Che sia formazione (obbligatoria) aziendale, che sia formazione (obbligatoria) per i manager, che lo sia per i giornalisti, sotto le mentite spoglie di informare, preparare, aggiornare, viene diffusa pesantemente l’ideologia del clima data come fatto inoppugnabile, falsificabile, reale, scientifico. E quindi giù rinnovabili, case green, comunità energetiche e via dicendo. I dubbi della filiera energetica sulla politica europea dei contratti brevi e della rinuncia alla produzione propria vengono ricacciati indietro. Non parliamo del blocco della produzione automotive non elettrica al 2035, incubo per il relativo settore industriale. L’ideologia ambientalista tocca picchi simili a quelli dell’ideologia sovietica del secondo dopoguerra da Zdanov a Suslov, che malgrado la realtà, si abbarbicò ottusamente ai dettami marxisti prima di avviarsi al disastro.
La disseminazione pervasiva dell’idea green è impressionante tenendo conto delle libertà ancora esistenti nelle società occidentali. Passa con scarponi chiodati su chi, larga maggioranza, 30% scettico e 30% ondivago, non condivide l’idea dell’ineluttabilità del disastro; si impone come unica voce possibile di politici, giornalisti, decisori, manager sui mezzi di comunicazione, nei Cda, nell’accademia, nella formazione, puranco nelle assemblee elette. Costretta al dibattito, non accetta di mettere in discussione i suoi postulati in nessun caso, appellandosi alle decisioni finanziarie di Basilea, oppure ai piani stabiliti dall’Unione europea, alle scelte scientifiche dell’Onu, in ultima analisi alle decisioni economico finanziarie americane e della sua cupola finanziario digitale. Ed ammette così che non sostiene un’opinione argomentata ma una fede che non è disposta a mettere in discussione, cui anche i principi democratici devono inchinarsi e sottomettersi. Così una minoranza, largamente punita nelle urne, si impadronisce di schermi e palchi, trasformati in altari, che non intendono rispettare né dati di fatto, né legittimi interessi concorrenti.
L’idea green non si vergogna nemmeno di più di 50 anni di fallimenti teorici, tra previsioni apocalittiche errate su carestie, era glaciale, buco dell’ozono e riscaldamento globale, tutte idee elaborate per l’Occidente ed il mondo. Si comincia dalla minaccia della sovrappolazione denunciata dal club di Roma nel ’60 (incubo riproposto nel ’68). Nel ’66, il petrolio doveva esaurirsi in 10 anni (annuncio riproposto nel ’72, ’74, ’80, ‘96 e nel 2002), e si prevedeva carestia entro il ’75. Nel ’67 il biologo Ehrlich della Standford University annunciò l’imminente carestia (idea tornata nel ’75) ed il Salt Lake Tribune la datò al ’75; nel ’69 il New York Times scrisse di una nuvola di vapore blu che avrebbe ucciso l’umanità entro l’89; ancora vennero previste pandemia mondiale, inquinamento travolgente, catastrofe ecologica, crollo virtuale del Regno Unito entro il 2000. Nel ‘70 il Redlands Daily Facts previse il razionamento dell’acqua entro il ‘74 e del cibo entro l’80, si consigliarono i cittadini di munirsi di maschere antigas che sarebbero state indispensabili nell’85, si preannunciò il pericolo dell’accumulo di azoto; la morte di tutti i pesci, la fine di tutte le risorse naturali (idea tornata nel ‘72 e nel ’74 ma solo per oro, stagno, petrolio, gas naturale, rame, alluminio), l’arrivo micidiale delle api assassine mentre The Boston Globe presentava teorie su una nuova era glaciale per il 2000 (che venne poi spostata negli anni al 2020 e 2030 anche secondo l’autorevole Washington Post, il Time e The Guardian ma secondo la Brown University per il2070). Nel ’74 viene sollevata la minaccia del buco dell’ozono ma il clou è sempre il raffreddamento globale riproposto nel ’75, nel ’76, nel ’78. Invece nel ’77 il Dipartimento dell’Energia Usa teme l’esaurirsi della risorsa petrolifera.
Siamo ad un livello evidentemente naive e gli anni ’80 vedono affinarsi la descrizione catastrofica.
Chiamata in causa dal Noblesville Ledger entra in scena nell’80 la pioggia acida che aumenta la siccità e uccide la vita nei laghi. Nell’88 c’è il warning sull’inabissamento di Manhattan (nel 2005 prevista sott’acqua entro il 2015) e delle Maldive entro il 2018, poi sulla siccità dei futuri ’90, infine sulla distruzione delle nazioni sommerse dal mare. È di maggiore rilievo nell’88 il lancio della minaccia del riscaldamento globale, presentato dal Lansing State Journal e ribadito dall’ONU che avvertì della minaccia finale per intere nazioni entro il 2000. In quell’estate torrida lo scienziato della Nasa Hansen spaventò la commissione Energie e Risorse naturali del Senato americano sul rapporto tra effetto serra e riscaldamento. I suoi modelli sulla teoria del riscaldamento sempre più rapido (innalzamento delle temperature globali medie di un grado entro il 2018, oppure aumento moderato delle CO2 per aumento di 0,7 gradi. O anche emissioni costanti dal 2000 in poi, con aumento delle temperature di pochi decimi di grado) hanno dominato per trent’anni soprattutto le politiche democratiche Usa. Purtroppo, i modelli Hansen non hanno prodotto gli esiti previsti e l’aumento esponenziale delle emissioni CO2 non ha fatto crescere se non di poco in 30 anni le temperature. Lo stesso Intergovernmental Panel on Climate Change dell’Onu 40 anni fa previse il doppio del riscaldamento osservato oggi. States sudorientali e Midwest dovevano ridursi a deserti torridi ed invece niente. Nell’89 si associava riscaldamento globale all’aumento dei livelli del mare (Associated Press), alla scomparsa della neve (The Guardian, notizia che torna nel 2000), all’ inabissamento dell’autostrada del West Side di New York entro il 2019. Nel 2004 torna il raffreddamento globale, per The Guardian la Gran Bretagna sarà siberiana in meno di 20 anni. Nel 2006 tornano i super uragani. Il 2008 è l’anno del ritorno del profeta del clima Hansen che annuncia che ci saranno 50 milioni di rifugiati climatici entro il 2020 sulla base di un mai confermato rapporto segreto del Pentagono al presidente Bush; all’Associated Press riporta che l’Artico perderà il ghiaccio in 5-10 anni. L’anno prima Hansen aveva deciso, tra tornado, uragani, tempeste, lo scioglimento della Groenlandia, smentito da ricerche di Nature. A ruota il vicepresidente Usa afferma ad una Tv tedesca la sparizione della calotta polare artica entro 5 anni e l’anno dopo su associano il premier Uk Brown, (meno di 50 giorni per salvare il pianeta) e l’allora principe Carlo (The Independent, solo 96 mesi per salvare il mondo) che accusa senza mezzi termini il consumismo capitalista. Intanto Gore per USA Today sposta il cataclisma al 2014 poi al 2018. Gli fa eco il prof Wadhams che su Nature paper vede il crollo dello scudo artico siberiano. L’Artico senza ghiaccio entro il 2015 viene riproposto dai ricercatori di oceanografia della Us Navy nel 2013 sul The Guardian. Nel 2014 il Ministro degli Esteri francese Fabius con il segretario di stato Usa Kerry pone la milestone di 500 giorni per evitare il caos climatico. Poeticamente nel 2011 il Washington Post prevedeva fioriture di fiori di ciliegio in inverno:
Siamo all’oggi. Dopo 50 bufale in 56 anni, dopo disastri puntualmente vaticinati e non avvenuti l’isteria del riscaldamento globale è divenuta l’agenda politica europea del global warming. Senza neanche badare che l’Europa con il suo 2% di CO2 è irrilevante sugli effetti mondiali. Dati di fatto e realtà sono stati sommersi da summit, appelli, impegni, proteste, attori, cantanti, poeti, giornalisti, ambientalisti, Onu, politici. Pochi hanno avuto il coraggio di dire che il re è nudo, come Heller su Real Climate Science oppure Nolte in Climate Experts’ Their Doomsday Predictions. Oppure l’ambientalista danese conservatore Lomborg, che contesta il riscaldamento globale dal 1998. Che ricorda che la Grande Barriera corallina e gli orsi polari proliferano, che oggi brucia il 2,5% della superficie del mondo secondo la rilevazione satellitare, che alla fine del secolo scorso bruciava il 3,2 % ed all’inizio il 4,5%. Che negli anni ’20 moriva mezzo milione di persone per i disastri meteorologici e nell’ultimo decennio solo 18 mila. Fa imbarazzo leggere l’enfasi della società quotata assicurativa Munich RE che ricorda 4.300 morti ed $ 65 miliardi sfumati per danni climatici nella prima parte del 2022. Si comprende solo che promuova l’assicurazione delle perditeper i disastri climatici, in quanto parte del suo mestiere. Hanno visto che il re è nudo anche Michaels e Maue del think tank Usa Cato Competitive Enterprise Institute che tengono aggiornata la lista delle bufale. Parecchie di queste sono scomparse, come le carestie, l’era glaciale, il nucleare del Day’s after, il buco dell’ozono che tanto ci ha tormentato fino alla CO2 ed al riscaldamento globale dei giorni nostri che, come le altre previsioni, dovrebbe cancellare il pianeta.
Negli anni ’90, dopo l’acme del decennio precedente, si nota una pausa dell’aggressione catastrofista. Questo è dovuto al clima di successo che in quel momento incontravano capitalismo e sviluppo. È evidente che tanti problemi sollevati dall’idea green, l’aumento della domanda dovuto alla sovrappolazione, ecc. hanno trovato risposta nelle capacità di prevenzione delle società ricche. Nonostante le previsioni catastrofiche, i fenomeni climatici sono sempre meno funesti e la capacità di adattamento umano migliore.
I protagonisti di questa vicenda, spesso individui con posizioni di rilievo, non lo vogliono vedere e ammettere. Nelle news incombono disastri, ondate di caldo, inondazioni, incendi, piogge torrenziali, siccità, tempeste e gli utenti dell’informazione, soprattutto i ragazzi, sono portati a pensare che la fine del mondo sia vicina. Come l’anno Mille. Il comunismo, diffuso per eliminare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, all’atto pratico puntò a tutt’altri obiettivi. Ugualmente l’ambientalismo, promosso per evitare l’eccessivo sfruttamento della natura, persegue tutt’altro. Cosa accomuna i fautori del clima più fanatici ed i qualunquisti ondivaghi, non è una reale passione per il naturalismo. E’ l’anticapitalismo tout court o la regolazione burocratica di freno e controllo anticapitalistica. Così il clima è lo strumento di 600 miliardi in dieci anni di finanziamento delle rinnovabili, che non avrebbero retto al mercato, strumento di controllo sull’economia finanziata che ne è nata; è lo strumento di indirizzo coatto delle spese e delle scelte dei cittadini cui sono chiesti sacrifici per fermare i cambiamenti climatici. Paghiamo costi drastici per tagliare le emissioni ma la temperatura globale agisce come se quei tagli fossero già stati fatti. Qualcuno ipotizza che per fermare il cambiamento climatico non ci sia altra scelta che consegnare il potere alle OAC Ocasio Cortez, me-too, dont’ breathe, socialisteggianti e filopalestinesi perché se non può controllarci la vita, il pianeta diventerà inabitabile.
Non vi è spazio per considerazioni di questo tipo nei maggiori momenti di informazione e formazione. Non vi è il pluralismo, naturale in società complesse e democratiche, di idee sul tema. Le persone che occupano posti di rilievo temono di perderli se non ripetono il mantra green, altri sono fanatici ed armano braccio e mente di giovani infatuati dal green. L’ultimo risultato elettorale è in molta parte dipeso dal desiderio popolare di liberarsi di questa casta e dei suoi postulati. Il cui potere è però asfissiante nei gangli decisionali.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.