Sempre criticala situazione di via Cagni, a Milano, dove tantissime persone sono costrette a stare fuori, (spesso anche al freddo) dagli uffici della Questura per richiedere lo status di rifugiato politico. In centinaia sui marciapiedi aspettano ore e ore di poter entrare negli uffici, tanto che non sono mancate proteste, tensioni e persino qualche ferito.
Secondo il Siap (Sindacato Italiano Appartenenti alla Polizia), il Comune di Milano brilla per la sua assenza, ignorando il problema come se la cosa non li riguardasse. Il segretario regionale lombardo, Dino Rizzi, in un’intervista a Fanpage.it lamenta come la polizia cittadina sia stata lasciata completamente sola: “L’immigrazione, intesa come parte amministrativa, non dovrebbe essere un problema di polizia. Come organizzazione sindacale, già diverso tempo fa, abbiamo sostenuto che la situazione non andasse bene: vedere persone in quelle condizioni, soprattutto nei periodi più freddi, non era da considerare degno di un Paese civile”.
Perché sostenete che la Polizia sia stata lasciata sola?
Come sindacato abbiamo chiesto più volte dove fosse il terzo settore, tutte le associazioni che si occupano di situazioni simili. Il grande assente di questa partita è il Comune di Milano. Così come l’assessore con delega ai Servizi Sociali (Lamberto Bertolè, Ndr) che risulta non pervenuto, se non per qualche intervista in via Cagni. Siamo stati lasciati soli e ci siamo un po’ stufati.
Ci sono stati colloqui tra la Questura e l’Assessorato dove è stato chiesto di dare una mano alla polizia, ma purtroppo non ci sono state grandi cambiamenti. E infatti lo abbiamo visto con le persone che dormivano per terra sui marciapiedi, con i colleghi che portavano brioche, latte, cioccolata e coperte. Non può essere scaricata tutta la responsabilità sulla polizia.
Quali sono i problemi di Via Cagni?
Partiamo dal principio. Per dare spazio all’ufficio che si occupa di coloro che chiedono asilo, il Questore ha imposto al reparto mobile di sottrarre uno spazio, utilizzato per altre attività, da destinare a questo servizio. Il problema è stato così spostato dal centro alla periferia. Trasferendoci in una zona più periferica, è stato scaricato sulla polizia l’onere di pensare a tutto.
Gli agenti dovrebbero pensare solo a smistare in maniera più veloce possibile le pratiche. E infatti, rispetto alla forza lavoro impegnata, i tassi delle pratiche processate sono elevatissimi e spesso sono più alti, a parità di personale, di altre Questure. Questo è uno dei motivi per i quali tantissime persone si riversano in via Cagni.
Ogni weekend poi diverse persone si accampano fuori dagli uffici. Non c’è mai stata alcuna struttura idonea all’esterno. E allora come sindacato abbiamo segnalato al Questore che la situazione era diventata ingestibile. E abbiamo chiesto di iniziare a valutare qualcosa di diverso.
All’esterno degli uffici ci sono problemi perché non c’è collaborazione tra Istituzioni: abbiamo sempre chiesto un tendone all’esterno, magari riscaldato in inverno, con un salta-code che avrebbe evitato alle persone di accalcarsi. Noi abbiamo chiesto fin dall’inizio di non trasformare un diritto delle persone in un problema di polizia: nessun agente è felice di dirimere file, di spingere o far cadere persone. È chiaro che abbiamo bisogno di una mano, che non c’è stata.
Cosa suggerireste di fare?
Abbiamo suggerito di mettere un tendone, con interpreti che possano spiegare alle persone di non spintonarsi, di stare tranquille e quali pratiche dovrebbero elaborare. Tutto questo non è avvenuto. Non ci sono infatti tendoni all’esterno, ma solo uno all’interno. Il problema però è all’esterno. Sembra quasi che abbiano voluto nascondere tutto all’interno del castello per non far vedere i problemi. Ma lo sforzo va fatto fuori.
Se non abbiamo interpreti è complicato spiegare o invitare alla calma o spiegare cosa succede: è utopistico pensare di installare un tendone all’esterno dove far aspettare le persone con calma o dare i biglietti salta coda? Noi abbiamo foto dove si accendevano i falò per riscaldarsi, ma il sindaco dov’è? Potrebbe anche collaborare un po’ di più. Non ci sembra che ci sia questa grande collaborazione.
Noi siamo dell’idea che il sindaco di Milano e l’assessore competente debbano mettere la faccia su questa questione, perché non ci sembra che lo stiano facendo, oppure come sindacato potremmo suggerire al Questore, viste le condizioni in cui siamo stati lasciati, di trasferire nuovamente gli uffici in via Montebello: così magari il sindaco, quando si ritroverà due chilometri di persone sui marciapiedi, costrette ad accamparsi, si porrà il problema di come gestire la situazione e si renderà conto che c’è un problema di accoglienza civile per le persone che devono espletare un proprio diritto.
Quello che manca all’appello è il Comune di Milano e chi ha la delega che dovrebbe preoccuparsi di queste persone: perché il Comune non può fare un infopoint davanti agli uffici? Così le persone che arrivano possono avere tutte le informazioni.
Questi ragionamenti danno il senso di come siamo stati abbandonati. Il Questore soffre e subisce il problema. Il Comune è totalmente assente. E in una città come Milano non va bene. Quando è arrivato il weekend in cui sono state cambiate le regole, noi avevamo organizzato una iniziativa di solidarietà per portare coperte a queste persone perché non si poteva andare avanti. C’era un disinteresse totale, ma non può ricadere tutto sulla polizia.
Se le persone vengono abbandonate, non è un compito di polizia, è chiaro che poi si verificano situazioni come quelle a cui abbiamo assistito le scorse settimane.
Nelle scorse settimane qualcosa è cambiato.
Due weekend fa siamo stati informati dal Questore che avrebbero provato a spostare dal lunedì al martedì il servizio, per evitare l’accampamento del weekend. Sarebbe stato organizzato un servizio alternato ogni quindici giorni così da prendere in carico il doppio delle persone.
Il problema non è la richiesta: rispetto alle risorse umane che ci sono, la Questura di Milano è su standard molti più elevati di altre zone d’Italia a parità di risorse. Per tutti noi bisogna fare il massimo perché queste persone hanno diritto a vedere risolta il prima possibile la loro situazione.
Non abbiamo avuto collaborazione fino al weekend scorso: solo allora è arrivato l’assessore Lamberto Bertolè, che ha potuto fare la sua intervista, nel frattempo sono arrivati i mediatori insieme ad alcune associazioni per spiegare ai presenti che sarebbero cambiate le modalità di accesso e richiesta.
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