A Venezia 4 anni fa il regista ucraino Loznitsa porta lo splendido spaccato del culto della personalità dei Funerali di Stato per la cerimonia funebre di Stalin. Non c’è invece un regista a riprendere a Roma 70 anni le stesse scene, di nuovo migliaia di persone in lacrime, un fiume di popolo che si accalca nella camera ardente, un formicaio di fronte al corpo, come quello del dittatore, grassottello, deformato, cranio lucidato del grande imperatore illuminato della tv, come definisce Maurizio Costanzo, un sornione, a latere, Letta senior. Costanzo, il giornalista, il conduttore tv, l’autore, il paroliere, il talent scout, lo sceneggiatore. Il piduista per cretineria e solitudine e l’uomo che bruciò in diretta una maglietta bianca con la scritta Mafia. Non ce n’è uno di regista, ce ne sono un milione, metà dei quali di tutti i programmi, anche i minori, di Rai e Mediaset. C’era chi voleva avere il potere di fermare le feste; Costanzo ha avuto la grazia di poter cambiare la programmazione di tutti i canali tv. Già il paragone si impone; tanto non era avvenuto neanche per i funerali di Sordi, di Frizzi, di Proietti, quel Proietti cui Costanzo fregò il Teatro Brancaccio. Fra la fiumana dei visitatori, tra la piazza del Popolo gremita come nei giorni dello sciopero di Cofferati e la chiesa degli Artisti, uomini e donne della strada, quadri e quadrette della media burocraticità e televisità Rai, tutte le diverse etnie dell’audiovisivo e dei faccendieri che l’accompagnano, tutte le politicità piccolissime, piccole, medie, mediomassime, massime, massimissime, si colgono i volti compunti in due tre smorfie di dolore e rimpianto, addirittura il discorso celebrativamente retorico di un direttore di una tv locale frosinate che ricorda il giorno in cui Costanzo gli augurò buon lavoro, subito scansato dalla figlia Camilla che prega ispirata travolta dal bene che (tu papino) hai generato. Costanzo Santo subito, diciamo tutti che ne siamo in pectore i figli. Tanto, diceva Costanzo, «Un figlio adottato può dare grandi soddisfazioni, esattamente come tutti gli altri figli».
Cantano gli Articolo 31, Provo felicità se Costanzo fa il trenino. Tutti sgomitati da Gerry Scotti che rivive il tempo della prima comunione quando legge compunto la Preghiera degli artisti. C’è imbarazzo, però, il testo è lo stesso che per Frizzi. Qualcuno canticchia Gaber, Mentre a Roma c’è lo zio Renzo / che è analfabeta ma ha scritto un romanzo/ È sempre lì da Maurizio Costanzo. Il vicino gli fa Ma lo sai che sta canzone è dell’84? Ma zitti zitti tutti, il feretro esce dalla chiesa accompagnato dalla sigla del Maurizio Costanzo Show, sigla di una vita. Fiori, striscioni, facce commosse e stravolte. Ci sono i suoi miracolati, Sgarbi, Brignano, Iacchetti, Platinette, Fiorello, Mastrandrea, D’Agostino, Christian De Sica i fantasmi di Carmelo Bene, di Eva Robin’s, di Cicciolina, di Falcone, ed altri mille divenuti famosi dopo essere passati dai suoi Bontà Loro sulla Rai (1976-1978), Costanzo show su Mediaset (1982-2009), Buona Domenica.
Non si era mai laureato, a parte quella riconosciuta tardivamente dallo Iulm. Non era un grande autore. Aveva scritto dei libri, praticamente irrilevanti. Chi mi credo di essere, E che sarà mai?, La strategia della tartaruga, Sipario! 50 anni di teatro. Storia e testi, Vi racconto l’Isis; Smemorabilia. Catalogo sentimentale degli oggetti perduti. Non era un grande regista. Il suo unico film Melodrammore, prodotto da Angelone Rizzoli con Montesano fu un flop. Gli ultimi tentativi della produzione, affidata a moglie e figlio, Fascino, altri flop, Troppo belli e Passo a due costruiti per tronisti e ballerini etnici. Funzionava solo quando faceva sé stesso nei film di Arbore, Parenti e Virzì o nella sitcom Orazio. E non era un grande giornalista della carta stampata. Il suo Occhio che doveva essere il giornale gossiparo alto fu un altro flop’. Dai 17 anni aveva cominciato a scrivere, a Paese Sera, era il ragazzetto volontario di agosto. Vantava corrispondenze con Montanelli e sceneggiature con Pasolini ma era un giornalista da Grazia, Tempo, Europeo, diretto allora da Feltri. Più tardi si sarebbe preso la vendetta di una rubrica fissa su Il Messaggero. Lascia però un patrimonio da 70 milioni, tre appartamenti romani da 150 mq a Prati e Parioli, la villa ad Ansedonia affacciata sull’Argentario, un’altra proprietà a Poderi di Sotto a circa 40 km e vari terreni oltre i diritti d’autore.
E una moglie produttrice e presentatrice, un figlio regista e produttore con il figlio di Vespa, un’altra figlia sceneggiatrice.
Ferrara evidenziò che Costanzo credeva alla Tv come «la continuazione di politica e cultura con altri mezzi». Costanzo con Arbore emerse nell’Italia craxiana. Il romano riuscì a riciclarsi nella Roma veltroniana della Rai, contemporaneamente diventando il factotum dei programmi della Tv di Berlusconi, sgolandosi a difendere Rete4 da D’Alema. Nell’Italia della guerra civile creò un talk bipartisan alla Sullivan che era campo neutro e come un polpo si allargò in entrambi i campi, man mano che la sua commedia dell’arte si fece sempre meno denunce civili, sempre più evasione becera e chiacchiere da gossip. C’erano un tempo Borgna, Letta senior, Zetema. Erano rimasti Costanzo e Vespa. Scomparso Costanzo ci dovrebbe essere la corsa alla riconquista dell’impero della cultura. E invece non c’è, perché i campi appaiono bruciati, essiccati, cosparsi di sale. Una mostruosità come l’omino coi baffi, che se ne è andato, vantando 4 mogli tutte alte e bionde. Vendetta di un coautore di Fracchia, alla faccia vostra ed alla bontà loro .
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.