Se guardassimo lo Skyline solo di sera, davanti a un spritz fatto con il Campari, magari in buona compagnia, difficilmente saremmo critici. Se invece facessimo un’operazione di approfondimento su ciascuna infrastruttura con un minimo di nozioni, probabilmente non saremmo cosi entusiasti.
È opinione comune che ci sia una sostenibilità di fondo in ogni opera, un classico dell’estetica del consenso lontana dal valutare anche l’aspetto impiantistico, spesso mai menzionato e a volte reso pubblico solo negli aspetti di supporto al consenso, al brand Milano che cerca di essere competitiva e lo fa nel peggiore dei modi: uniformandosi.
Ma Milano non è ancora compiuta e sembra soffra il complesso d’inferiorità.
L’impiantistica, le tecnologie innovative per il risparmio energetico, l’ingegneria ambientale, l’ingegneria idraulica, la scienza delle costruzioni. Invece c’è solo l’architettura del consenso, se non l’urbanistica balbuziente, spesso senza rudimenti.
Partirei dà una risposta che mi dette il Prof. Emilio Battisti: “Non lo so, io non sono un urbanista”.
Scrisse il Prof. Ernesto D ’Alfonso:
“la strutturazione idraulica, l’energia, l’infrastrutturazione viaria ferroviaria aerea, la produzione di rifiuti e l’inquinamento, il welfare sono i temi chiave da affrontare nel disegno della metropoli. E che il paradigma della “forma urbis” alla scala metropolitana deve pensare nuovi epicentri interattivi con gli insediamenti esistenti per ri-funzionalizzare la struttura intera”.
Tenendo conto delle considerazioni di cui sopra, c’è molto da dire, soprattutto in termini di visione di sviluppo e di approccio etico del costruire, dell’investimento per la Città, i bisogni dell’abitare, il risparmio energetico, l’impatto ambientale. Si dovrebbe parlare di permessi a costruire con parametri nuovi quali l’impronta carbonica e l’impatto energetico facendo i conti correttamente, ma i costi per la comunità non sono oggetto di discussione.
Servirebbe pensare a come sia stato possibile uno sviluppo della Città così lontano dal suo senso naturale dell’abitare a favore d’ interessi così forti da piegare la ragione a servitù.
A Milano i grattacieli spuntano come funghi mentre una febbre speculativa sta facendo schizzare i prezzi immobiliari. La Città si sta rivelando una sorta di laboratorio del neoliberismo urbanistico.
Scrisse il Prof. Sergio Brenna:
“Ci si può chiedere come sia possibile offrire il doppio della rendita fondiaria corrente e l’unica spiegazione plausibile è che qui ad investire non sono stati operatori immobiliari “puri” che si debbono finanziare dalle banche e vendere a breve, ma direttamente operatori bancario-finanziari che possono permettersi una scommessa speculativa sul lungo periodo: pago il doppio la rendita, ma egemonizzo il mercato e nel giro di 15-20 anni i prezzi saranno più che raddoppiati”.
Il neoliberismo del costruire, è una formulazione corretta di sviluppo o piuttosto d’inviluppo?
Si sa che dietro i grandi progetti, ci sono i fondi e capitali privati americani e arabi. Si può sostenere che da essi dipenda la maggior parte dello sviluppo urbanistico milanese, ad esempio gli Scali Ferroviari, i quali tardano con i binari della Circle Line ma vanno avanti con i cantieri nel rispetto dell’interesse privato.
Con il termine “ristrutturazione “, si costruisce il nuovo con cui è possibile far muovere miliardi di euro andando a speculare dove si può, semplicemente creando visioni e prospettive che sovente riescono a eludere anche le regole edificatorie come nel caso di Porta Nuova, dove per incanto il coefficiente di suolo pubblico è passato da 54mq/abitante 15mq/abitante, nonostante si sia poggiato sul concetto del non consumare suolo, andando a costruire verso l’alto, torri da 200mt dove far abitare certe famiglie e non qualsiasi Famiglia.
A Milano si potrebbe citare l’architetto Boeri, forse colui che meglio incarna l’essenza del creare forme e visioni con una abilità d’inventare anche nomi suggestivi, in grado di soddisfare l’edonismo degli investitori come negli Scali Ferroviari, dove è stato chiamato per essere una specie di tutor del “buon costruire”, inventando un “favoleggiante” spazio verde chiamato “Fiume Verde”, che si prende i 30 mq/abitante di spazi pubblici che dovevano essere totalmente impiegati per i servizi di prossimità (aree giochi, scuole, centri civici, ecc.). Ricordiamoci che lo spazio pubblico non è solo un parco. In questo l’architetto è piuttosto bravo.
Dunque si abbandona definitivamente l’idea del ricostruire, del rigenerare gli spazi abitativi già esistenti, a favore di un’idea di modernità che uniforma e atrofizza il senso critico e fa guadagnare cifre da capogiro all’investitore. Si passa a strategie di marketing come l’urbanistica tattica della quale non ho capito un granché (mi viene in mente Madame Trousseau).
In Italia è Milano che si trova particolarmente sottomessa a questa logica, declinando le critiche a mera invettiva contro il moderno che avanza, il rispetto dell’ambiente, il dare una mano al recupero del surriscaldamento climatico delle città, come se davvero quelle povere piante del Bosco Verticale avessero un impatto positivo misurabile sulla cittadinanza (certo un albero compie il suo lavoro), dunque fatto passare come un bene comune e non un bene privato. Un esempio di un modo di costruire che trova consensi, dominus del quartiere Isola.
Questi grattacieli osannati (de gustibus), mostrano dei cassonetti quadrati uscenti per circa ¾ dalla struttura portante, forse senza troppo rispetto per le forze insistenti sulla resistenza della struttura, in cui sono state collocate piante di vario genere, un’attrazione fatale nella maggior parte di chi li guarda, soprattutto perché presentati come un vero bosco in cui far coesistere l’uomo, l’ambiente, la flora e la fauna, una natura artificiale migliore di quella reale, nata per riequilibrare le termiche estive, la calura milanese o almeno è questo che è passato come messaggio.
Eppure Bosco Verticale, nel suo progetto impiantistico non ha nulla di così evoluto, non dispone di sistemi davvero avanzati a “impatto zero”, dunque non si autosostiene dal punto di vista energetico, nonostante la grande fama che poggia proprio sull’impatto ecologico. I due condomini, sono dotati di domotica “a la page”, di un impianto fotovoltaico tutto sommato modesto, peraltro nella torre minore anche mal posizionato, ombreggiato dalle strutture tecniche di copertura, di Chiller caldo/ freddo della nota società Climaveneta/Mitsubishi già conosciuti, gestiti da un sistema di controllo che ne garantisce la performance (Climapro). Ha un sistema di pompaggio di acqua di falda che tira su l’acqua a una temperatura costante intorno ai 12°C, sarebbe stato più efficace un impianto termo solare con il quale si poteva anche produrre acqua calda fino a 40 ° C e acqua fredda (ad esempio con i sistemi di conversione Yasaki).
Certamente saranno state installate pompe con inverter che riducono i consumi ma solo sugli spunti, e certamente ci saranno TV SAT di ultima generazione, una rete dati in fibra, videosorveglianza, forse controllo accessi, e parte delle acque grigie viene reintrodotta nel sistema d’irrigazione automatico, anch’esso probabilmente controllato da sensori posti sul terreno di dimora delle povere piante, ancorate e imbrigliate per resistere ai venti. La loro crescita è limitata grazie alla gestione delle radici.
Si stimano non meno di 50KE/ mese solo di energia con i suoi MW di potenza termica e frigorigena, necessari per gestire i probabili funcoil a 4 tubi per una climatizzazione confortevole, fatta anche con pannelli radianti. Certamente ci sono sotto centrali di rilancio dell’acqua sanitaria, ecc. ecc. Niente di nuovo ma fatto passare per chissà che cosa, tecnologie convenzionali anche se di ultima generazione.
Non c’è innovazione impiantistica nel bosco verticale. C’è invece un serio studio ingegneristico per ridurre i disagi delle vibrazioni delle 2 linee metropolitane che lambiscono la base di calcestruzzo che sostiene la struttura. Si è letto di turbine microeoliche quando nella pianura padana non c’è velocità del vento. Si è sentito di migliaia di specie di farfalle e insetti vari quando in tutta Europa non ne esistono più di una settantina. Potremmo definirli effetti speciali per conquistare l’opinione pubblica e nuovi investitori, una mera operazione di marketing che ha portato premi e riconoscimenti Internazionali allo studio Boeri.
Se dovessi dare una definizione: un nido narcisistico per una certa categoria di persone, tuttavia appagante per molti. Un motivo di orgoglio per una Milano in vetrina. Lascio il tema a chi ne sa più di me sulla psicologia della Società.
L’idea di utilizzare vaste zone a favore del costruire privato, senza riprendere un progetto oculato di nuove costruzioni pubbliche e forti ristrutturazioni, porterà la Città sempre di più verso un modello di società dai forti contrasti e disuguaglianze, probabilmente sofferenze difficilmente gestibili e che non dovremmo accettare. Soprattutto, ci sono delle questioni che devono essere affrontate dalla Società milanese non ancora contaminata. Bisognerebbe discutere in modo severo, sugli artefici di uno sviluppo lontano dal buon senso, dagli equilibri di vivibilità e distribuzione del bello nei quartieri mantenendo il senso della Città. Forse anche il privato dovrebbe fare la propria parte, la Milano recente (Giunte comunali) non sembra abbia brillato sul tema della ridistribuzione della ricchezza.
Temo che le future generazioni moderate non abbiano gli strumenti per essere critiche e forse questo dipende da noi. Non voglio pensare che ci sia solo l’anarchia a sostenere il diritto al dissenso a favore di un bene pubblico. Le nostre voci sono così lontane dai giovani mentre il nulla avanza e convince.
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