo variabile dai 180 euro in su, molto su, come potrebbe succedere in estate nei mercati delle località turistiche più eleganti e rinomate. Quel che non si troverebbe durante la bella stagione sono invece frutti esotici a chilometro 20mila (manghi dal Perù, litchis dal Madagascar o India), ma soprattutto delle ciliegie che sembrano coltivate e seguite ad una ad una tanto sono belle. Prezzo 60 euro al chilo (s-e-s-s-a-n-t-a): vien da pensare che ci siano interi container di ciliegie ancora bloccati nel porto di Odessa, per cui il prezzo del prodotto è schizzato alle stelle a causa della scarsità di offerta dovuta alla guerra in Ucraina, come è successo in questi mesi per pasta, farine e altri generi alimentari. Un calcolo veloce e si arriva alla conclusione che quattro chilogrammi di ciliegie, totale 240 euro, potrebbero essere barattati con una giacca di visone autentico. E’ il mercato, bellezza, si dirà.
Vero, è proprio il mercato e a Milano quando si parla di mercati in genere la mente tende a correre subito a piazza Affari, a palazzo Mezzanotte, agli indici che rimbalzano dalle principali piazze finanziarie del mondo e che accompagnano nel corso delle giornate ogni volta che si sfoglia un giornale online, si consulta lo smartphone o si guarda un tg.
Niente di più sbagliato, perché in realtà Milano non è soltanto legata all’andamento dei vari Dow Jones, S&P500, Nasdaq, FTSE MIB o Euro Stoxx. Esistono mercati e mercati, come sanno tutti coloro che devono tenere bene a mente i loro calendari settimanali quando parcheggiano la sera in viale Papiniano o in via Eustachi, in via Benedetto Marcello o, appunto, in via Calvi. Devono farlo, onde evitare che l’auto venga rimossa il mattino dopo per lasciar spazio alle bancarelle. Sono i mercati che esistono da sempre, una delle primissime forme di economia nella storia dell’uomo, quei luoghi in cui si possono studiare prima e meglio che altrove i comportamenti di una società, i suoi livelli di benessere, le sue propensioni all’acquisto dei generi di prima o primissima necessità.
Ma ormai anche, a ben vedere, anche quelli di quarta o quinta. Sono i mercati dei 5 carciofi a 5 euro (puliti), del “comprate le nostre arance”, “guardate che fragole”. E della loro evoluzione alla milanese, perché forse qui più che altrove si è sviluppata una differenziazione abbastanza netta tra una piazza e l’altra: nelle zone più centrali offerta anche di alto livello qualitativo, con prezzi conseguenti a prova di portafogli robusti e sicuramente non toccati dalla crisi; in quelle più tradizionalmente popolari, invece, il mercato sembra aver mantenuto la sua vocazione calmieratrice. Non solo, in questi ultimi si assiste ormai da tempo a un progressivo inserimento nel sistema commercio dei nuovi italiani, provenienti da Egitto, Maghreb, Sri Lanka o altri Paesi, con il conseguente allargamento dell’offerta merceologica a prodotti tipici delle rispettive aree di provenienza che alle latitudini milanesi risultavano sconosciuti o quasi fino a pochi anni fa.
Via Benedetto Marcello al sabato mattina, ad esempio, è forse il più vicino a quell’idea antica di luogo in cui rifornirsi settimanalmente di frutta, verdura, pesce, formaggi a buon mercato. Ma anche di pentole, attrezzi per la casa o abbigliamento di varia natura a prezzi accessibili ai più. Diciamo a quasi tutti. Le abitudini innanzitutto: qui è normale che i clienti e le clienti più esigenti mettano le mani nelle cassette di frutta e verdura, scegliendo con esperienza tattile il prodotto migliore. Cosa impensabile altrove. Ma è soprattutto l’offerta che fa la differenza: tra costine liguri, erbette, giuggiole e spinaci nostrani, fanno capolino lan, pac choi, ravu, pic on, banane platano (quelle che si friggono), poi manghi di vario grado di maturazione, radici bianche e lunghe piuttosto grosse chiamate cat, la loro versione più sottile di colore verde chiamata cat dan. Diversa l’offerta, diversa la clientela, più etnicamente composita. E diversi i prezzi: popolari, o più che popolari, naturalmente.
Per dire, qui se chiedi le ciliegie a metà gennaio ti guardano come se avessi bevuto qualcosa di fortemente alcolico fin dalle prime ore del mattino.
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