Siversk (Ucraina). «Vedi quella fabbrica davanti a noi? È occupata dai russi. Adesso ci hanno visto e potrebbero spararci addosso. Speriamo di no», spiega con calma don Oleh Ladnyuk, il salesiano che ha preso i voti a Torino vivendo per otto anni in Italia. Nell’inferno del Donbass è conosciuto come «prete coraggio», che sfida le cannonate dei russi per portare medicine, viveri, aiuti ai civili rimasti sulla linea del fuoco. La strada ghiacciata che percorriamo il più velocemente possibile, a bordo di un minivan pieno di aiuti, con una croce rossa sul parabrezza, è dritta come una lama, in campo aperto. L’unica per raggiungere Verhnjokamianske, un minuscolo centro abitato che significa «roccia alta». Tutte le case basse e semplici sono state colpite dall’artiglieria senza pietà. Le schegge non hanno risparmiato neppure una statua bianca della Madonna.
Le carcasse delle macchine bianche, rosse, verdi, fatte a pezzi dalle bombe, sono in mezzo alla strada e dobbiamo rallentare per aggirare un enorme cratere. Il villaggio dal nome impronunciabile è morto. Non c’è anima viva, a parte un pugno di zombie rintanati nelle cantine trasformate in bunker di fortuna. Il tiro intermittente dell’artiglieria fa da sottofondo ad un paesaggio spettrale. Bogdan, sulla mezza età con le gambe malferme, sale a fatica i ripidi gradini da un buco sottoterra dove si nasconde in compagnia del cane. «Vivo qui da giugno quando si sono intensificati i combattimenti» racconta indicando ad un paio di chilometri i sobborghi di Lysychansk occupata dai russi. Una batteria alimenta la luce fioca e una stufetta emana un po’ di calore con temperature esterne che di notte raggiungono i meno 15 gradi. Alla domanda su cosa si aspetta dopo un anno di guerra Bodgan sussurra trattenendo a stento le lacrime: «Spero di sopravvivere».
Ljuba, che corre incontro a padre Oleh per abbracciarlo, è una minuta babucka. «Guarda la mia casa – dice – una bomba l’ha centrata tre giorni fa». Il tetto è sfondato e dentro sono rimaste solo macerie. Padre Oleh le consegna delle medicine, una scatolone con viveri, generi di prima necessità e delle immaginette di Giovanni Paolo II arrivate da un sostenitore del cappellano militare in Italia per distribuirle in prima linea.
«La guerra sta provocando tantissimi caduti fra gli ucraini – spiega Oleh – ma ancora di più dalla parte russa. Li mandano all’assalto ad ondate su tutta la linea del fronte del Donbass a cominciare da Bakhmut». Le cannonate di sottofondo sono state sostituite dalle raffiche di mitragliatrice ed esplosioni di una battaglia dannatamente vicina. «Mi chiamano spesso negli ospedali per consolare i feriti con una preghiera – racconta il salesiano – È terribile vedere i nostri ragazzi senza braccia e gambe. Le famiglie chiedono di cercare i loro cari portati via in barella dal campo di battaglia. Talvolta sono vivi e li metto in contatto via cellulare. Purtroppo succede anche di trovarli morti».
A ritroso la pista ghiacciata sotto il tiro dei russi porta a Siversk, una cittadina fantasma dove non c’è acqua e neppure elettricità. Un baffuto signore, che non vuole mollare, mostra una scheggia grande come metà del palmo della sua mano. «Si è conficcata nel portone di casa quando il razzo è esploso là nella neve». Il palazzotto popolare di stampo sovietico dove abita ha la facciata scarnificata dalle bombe. I quattro civili rimasti vivono nelle catacombe moderne ricavate nei sottoscala.
«Mi chiamo Alexander» si presenta in inglese un ragazzino, che aiuta a scaricare gli ultimi scatoloni di aiuti, con l’immagine di don Bosco, portati da padre Oleh ad un improvvisato centro di raccolta. Siversk è la città, in guerra, dei bambini, almeno settanta nascosti nei bunker fai da te.
Il fuoco di artiglieria si intensifica e stiamo andando via quando esplode con cupo stridore metallico una granata piombata ad una trentina di metri, in mezzo alle case, che fanno da scudo assorbendo le schegge.
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